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Libero Rassegna Stampa
15.04.2019 La dissimulazione di Khalid Chaouki, ex Pd che si appella a Salvini: non una parola sulla Fratellanza Musulmana
Lo intervista Pietro Senaldi

Testata: Libero
Data: 15 aprile 2019
Pagina: 5
Autore: Pietro Senaldi
Titolo: «'Invito Salvini in moschea per un patto anti-terroristi'»
Riprendiamo da LIBERO di oggi, 15/04/2019, a pag. 3, con il titolo 'Invito Salvini in moschea per un patto anti-terroristi', l'intervista di Pietro Senaldi a Khalid Chaouki.

Khalid Chaouki, dopo essere stato 5 anni in Parlamento con il Pd, è diventato presidente della Grande moschea di Roma. Oggi esprime vicinanza e unità di visione con Matteo Salvini, ma non dice una parola sulla Fratellanza Musulmana che ben conosce, perché è egemone e finanziatrice  dell'islam italiano, rappresentato dall'UCOII. I Fratelli Musulmani sono fuorilegge in Egitto, in quanto movimento terrorista, mentre in Italia sono il volto dell'islam ufficiale, pur essendo una organizzazione estremista che si propone l'imposizione della sharia e la creazione del Califfato. La stessa moschea di cui è presidente Chaouki è finanziata con i soldi di Arabia Saudita e Qatar. La dissimulazione di Chaouki è ancora una volta evidente. Ma a Libero sembra non saperlo.
Tra i complimenti di Chaouki a Salvini c'è anche la condivisione sulla famiglia, da tenere a mente il 26 maggio

Ecco l'articolo:

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Pietro Senaldi

Gli immigrati non odiano Salvini, molti sono favorevoli alla lotta del ministro dell’Interno contro gli sbarchi e gli irregolari, in tanti non si sentono rappresentati dalla sinistra, sono in genere più tradizionalisti degli italiani, chiedono legge, ordine e sicurezza. E l’Italia non è un Paese razzista. Non è il mondo visto alla rovescia bensì quello reale, fuori dai salotti televisivi e dalle terrazze del centro. A raccontarlo non è un assessore leghista, un operaio della bassa padana o un disoccupatoin attesa del reddito di cittadinanza. Al di là del tavolo c’è un’autorità in materia, dal curriculum inattaccabile. Khalid Chaouki, nato in Marocco 36 anni fa, in Italia dal 1992, cittadino dal 2006, ex cronista dell’Ansa, deputato del Pd nella scorsa legislatura, è da un anno e mezzo presidente della Grande Moschea di Roma, il più imponente centro culturale islamico d’Europa. «Ci siamo sentiti perché sono preoccupato per quello che può succedere in Italia in termini di estremismo, sia islamico che suprematista, dopo la strage in Nuova Zelanda. Il mio ruolo mi impone onestà verso il nostro Paese e verso la comunità musulmana. Abbiamo un sistema di intelligence e di difesa straordinario, che finora ha impedito attentati,ma serve qualcosa di più per metterlo in sicurezza».

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Khalid Chaouki, Matteo Salvini

Cosa ti fa più paura? «L’anello debole della catena sono le carceri,fuori da un’effettiva azione di monitoraggio e concreta prevenzione. È lì che in molti si radicalizzano e abbracciano l’ideologia jihadista. Poi ci sono le moschee irregolari. In Italia esistono 650 centri islamici privi di statuto religioso, dove predicano nella stragrande maggioranza imam autoproclamati che nessuno controlla e che in alcuni casi tengono rapporti con realtà non del tutto trasparenti. Questa situazione di non chiarezza indirettamente alimenta sentimenti di paura e concede un alibi a chi vuol soffiare sul vento dell’islamofobia».

Cosa proponi? «Serve urgentemente un albo degli imam, bisogna aprire un tavolo per regolamentare l’attività religiosa islamica e tutelare i nostri fedeli più giovani dal rischio di manipolazioni. Il terrorismo islamico non è solo questione di integrazione mancata ma anche di cattivi maestri. Gli attentatori di Bruxelles, Londra e Parigi erano tutti di seconda o terza generazione, immessi nel circolo della solidarietà e mantenuti dagli Stati. Pensare che sarebbero bastati i sussidi per farli stare tranquilli e dare un senso alle loro vite è stato presuntuoso. Così sono stati plagiati da predicatori criminali. Per sradicare l’estremismo dall’Italia ci vuole un patto tra l’Islam e lo Stato, ma non posso farlo da solo. Ho bisogno di Matteo Salvini».

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Il simbolo della Fratellanza musulmana

Vuoi fare un patto con Salvini? «Voglio invitarlo alla Grande Moschea di Roma per redigere un patto anti-integralismo che permetta di costruire un islam italiano. I musulmani non devono più prendere soldi dai Paesi stranieri con agende discutibili per praticare la loro fede e avere luoghi di culto. Voglio fare tante cose, anche aprire un numero verde per le donne islamiche vittime di violenza o segregazione domestica, con un’assistenza continua coordinata con la polizia e i servizi sociali. Noi musulmani dobbiamo fare la nostra parte ma meritiamo un riconoscimento dalle istituzioni».

Salvini e l’Islam non è una convivenza difficile? «Generalmente le soluzioni si trovano con chi parla chiaro, pur nelle divergenze d’opinoni. Dobbiamo mettere da parte i pregiudizi e pensare al bene dell’Italia. Negli Stati Uniti,George W. Bush fu eletto anche grazie al voto dei musulmani. La comunità islamica è apolitica; anzi, su certi temi, come quello della famiglia, è molto più di destra che di sinistra. Ci sono immigrati che delinquono, ma molti di più sono integrati e lavorano, e questi chiedono ordine, sicurezza, leggi e pari opportunità. Le comunità straniere, dall’America Latina, alle Filippine fino all’Est Europa hanno rapporti quotidiani con la chiesa e il mondo cattolico,e spesso sono più conservatrici dei fedeli italiani. Dobbiamo uscire dagli schematismi, l’immigrazione è una realtà più complessa di come si preferisce immaginare».

In che rapporti sei con Salvini? «L’altro giorno mia moglie camminava per Milano con i nostri tre figli e ha visto una massa di persone che assediava un uomo per farsi le foto con lui. I bambini hanno tirato la mamma per la gonna. Erano convinti che ci fosse Fedez e volevano un selfie con il rapper. Invece era Salvini, lei ha spiegato chi era e Matteo si è messo in posa, chiedendole di portarmi i suoi saluti. Salvini lo conosco, abbiamo litigato duramente in passato ma sempre nel rispetto reciproco. Adesso gli chiedo uno scatto da statista. Non perda l’occasione, lanci un segnale».

Dal Pd, da dove provieni, dicono che il ministro dell’Interno è xenofobo e aizza il razzismo. Il suo compagno di governo, Di Maio,lo accusa di avere relazioni con politici che negano la Shoah. Ti piace cantare fuori dal coro? «Sono cresciuto in Italia e ho tre figli italiani. Ti assicuro che non c’è nessun allarme razzismo. Si tratta di episodi isolati. Il razzismo in Italia è più percepito che reale, un po’ come l’allarme sicurezza. Soffiare sul secondo è funzionale a Salvini, puntare sull’emergenza xenofobia fa comodo ai suoi avversari. Gli oppositori del leader leghista stanno cercando di schiacciarlo sull’estremismo di destra, appiccicandogli l’etichetta di fascista, ma soffiare sul fuoco del razzismo significa alimentarlo. È stato anche un mio errore in passato. Il ministro deve avere il coraggio di sfidare i suoi avversari sparigliando. Venga in moschea».

Cosa pensi del successo politico di Salvini? «Punta sull’identità e così dà una risposta allo smarrimento generale, con metodi e contenuti che non sempre condivido. È l’opposto di quanto fa la sinistra, che ha smantellato il concetto di identità in nome di un’idea di solidarismo internazionale che non ha portato benessere. I problemi della gente esistono a prescindere da Salvini, che ha il merito di averli saputi rappresentare, ne è stato il recettore, a differenza del Pd. Per questo è illusorio pensare di mandare a casa il leader della Lega puntando sull’economia. Matteo non lo abbatti con la crisi. E poi bisogna riconoscere che con l’immigrazione nella percezione generale ha vinto. La sinistra era convinta che fosse impossibile frenarla e cercava di convincere gli elettori di questo ma sbagliava. Minniti lo aveva capito ma non ha avuto molto tempo per approntare una strategia vincente. Poi è arrivato Salvini e ha fermato tutto».

Qual è l’errore più grande della sinistra con gli immigrati? «Gli immigrati chiedono di essere trattati alla pari, non dall’alto in basso, come una specie da proteggere, come dei panda. In Italia ci sono due milioni di musulmani; sono di destra e di sinistra ma in comune hanno che nessuno vuole essere strumentalizzato da persone che parlano in loro nome. Una certa sinistra, per essere in pace con se stessa, si è costruita un’identità di paladina degli immigrati che però è a propria immagine e somiglianza e non guarda la vera natura e le reali esigenze di chi dice di voler rappresentare. Il tema cruciale è uscire dalle gabbie della politica. Gli immigrati sono una questione sociale, non una bandiera da sventolare».

Stai parlando in politichese… «Due esempi pratici. Primo. Quando sono diventato presidente della Moschea, mi ha chiamato Malagò chiedendomi di smantellare il mercatino abusivo che si teneva il venerdì sul marciapiede davanti e che infastidiva i residenti e i passanti. Io l’ho fatto, ma i più felici sono stati i nostri fedeli, che non ne potevano più di quel suk illegale. Era un’immagine opposta ai valori di pulizia e rispetto delle regole che il nostro imam predica ogni venerdì. Anche le famiglie straniere non vogliono essere infastidite in strada o sentirsi minacciate la sera. Secondo. Ho rapporti coni Paesi nordafricani e ti posso garantire che negli anni hanno sofferto molto la mancanza di regole certe e di fermezza nella politica migratoria italiana. Oggi gli interessi di chi vive in Italia stabilmente, anche se arrivato da lontano, coincidono con quelli della signora anziana che si lamenta perché le cose non funzionano e teme per la propria sicurezza».

È sempre stato così, in tutti i Paesi… «È la storia. Chi arriva, fa sacrifici enormi, si integra a fatica ed è a uno stadio sociale basso, non apprezza che lo Stato accolga e aiuti altri senza percorsi di inserimento chiari che riconoscano e pretendano diritti e doveri. Un po’ perché ha bisogno lui, un po’ perché è geloso di quanto ha costruito. Pensare di opporsi oggi all’ondata di destra predicando l’accoglienza senza controllo anziché riflettendo su quello che non ha funzionato nell’opzione globalista, che si illudeva che tutti potesse convivere pacificamente senza gestire le differenze identitarie, significa mettere la testa sotto la terra e perseverare nell’errore».

Tra la cultura islamica e quella occidentale ci sono profonde differenze. Dalle donne ai diritti umani, ci sono cose incompatibili con la nostra civiltà… «Nel patto che propongo a Salvini voglio ragionare su valori intoccabili alla base della nostra convivenza. Valori come la parità tra uomo e donna, la libertà di scelta e la condanna della violenza, sui quali siamo i primi a non accettare compromessi all’interno della nostra comunità. Punto a una riforma interna del mondo islamico, dove vedo molti segnali positivi e pagine ancora oscure. Nel consiglio della moschea ci sono gli ambasciatori in Italia di tutti i Paesi islamici, ci sono molti aspetti sui quali lavorare e vogliamo farlo all’interno di un percorso istituzionale chiaro e io credo che diversi Paesi del Mediterraneo stiano cercando di capire in quale direzione voglia andare il ministro degli Interni. Un confronto con i musulmani d’Italia nella più grande moschea d’Europa sarebbe un messaggio di pace ed equilibrio utile per le relazioni con i Paesi del Nord Africa, dove l’Italia sta perdendo molte occasioni, anche economiche».

Il quadro ora però si sta complicando. La Libia è sull’orlo di una guerra civile. «Spero e mi auguro che si torni a ragionare su un futuro di pace, senza riprendere in mano le armi. La proposta italiana ed europea deve concentrarsi su opportunità di crescita per il Maghreb e gli Stati africani. Ci sono tanti soldi già stanziati dall’Europa da spendere. Si possono creare delle società tra immigrati provenienti da quei Paesi e che vivono qui e imprenditori italiani per portare giù il lavoro, creando economia in loco e un’alternativa al flusso di disperati che rischiano le loro vite in mano a criminali senza scrupoli».

Mediti un ritorno in politica? «Il Parlamento è alienante,un mondo chiuso che ti rimbambisce. Una persona sana non può restarci più di cinque anni, anche se lo stipendio fa comodo. Per ora con la politica ho chiuso».

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