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Libero Rassegna Stampa
27.03.2024 Assange non è il nostro Navalny
Commento di Daniele Capezzone

Testata: Libero
Data: 27 marzo 2024
Pagina: 1/17
Autore: Daniele Capezzone
Titolo: «Assange non è il Navalny occidentale»

Riprendiamo da LIBERO di oggi 27/03/2024, a pag. 1/17, con il titolo "Assange non è il Navalny occidentale", il commento di Daniele Capezzone.

Confessioni di un liberale. Daniele Capezzone al Caffè della Versiliana  Giovedì 14 luglio, ore 18:30 - Versiliana Festival
Daniele Capezzone

Julian Assange non è un eroe del libero pensiero e non è nemmeno un oppositore perseguitato da un regime. Il diritto britannico gli permette di ricorrere in appello e di non essere estradato negli Usa, dove lo attenderebbe un altro regolare processo. Quindi, per favore, non paragonatelo a Navalny

Ora sapete – a onor del vero, lo sapevate anche prima – quale credibilità avessero i commentatori e i gazzettieri che, nel febbraio scorso, quando l’Alta Corte di Giustizia britannica è stata chiamata a pronunciarsi sulla richiesta statunitense di estradare Julian Assange, si erano affrettati a descrivere Assange come il nostro Aleksej Navalny, e quindi – per logica estensione – le nostre democrazie occidentali come equivalenti e intercambiabili rispetto all’autocrazia russa.
Il giochino retorico dei nostri rossobruni (a cui l’Occidente fa orrore, ma che – chissà come mai – stentano a trasferirsi nei “paradisi” di Pechino, Teheran e Mosca) era insidioso, ingannevole, suggestivo, ma in ultima analisi rozzissimo, grossolano, intellettualmente disonesto: parificare Londra e Washington a Mosca, affermare un generico “tutto il mondo è paese”, negare ogni differenza tra (sia pur imperfette) democrazie e (sia pur conclamate) dittature. La “prova” del loro ragionamento stava nel trattamento dei dissidenti o dei dissenzienti: sequestrati di qua e di là, perseguitati a tutte le latitudini, senza distinzioni. A testimonianza di una generica nequizia del potere, ma senza apprezzabili differenze tra “noi” e “loro”.
Sono bastate poche settimane per smontare questo castello di carte. E infatti la sorte dei due protagonisti si è rivelata non solo diversa, ma diametralmente opposta. Il povero Navalny è morto ammazzato: sì, ammazzato. Perché, perfino indipendentemente dalla materiale dinamica del decesso, la sola decisione di spedirlo in una prigione nell’Artico russo, tra gelo, condizioni disumane, isolamento, mancate cure, cibo scarso, era oggettivamente volta all’eliminazione definitiva di un personaggio ancora scomodo per il regime di Mosca.
Quanto invece ad Assange, ieri è stato destinatario di un primo (interlocutorio) pronunciamento favorevole, dal momento che l’Alta Corte di Londra ha detto sì all’istanza degli avvocati dell’australiano, concedendo un’ulteriore carta legale: un appello supplementare, che era stato negato in prima istanza. Morale: quest’ulteriore appello si terrà a maggio, e dunque – per un verso – Assange e il suo team legale potranno ancora far valere la loro tesi di una “persecuzione contro una legittima attività giornalistica”, mentre – per altro verso – le autorità britanniche e americane dovranno produrre “rassicurazioni più affidabili” sulla possibilità di Assange di appellarsi al Primo Emendamento (principio della libertà d’espressione), oltre che sulla garanzia di non andare incontro alla pena di morte in caso di estradizione.
Ora, almeno per un altro mese e mezzo, i nostri rossobruni urleranno, strilleranno, spareranno a palle incatenate contro Usa e Gran Bretagna, ma – miracolo di un sistema che loro detestano – non potranno occultare la realtà delle cose: di là si muore, senza stato di diritto, senza dignità, senza pietas, anzi con prove di autentico sadismo perfino nei confronti dei familiari della vittima, costretti a indicibili umiliazioni per un estremo saluto alla salma; di qua, invece, tutti – bene o male – possono usufruire di garanzie, di procedure, di una difesa secondo legge, di un giudice terzo, di più gradi di giudizio. E anche – ciò che più conta – di un dibattito pubblico aperto e vibrante, in cui la campagna pro Assange può liberamente dispiegarsi, argomentare, fare proseliti, tentare di convincere. Come si vede, c’è tutta la differenza del mondo tra democrazie e dittature, altro che intercambiabilità. Si badi bene: questo non vuole affatto significare che le nostre democrazie siano perfette. Al contrario: sono piene di errori e a volte anche di orrori, ci fanno continuamente disperare, impongono agli spiriti liberi decenni di battaglie non sempre fortunate o maggioritarie. Ma solo chi è in profonda malafede può non cogliere la diversità di forma e di sostanza, di metodo e di contenuto.
Di più: e così cominciamo a portarci avanti con il lavoro.
Un’altra forma ancora più sottile di disonestà intellettuale consiste nel ritenere che, se uno difende le nostre democrazie, con ciò debba tenersi tutto il “pacchetto”, e quindi debba essere arruolato d’ufficio a favore di tecnocrati, politici d’establishment, volponi o uccelli rapaci delle vecchie élites, e così via. Il giochino dei rossobruni è sempre lo stesso, quello del “fantoccio polemico”: polemizzare non contro un avversario reale ma contro una sua caricatura costruita a loro uso e consumo, e alla quale si attribuiscono le posizioni meno difendibili e più sgradevoli. E’ l’ora di smontare queste acrobazie retoriche di quart’ordine: si può essere fieri difensori delle democrazie occidentali e al tempo stesso tenaci riformatori delle stesse, altro che marionette o foglie di fico del “sistema”. Semmai, il titolo di marionetta e di foglia di fico è largamente meritato (a volte spontaneamente, a volte “spintaneamente”: e starei per dire che la prima ipotesi è più spiacevole della seconda, perché essere cretini è peggio che essere corrotti) da chi assume sempre, nella nostra discussione pubblica, il posizionamento più comodo dal punto di vista dei nemici della libertà. Un comportamento da utili idioti, per dirla senza girarci troppo intorno.

DUE SCUOLE

Tutto il resto – a partire dal dibattito sulla figura di Assange – viene dopo: qualcuno lo vede come un martire della libertà, come un eroe del giornalismo anti-sistema, come un grande irregolare che ha rivelato al popolo le oscurità e gli intrighi del potere; altri lo vedono come un traditore, come un uomo che ha messo a rischio le vite di numerosi occidentali, come un soggetto che non ha mai creato problemi ad autocrazie e dittature ma solo alle democrazie dell’alleanza atlantica. Personalmente mi considero tutto sommato più vicino alla seconda scuola di pensiero che non alla prima. Ma ciò – mentre scrivo – mi pare molto poco rilevante, anche perché non pochi sostenitori della seconda tesi, nel loro intento di punirlo con ogni mezzo, hanno maldestramente contribuito a trasformare Assange in un simbolo, in un’icona pop, in un leader generazionale.
E su questo occorrerà tornare un’altra volta, perché le nostre nazioni occidentali continuano a perdere la “battaglia dei cuori e delle menti”: non sanno farsi amare, non sanno difendere le loro buone ragioni, e costruiscono la loro sconfitta strategica sia rispetto alle dittature sia rispetto molti tra i propri figli. Ne riparleremo.
Ma intanto teniamoci strette le nostre imperfettissime democrazie.

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