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Il Mattino Rassegna Stampa
15.01.2007 Ancora spazio alla propaganda dei palestinesi
e alla parzialità di Michele Giorgio

Testata: Il Mattino
Data: 15 gennaio 2007
Pagina: 3
Autore: Michele Giorgio
Titolo: «Rice da Abu Mazen: riprendere la Road Map»

Ancora spazio alla propaganda dei palestinesi, questa volta nel sottotitolo del 15 gennaio 2007: “E i palestinesi si vestono da pellerossa: siamo in una riserva”. I palestinesi si sentono in una “riserva”? E perché il quotidiano napoletano non spiega come si è arrivati alla situazione odierna? Perché non spiega l’esigenza di Israele di difendersi da chi ha sempre minacciato e tentato la sua distruzione con guerre e terrorismo stragista? No tutte le azioni di Israele per Il Mattino sono gratuite, senza senso. E non c’è miglior cosa della propaganda di una parte per descrivere la “realtà”.

Anche Giorgio, nell’articolo, dà sfogo a tutta la sua parzialità. Racconta, di una “occupazione” israeliana iniziata 40 anni fa. Così, per caso? Perché gli israeliani non avevano meglio da fare? O forse ci sono stati, a partire da oltre 40 anni fa, eventi bellici reiterati contro lo stato di Israele? Giorgio ovviamente non menziona nulla di tutto ciò che a che fare con le immense responsabilità arabe. Andando avanti poi c’è un passaggio che mostra come la parzialità del giornalista anti-israeliano è tale persino di fronte alle sofferenze umane. Quest’ultime non esistono nel caso degli israeliani, infatti si può leggere:

A manifestare in maniera singolare, in occasione della visita della Rice a Ramallah, sono stati ieri alcune decine di palestinesi e pacifisti stranieri, che si sono vestiti come indiani del Far West. Con i tradizionali copricapi di piume in testa, i manifestanti hanno inalberato cartelli a un check-point vicino a Nablus, tracciando un parallelo fra «il furto delle terre degli indiani» attuato nel Far West e l'occupazione israeliana del territorio palestinese. Sui cartelli anche le scritte: «I posti di blocco rovinano la vita dei palestinesi», o «le guerre indiane non sono finite, signora Rice, noi siamo ancora qui».

 Già perché il terrorismo palestinese, invece, migliora la vita degli israeliani.  Ma di quest’ultima Giorgio non è mai sembrato preoccuparsi.

Ecco il testo dell'articolo:

Gerusalemme. Condoleezza Rice incontra oggi il premier israeliano Ehud Olmert, ma il segretario di Stato ha già messo in chiaro, durante i colloqui avuti ieri a Ramallah con il presidente palestinese Abu Mazen, quello che per gli Stati Uniti resta un punto centrale: la nascita di uno Stato palestinese indipendente è l'unica soluzione al conflitto, ma si materializzerà soltanto attraverso l'applicazione della Road Map, l'itinerario di pace sostenuto dal Quartetto per il Medio Oriente (Usa, Russia, Ue e Onu). «La Road Map dovrà essere rispettata in tutti i suoi stadi», ha detto la Rice, aggiungendo che «gli Stati Uniti intendono approfondire il proprio impegno nella regione mediorientale». Per il presidente palestinese è questa una buona ed una cattiva notizia allo stesso tempo. Buona, perché l'Amministrazione Bush sembra voler rilanciare la strada del negoziato, smarrita negli anni passati; cattiva perché Condoleezza Rice ha ribadito che l'applicazione della Road Map dovrà essere puntuale. Ciò significa che prima della ripresa di una vera trattativa sullo status finale dei Territori palestinesi occupati da Israele 40 anni fa (Gerusalemme Est, Cisgiordania e Gaza), Abu Mazen è tenuto a smantellare quelle che Washington (e Tel Aviv) definiscono le «strutture del terrore», riferendosi alle attività dei militanti dell'Intifada, in particolare quelli di Hamas e Jihad. Un bel problema per Abu Mazen, che da un lato vuole riprendere il controllo della situazione nei Territori e riportare al potere il suo partito, Al-Fatah, seccamente sconfitto da Hamas alle elezioni di un anno fa, e dall'altro invece sa bene che l'uso del pugno di ferro con gli islamisti farebbe inevitabilmente precipitare i palestinesi in una guerra civile. Le avvisaglie si sono avute già nelle settimane passate, dopo l'annuncio fatto da Abu Mazen sulla prossima convocazione di elezioni anticipate. Il leader palestinese inoltre, prima di passare ad eventuali azioni di forza contro Hamas, vuole garanzie precise da parte di Washington sulla nascita dello Stato di Palestina da poter offrire al suo popolo, in modo da guadagnare consensi. Per questo motivo ieri ha respinto con tono perentorio l'ipotesi della creazione, nei prossimi due anni, di uno Stato palestinese con confini provvisori. «Abbiamo detto al segretario Rice che respingiamo ogni soluzione temporanea» sulla formazione di uno Stato palestinese che includa «una fase di transizione, perché non la consideriamo una opzione realistica», ha detto Abu Mazen. A manifestare in maniera singolare, in occasione della visita della Rice a Ramallah, sono stati ieri alcune decine di palestinesi e pacifisti stranieri, che si sono vestiti come indiani del Far West. Con i tradizionali copricapi di piume in testa, i manifestanti hanno inalberato cartelli a un check-point vicino a Nablus, tracciando un parallelo fra «il furto delle terre degli indiani» attuato nel Far West e l'occupazione israeliana del territorio palestinese. Sui cartelli anche le scritte: «I posti di blocco rovinano la vita dei palestinesi», o «le guerre indiane non sono finite, signora Rice, noi siamo ancora qui».

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