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Il Mattino Rassegna Stampa
02.09.2005 Notizie ignorate e ossessioni (la demonizzazione dei politici israeliani) sul quotidiano napoletano
due articoli di Michele Giorgio e un'omissione

Testata: Il Mattino
Data: 02 settembre 2005
Pagina: 9
Autore: Michele Giorgio
Titolo: «Ariel e Benjamin, falchi divisi dalle scelte strategiche - Netanyahu sfida Sharon: «Io al tuo posto»»
Una notizia molto importante, quella dell’incontro tra esponenti del governo israeliano e pachistano, non viene degnata nemmeno di una riga da IL MATTINO di venerdì 2 settembre 2005. Non servendo a demonizzare Israele, evidentemente, è stata ritenuta inutile.

Giovedì 1 settembre, invece, il quotidiano napoletano pubblica un articolo di Michele Giorgio.Ancora una volta Giorgio trae spunto da una fatto di cronaca, lo scontro per la guida del Likud, per liquidare decenni di Storia con i soliti luoghi comuni e stereotipi triti e ritriti. Sharon viene presentato come l’uomo che si è convertito alla moderazione dopo decenni di "militarismo" (addirittura, secondo Giorgio, aveva progetti "di scontro militare con i paesi arabi al fine di conquistare posizioni strategiche vantaggiose". Gli aggressori si trasformano in aggrediti e viceversa). Non fa niente se i fatti già in passato hanno dimostrato che Sharon è sempre stato un pragmatico. Ora, però, è Netanyahu il nuovo Satana (ma IL MATTINO, in questi anni, non aveva dipinto Sharon come il male peggiore, il mostro per eccellenza?) che Giorgio descrive come laico ma che allo stesso tempo, "almeno in apparenza, è ora convinto che Cisgiordania e Gaza facciano parte della biblica «terra di Israele» e che, pertanto, non vanno restituite agli arabi". Questa descrizione di Netanyahu, però, appartiene solo alla fantasia di Giorgio in quanto l’opposizione al piano di sgombero da parte dell’ex premier israeliano è stata di natura politico-militare ma mai religiosa. Del resto, lo dice lo stesso Giorgio, si sta parlando di un laico. Netanyahu viene accusato anche di aver compromesso la fase dei negoziati di Oslo, ma Giorgio dimentica gli accordi tra le parti raggiunti in quel periodo e, ovviamente, omette le responsabilità palestinesi nel mancato smantellamento delle strutture terroristiche. Per lo stesso motivo Giorgio mente anche quando afferma che Netanyahu rifiuta qualsiasi accordo territoriale con i palestinesi. Infine la chiusura dell’articolo è un altro capolavoro: "La sua ascesa al potere con ogni probabilità farebbe fare un salto indietro a quel poco che, con grande fatica, è avanzato in questi anni, riportando israeliani e palestinesi al punto di partenza". Par dir capire che se in futuro invece di progredire si faranno passi indietro (ad esempio con l’elezione di Nethaniahu) questo sarà diretta conseguenza delle scelte israeliane, come se i palestinesi fossero soltanto degli spettatori inerti, come se le responsabilità e gli oneri ricadessero solo e unicamente sugli israeliani. Del resto il terrorismo non esiste!

Ecco l'articolo, "Ariel e Benjamin, falchi divisi dalle scelte strategiche":

Gerusalemme. Il ritiro israeliano dalla striscia di Gaza ha messo definitivamente contro Ariel Sharon e Benyamin Netanyahu. «Annuncio la mia candidatura alla direzione del Likud, per guidarlo alla vittoria alle prossime elezioni e formare il governo nello spirito del partito», ha detto ieri Netanyahu in una conferenza stampa a Tel Aviv. Il rivale del primo ministro rappresenta oggi un Likud, o almeno una buona parte di esso ben diverso da quello che appena qualche anno fa acclamava Sharon. Gli avversari del premier che lo accusano di aver tradito lo spirito del partito attuando il piano di sgombero delle colonie ebraiche a Gaza - ormai sono pronti a schierarsi dietro a Netanyahu allo scopo di saldare un’alleanza tra il Likud e le formazioni di estrema destra, allo scopo di impedire la restituzione ai palestinesi di altre porzioni di territorio occupati da Israele durante la guerra del 1967. L’analista israeliano Ben Caspit ha scritto di attendersi tra Sharon e Netanyahu un confronto senza esclusione di colpi, come poche volte è avvenuto tra due leader politici israeliani. Eppure entrambi vengono dall’ala più conservatrice e nazionalista del Likud.
Segue il solito ritratto stereotipato di Sharon, che ormai i lettori di Giorgio e de IL MATTINO conoscono a memoria.

Sharon, 77 anni, ha rappresentato per decenni «il falco» che non cede neppure di fronte alle pressioni statunitensi. E non ha mai nascosto i suoi progetti di espansione delle colonie ebraiche nei territori occupati e neppure di scontro militare con i paesi arabi al fine di conquistare posizioni strategiche vantaggiose. È stato il «pericolo numero uno» dei palestinesi che in lui hanno visto l’incarnazione del «militarismo israeliano». Gli ultimi due-tre anni tuttavia hanno visto Sharon incamminarsi su un sentiero di maggiore moderazione politica e ha deluso gli ultranazionalisti, soprattutto quelli animati da spirito messianico, ma che allo stesso tempo gli ha consentito di avvicinarsi al centro politico del paese fino ad allearsi con i laburisti.
Ma come,e IL MATTINO dove è stato in questi anni, dal momento che ha scritto vagonate di articoli sul terribile "falco" Sharon, sul "bulldozer" Sharon, sul "generale" Sharon? Un uomo che non conosceva compromessi, un uomo ancorato "al tanto peggio tanto meglio", un uomo brutale insomma. Ora, siccome il nuovo bersaglio è divenuto Netanyahu, Sharon sembra avere almeno delle fattezze umane.
È probabile che a spingere il primo ministro verso sponde meno agguerrite, siano state le previsioni fatte dagli esperti sulla base delle tendenze demografiche in atto. I palestinesi residenti in Cisgiordania e Gaza e quelli con cittadinanza israeliana, crescono con percentuali ben superiori rispetto a quelle degli ebrei e tra una quindicina d’anni, forse meno, saranno la maggioranza nel territorio storico della Palestina. Sharon, accogliendo le preoccupazioni in tal senso espresse già dieci anni fa dal premier assassinato Yitzhak Rabin, ha compreso che la nascita di uno stato palestinese nei territori, consentirà ad Israele di conservare in futuro una solida maggioranza ebraica nei suoi territori riconosciuti. È un progetto politico che non può prescindere dalla restituzione ai palestinesi almeno di una parte delle loro terre. Sharon, in ogni caso, anche con la costruzione del «muro di separazione» dai palestinesi, sta di fatto demarcando le aree della Cisgiordania dove si trovano le più grandi concentrazioni di colonie ebraiche, evidentemente da annettere in futuro allo stato di Israele. A ciò si oppone Netanyahu, 55 anni, che rifiuta compromessi territoriali con i palestinesi. Laico, formatosi negli Stati Uniti l’aspirante leader del Likud ha fatto della fede la sua bandiera e, almeno in apparenza, è ora convinto che Cisgiordania e Gaza facciano parte della biblica «terra di Israele» e che, pertanto, non vanno restituite agli arabi. Già tra il ’96 e il ’99, periodo nel quale era stato primo ministro alla guida di una coalizione di destra, Netanyahu aveva fatto impantanare lo sviluppo degli accordi di Oslo. La sua ascesa al potere con ogni probabilità farebbe fare un salto indietro a quel poco che, con grande fatica, è avanzato in questi anni, riportando israeliani e palestinesi al punto di partenza.
IL MATTINO pubblica anche "Netanyahu sfida Sharon: «Io al tuo posto»", Occhiello: "Bufera politica a Tel Aviv la destra si spacca. I palestinesi temono il trionfo degli oltranzisti", sottotitolo: "Guerra aperta nel Likud: l’ala dura del partito contro il premier per lo sgombero delle colonie"
"Bufera", "guerra", "il trionfo degli oltranzisti". Tra titolo, occhiello e sottotitolo le solite urla e toni sensazionalistici, ma non si riferisce il fatto di cronaca: Netanyahu ha annunciato la sua candidatura per le primarie del Likud. Ancora una volta l’ideologia prevale su tutto il resto. La stessa ideologia che irretisce Michele Giorgio, autore anche del secondo articolo pubblicato. La seconda metà di esso, infatti, non fa che riproporre le solite frasi ad effetto dei palestinesi (Sharon "peggiore nemico", "bulldozer schiacciasassi", "accusato della strage di Sabra e Chatila", ecc.), del genere già visto nell’articolo precedente. Incredibile, di qualsiasi cosa si parli si scade sempre nella solita propaganda, e si ha l’impressione che quest’ultima sia il vero messaggio da far arrivare ai lettori.

Del resto, anche in questo scritto i palestinesi sono spettatori, vittime della crudeltà degli israeliani e dei loro primi ministri. Complimenti a Giorgio e al quotidiano napoletano per l’instancabile opera quotidiana di demonizzazione ai danni di Israele. Bravi davvero!

Ecco il testo:

Gerusalemme. Guerra aperta nel Likud. «Bibi» Netanyahu, ex primo ministro e «superfalco» del partito della destra israeliana, sfida il premier Sharon: vuole prendere il suo posto. Per Ariel Sharon, sotto accusa da parte dei settori più oltranzisti del partito per il recente sgombero delle colonie ebraiche dai territori palestinesi di Gaza, è un momento difficile. Il premier, osserva la stampa israeliana, rischia di diventare il primo capo del governo in carica rovesciato dal suo stesso partito. Il «Likud ha avviato le procedure per fare decadere Sharon da leader del partito», ha titolato ieri il quotidiano Haaretz. E ieri pomeriggio è giunta la candidatura formale a leader del Likud e a capo del governo, al posto di Sharon, del suo eterno rivale Benyamin Netanyahu, cui i sondaggi promettono una secca vittoria sul premier uscente (46,9% contro 30,5%). Si fa ora più consistente l’ipotesi già avanzata nei giorni scorsi: quella cioè secondo la quale Sharon potrebbe fondare un nuovo partito. «Non farò il numero due di nessuno», aveva proclamato nei giorni scorsi Sharon. Le primarie del Likud, salvo imprevisti, dovrebbero svolgersi in novembre. Se vincerà Netanyahu il governo cadrà e il Paese andrà a elezioni anticipate all'inizio del 2006. Per molti militanti del Likud, Ariel Sharon ha «tradito» la filosofia della destra imponendo lo storico ritiro da Gaza e l'evacuazione forzata degli 8500 coloni. Il ritiro da Gaza è stato appoggiato da una maggioranza della popolazione israeliana, e da una minoranza di elettori del Likud. Non è chiaro però se al momento del voto la simpatia degli elettori del centrosinistra per il conservatore che ha realizzato il ritiro avrà il sopravvento su fedeltà di partito. Tutti gli scenari che si aprono, comunque, implicano un contraccolpo ai tradizionali equilibri della politica israeliana. Sul fronte palestinese, intanto, l’ipotesi di un ritorno di Netanyahu alla guida del Paese desta non poche preoccupazioni. I dirigenti politici palestinesi ufficialmente si mostrano distaccati verso gli sviluppi politici in Israele ma nei fatti seguono con attenzioni il progressivo indebolimento del premier Ariel Sharon. Non perché Sharon sia considerato un «moderato», ma perché una sua eventuale uscita di scena (o ridimensionamento) potrebbe avvenire sulla base di un rafforzamento dei settori più oltranzisti e più ostili al dialogo. «D'altronde - ha osservato Ghassan Khatib, ministro per la pianificazione dell'Autorità nazionale palestinese - sia Sharon sia Netanyahu (quando è stato primo ministro tra il '96 e il '99, n.d.r.) non hanno mostrato alcuna intenzione di voler rispettare le risoluzioni internazionali che per noi rappresentano la soluzione ideale per il conflitto israelo-palestinese». Non è comunque un mistero che Netanyahu è considerato dai palestinesi uno dei loro «peggiori nemici». Sharon, che fino a qualche tempo fa godeva nei Territori la fama di «bulldozer schiacciasassi» e veniva accusato della strage di Sabra e Shatila (migliaia di palestinesi uccisi alle porte di Beirut nel 1982), ora è visto con cauto favore da un numero crescente di palestinesi che gli riconoscono il merito di aver attuato lo sgombero delle colonie di Gaza.
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