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Libero Rassegna Stampa
19.08.2017 Nella lotta al terrorismo, l'Europa ha da imparare non solo da Israele, ma anche dal Marocco
Analisi di Carlo Panella

Testata: Libero
Data: 19 agosto 2017
Pagina: 1
Autore: Carlo Panella
Titolo: «A casa loro il re li bastona e vengono da noi a sfogarsi»

Riprendiamo da LIBERO di oggi, 19/08/2017, a pag. 1, con il titolo "A casa loro il re li bastona e vengono da noi a sfogarsi", l'analisi di Carlo Panella.

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Carlo Panella

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Mohammed VI, re del Marocco

Di nuovo, a Barcellona, ha operato un nucleo jihadista di marocchini, a conferma della consistenza di terroristi islamici che hanno origini nel più occidentale paese arabo-islamico. Anche tra i foreign fighters in Mesopotamia i marocchini costituiscono uno dei gruppi più consistenti. Pure, il Marocco, per una contraddizione solo apparente, è da anni l'unico paese arabo-islamico che riesce a tenere sotto controllo i jihadisti all'intemo del paese. Il Marocco ha quindi sviluppato i migliori servizi anti terrorismo del mondo e strettissima è la loro collaborazione con quelli spagnoli, italiani, francesi e algerini. Particolarmente intensi sono i legami tra i servizi marocchini e quelli spagnoli, anche a causa delle opportunità che hanno i jihadisti di esfiltrare in Spagna e Europa passando in modo legale attraverso le due enclaves di Ceuta e Melilla, due città marocchine sulle coste del mediterraneo che sono però parte integrante del territorio nazionale della Spagna. Da Melilla è infatti entrato in Spagna Mussa Oukabir, il diciottenne autore della strage di Barcellona, nato sulle montagne dell'Atlante e che si è trasformato in jihadista solo molto recentemente.

L'efficienza dei Servizi marocchini è tale che si è portati a pensare che il nucleo terrorista che ha operato in Catalogna giovedì abbia potuto agire indisturbato a causa di gravi deficit nei servizi e nella polizia catalana. Di fatto, l'immunità dal terrorismo jihadista di cui gode il Marocco, che ha però subito due gravi attentati, uno a Casablanca nel 2003 e uno a Marrakech nel 2011, si basa su una strategia articolatissima e unica al mondo che sarebbe bene imitare in Europa e che va ben al di là dell'efficienza dei servizi segreti. Dopo l'attentato di Marrakech infatti, il governo di Rabat, per impulso forte del re Mohammed Sesto, ha preso provvedimenti radicali e complessi. Innanzitutto ha monitorato capillarmente le migliaia di moschee del paese, esautorando con severità tutti i predicatori e gli Imam ambigui o addirittura complici nei confronti del salafismo e del jihadismo. Da anni, tutte le moschee marocchine sono così sottoposte al controllo fiscale del Segretariato del Consiglio degli Ulema, i cui vertici rispondono direttamente al sovrano, che ha il ruolo costituzionale di Emiro dei Credenti (non solo dei musulmani quindi, ma anche dei cristiani e degli ebrei).

Poi, il re, assieme al ministro degli Habous (del Culto), ha radunato nella Rabida, tutti i migliori ideologi e teologi musulmani, sotto la guida del professor Jalal, affidandogli il compito di monitorare il tessuto sociale e religioso marocchino, elaborando e attivando corsi capillari in tutto il paese -scuole e quartieri in primis- contro la radicalizzazione. Particolarissima attenzione viene poi dedicata in Marocco alle carceri con la decisione rendere autonomo il Dgapr, il Dipartimento per l'Amministrazione Penitenziaria e il Reinserimento, dal ministero della Giustizia, al cui vertice è stato posto un ex prigioniero politico. Questa struttura ha in custodia 3.600 jihadisti detenuti e applica efficienti protocolli di de-radicalizzazione (che andrebbero copiati) che hanno già portato a eccellenti risultati, tanto che sono state già deliberate dal re su proposta del Dgapr ben 100 amnistie totali. Il Dgapr ha poi definito un innovativo "panel comportamentale" che serve al personale carcerario per individuare e bloccare le fasi della radicalizzazione jihadista dei detenuti comuni. Infine, il Dgapr si occupa direttamente del reinserimento sociale dei detenuti tanto che i molti furgoncini che effettuano piccoli trasporti nelle città marocchine sono stati donati dal Dgapr a ex detenuti per facilitare il loro reinserimento sociale. Infine, ma non per ultimo, il Marocco, per evitare un jihadismo di ritorno, dedica un'enorme attenzione ai marocchini emigrati (800.000 in Francia, 600.000 in Italia, altrettanti in Spagna, ecc) favorendo la nascita e l'opera di organizzazioni islamiche affidabili corna la Confederazione Islamica che in Italia controlla 400 moschee su 700.

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