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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Il Mattino Rassegna Stampa
12.01.2006 Ennesima intervista selezionata con criteri ideologici
ma questa volta il giornalista esprime in prima persona la propria faziosità

Testata: Il Mattino
Data: 12 gennaio 2006
Pagina: 10
Autore: Vittorio Dell'Uva
Titolo: ««Ore difficili serve stabilità»»

Proseguendo la serie delle sue interviste selezionate e faziose, Il Mattino pubblica, il 12 gennaio 2006 un colloquio tra Vittorio Dell'Uva, che in questa occasione non si limita alle domande accomodanti, ma va oltre calandosi nella parte dell’avvocato difensore dei palestinesi.

Ecco il testo:

Abu Dis. Una fiammante Mercedes blu lo aspetta, con il motore acceso, nel cortile della sua villa di Abu Dis, il sobborgo di Gerusalemme che in base agli accordi di Oslo sarebbe dovuta diventare la capitale dello Stato di Palestina. È il giorno dell'«aid al-adha», «la festa del sacrificio», spesa da molti maggiorenti locali e tanti supporter anche per rendergli omaggio. Ahmed Qurei, Abu Ala, il sessantasettenne primo ministro palestinese ne ascolta a lungo le istanze dividendo con loro il the e i dolciumi di zucchero e miele. Ma con gli ultimi arrivati non può essere troppo paziente e cortese come con i primi perché è atteso a Ramallah dove deve partecipare ad una importante e delicata riunione politica. Entro domenica dovrà comunicare se intende o meno concorrere alle prime elezioni palestinesi del dopo Arafat. Il suo feudo gli garantisce il successo, ma alle sollecitazioni risponde soltanto con strette di mano e sorrisi. Quando indossa un caldo colbacco gli ospiti capiscono a volo che il momento del commiato è arrivato. «Buona fortuna» sussurra qualcuno sapendo che va a tentare di appianare contrasti. Dai piani alti della sua casa si domina il «muro» con i graffiti che denunciano la condizione di apartheid cui si sentono ricacciati i palestinesi. Corre poco lontano, da almeno due anni ha spaccato Abu Dis. «Israele dovrà distruggerlo», dice indicandolo con un gesto del braccio. Presidente Abu Ala, gli israeliani però ne stanno erigendo ancora altri tratti. «Aggravando un problema. La costruzione del muro, di per sè intollerabile, toglie libertà ai palestinesi e ne danneggia fortemente l'economia. Ma ha anche riflessi negativi per gli stessi israeliani sul piano pratico e su quello politico. Il loro comportamento sarà giudicato dal mondo. Gli ostacoli al processo di pace vanno rimossi». Come le troppe ed anche molto recenti colonie? «Mi chiedo come faccia un uomo ad arrivare alla pace quando la terra che gli appartiene si trova nelle mani di altri». È opinione diffusa che Ehud Olmert, ammesso che ottenga il ruolo di primo ministro, potrebbe rivelarsi più flessibile di Ariel Sharon, imprimendo una accelerazione alla svolta arrivata con l'abbandono di Gaza. Si fida di lui? «Non mi interessa chi sarà chiamato a guidare Israele. Piuttosto a noi preme dialogare con chiunque sarà scelto dal popolo. In questa ottica anche Olmert va bene. Ma voglio essere ancora più chiaro. Anche se Sharon superasse la sua malattia e tornasse al potere questa nostra posizione resterebbe immutata». Oggi il governo israeliano deciderà sulla partecipazione al voto dei palestinesi di Gerusalemme est. Il generale Mofaz vuole proibire ai candidati di Hamas di presentarsi in questo «collegio». Molti ministri sono d'accordo con lui anche se Hamas ha appena deciso di non inserire nel suo programma l'eliminazione dello Stato di Israele. Per Olmert sarebbe un autogol cedere ai falchi? «Partiamo da una indispensabile premessa. Gerusalemme est è un pezzo di Palestina. Israele deve facilitare e non colpire chiunque decida di candidarsi. Queste sono le nostre sacrosante elezioni. La democrazia impone che popolo sia libero di scegliere i propri rappresentanti. Noi non ci permetteremo di interferire e naturalmente vogliamo che non lo facciano nemmeno gli altri». I dirigenti di Hamas puntano alla guida del governo palestinese e stando ai sondaggi, che accreditano al movimento il 40 per cento e la maggioranza relativa, potrebbero anche farcela. Al Fatah con le sue divisioni sembra spianare loro la strada. Sta davvero per concludersi un'era? «Governa chi vince. Ci sono regole del gioco che vanno rispettate. Questo è un fatto che non si discute quali che siano le posizioni e i desideri. Ma intanto bisogna vedere se Hamas vince davvero. Molto dipende dalla partecipazione degli elettori che mi auguro sia alta, ma anche dalla compattezza del fronte di Al Fatah che resta la guida storica del popolo palestinese». Il nuovo parlamento palestinese dovrà affrontare questioni cruciali. Da dove comincerebbe se fosse chiamato ancora alla guida del governo? «Non parliamo di me, ma dei problemi. Incandescente l'agenda: sicurezza, economia, libertà del popolo palestinese. La posizione di Al Fatah è chiara. C'è bisogno di stabilità e di quiete. In questo momento l'azione delle milizie e il lancio dei missili Qassam sugli israeliani è contro i nostri interessi. Noi dobbiamo lavorare soprattutto per la totale uscita dagli israeliani dai territori occupati e da Gerusalemme est». Puntando più sull'aiuto degli Stati Uniti o dell'Europa? «Il quartetto formato da Stati Uniti, Onu, Unione Europea e Russia può fare davvero molto per portare avanti il processo di pace. Ma io guardo soprattutto all'Europa. È tra i principali donatori, il suo ruolo è in crescita. Credo che il suo peso e la sua influenza dovrebbero essere maggiori rispetto a quelli attuali».

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