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Il Mattino Rassegna Stampa
22.11.2006 Sderot ignorata, caos a Gaza colpa di Israele
così disinforma il quotidiano napoletano

Testata: Il Mattino
Data: 22 novembre 2006
Pagina: 2
Autore: la redazione - Vittorio Dell'Uva
Titolo: «Il monito di Hamas «Svuoteremo Sderot» - La «grande prigione» dove sono saltate le regole»

Ecco come si liquida, sul MATINO del 22novembre 2006,  la sofferenza e la tragedia dei civili israeliani del Neghev e in particolare quelli della cittadina di Sderot. Uno striminzito trafiletto incentrato sulla propaganda criminale (per Il MATINO si tratta di semplice “monito”) di Hamas, criptico, ai più incomprensibile perché non spiega quello che sta avvenendo. Nessun accenno al civile israeliano ucciso proprio ieri da uno dei tanti missili che i terroristi palestinesi lanciano ormai da anni. Non una foto. Quando si tratta di palestinesi, invece, Il MATINO è estremamente didascalico, per impressionare il più possibile il lettore.
Ecco il testo:

 Un portavoce delle Brigate Ezzedin al-Qassam, braccio armato di Hamas, ha dileggiato quegli abitanti di Sderot che nei giorni scorsi hanno preferito salire in fretta su torpedoni e fuggire a Eilat): «Peretz, prepara tanti autobus! Perchè i nostri lanci termineranno solo quando Sderot si sarà svuotata».

A pag.3 si cambia registro e anche nel contesto del rapimento di due uomini della CRI la redazione riesce a rivolgere un implicito atto d’accusa a Israele responsabile, par di capire, di aver ridotto Gaza a una “Grande prigione”. Si legge, poi, nel sottotitolo di una presunta debolezza dell’ANP, quando sarebbe stato più corretto parlare di “connivenza” dato che Hamas, guida dell’ANP, delle “bande” armate è sicuramente la più forte. Il tutto, a differenza di quanto visto a pag.2, con tanto di foto di donne disperate e di una funerale
Ecco il testo:

 

Appare inspiegabile ogni atto ostile nei confronti di rappresentanti di organizzazioni umanitarie o di giornalisti che si avventurano nei cunicoli della disperazione dei popoli. È come se fossero rifiutati gli aiuti o la ricerca di verità che possono aiutare, tra lampi di ingratitudine in grado di offrire alibi a basso costo a quanti, a bagnomaria nel benessere, ritengono che non troppo valga la pena occuparsi dei derelitti del mondo. Sfugge in molti casi il contesto. Più elevati sono i livelli di degrado e di disgregazione sociale e più si moltiplicano le schegge impazzite. Non sempre la logica può essere applicata al banditismo o alla fame. Gianmarco Onorato e Claudio Moroni, i due delegati della Cri sequestrati dalle parti di Khan Younis, ghetto tra i ghetti della Palestina, non sarebbero mai finiti nelle mani di miliziani autogestiti se Gaza fosse soltanto una terra di poveri. Viaggiano con le insegne di una organizzazione che agisce in simbiosi con la «Mezzaluna » araba; provano a smantellare le gabbie psicologiche di cui sono prigionieri bambini che associano ogni botto alla morte. Sono in grado di immergersi, fino a condividerli, nei drammi quotidiani di chi è destinato a restare in attesa del peggio. È l’angoscia ed il rischio che accompagnano il «mestiere» di cooperanti nelle molte forme in cui è articolato e di cui non sempre, da lontano, si riesce ad avere consapevolezza. Lascia il segno vivere a ridosso di campi profughi, è «full immersion», in un mondo che ha come sola prospettiva la sopravvivenza, raccogliere suppliche cui istituzioni cadenti non sono in grado di dare risposte. Spesso l’impegno è ripagato soltanto da sorrisi ed affetti la cui portata per molti è sfuggente. Un anno fa, tra qualche maldicenza di ispirazione politica, si irrise persino al rapimento in Iraq di Simona Pari e di Simona Torretta, in cui difesa trovarono il coraggio di scendere in campo le donne di Baghdad. In un mondo che ha smarrito, in molti casi, il senso della giustizia, Gianmarco Onorato e Claudio Moroni sono finiti prigionieri - anche se fortunatamente solo per poche ore - all’interno di una immensa prigione in cui effetti indotti e endogeni sono alla base di uno squilibrio istituzionale che sfiora spesso l’anarchia. La Gaza di oggi non è quella che si sperava nascesse dalla recente autonomia freddamente concessa da Ariel Sharon, ma soltanto un immenso recinto dalle porte sbarrate in cui le dinamiche di sviluppo sono state segate, da quando il movimento islamico Hamas ha «osato» andare al potere. Embargo internazionale, assedi e raid di Israele l’hanno resa ogni giorno più povera fino a ridurre il reddito medio, di oltre un milione di palestinesi, a poco più di due dollari al giorno. Lo scontro ideologico e generazionale tra i vecchi signori di Al Fatah, le cui fortune si basavano sulla corruzione, e la nuova classe dirigente di matrice islamica - soltanto da qualche mese orientati gioco forza a convivere - ne hanno fatto una società delle milizie impegnata a rivendicare ruoli e diritti a colpi di kalashinkov. Se non a fare uso di armi pesanti nei periodici attacchi portati, in stile mafioso, ai palazzi del potere disseminati tra la «Striscia » e Ramallah. Le vie in discesa sono le più facili da percorrere e Gaza non poteva fare eccezione incrociando sempre più spesso nemici al suo interno. È diventato «mestiere» il sequestro di persona ultimo incubo delle famiglie benestanti e di molti operatori occidentali. Nuclei della «intransigenza» sfuggono assieme a gruppi criminali al decrescente controllo di una autorità centrale il cui livello di disattenzione è tavolta sospetto. La corruzione dal basso capillare e diffusa, si è trasformata in elemento di produzione del reddito coinvolgendo poliziotti e impiegati pubblici spesso rimasti senza stipendio. La resistenza ad Israele, resta il grande collante che evita ulteriori profonde lacerazioni nell’ambito di una società in ginocchio, ma altre spinte di natura ideologica vanno gradatamente dissolvendosi. La spina dorsale di Gaza ha perduto consistenza sotto la pressione delle bombe e l’avanzata del caos e della povertà. Quando la dignità tende ad appannarsi, capita che vengano bacchettate anche le mani di quanti vogliono porgere aiuti.

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