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Libero Rassegna Stampa
23.11.2011 Operazione Thunderbolt, 1976. Israele porta in salvo i prigionieri di Entebbe
Andrea Morigi recensisce 'Il Raid di Entebbe' di Simon Dunstan

Testata: Libero
Data: 23 novembre 2011
Pagina: 30
Autore: Andrea Morigi
Titolo: «Quando Israele si riprendeva gli ostaggi»

Riportiamo da LIBERO di oggi, 23/11/2011, a pag. 30, l'articolo di Andrea Morigi dal titolo "Quando Israele si riprendeva gli ostaggi".

Il Raid di Entebbe. Luglio 1976
Simon Dunstan, Il Raid di Entebbe (Libreria editrice Goriziana), Yonathan Netanyahu

La mezz’ora più lunga della storia va sotto il nome in codice di “Operazione Thunderbolt”. Ma nella storia militare è nota come Il raid di Entebbe. Luglio 1976, titolo del volume scritto dall’inglese Simon Dunstan (Libreria Editrice Goriziana, pp. 120, euro 15). L’impresa fu portata a termine dalle teste di cuoio israeliane del Sayeret Matkal e dai paracadutisti del Sayeret Tzanhanim il 3 luglio di 35 anni fa in Uganda, per liberare un centinaio di persone tenute in ostaggio da terroristi palestinesi e tedeschi in un terminal dell’aero - porto di Entebbe.
LE FASI DELL’AZIONE
È un resoconto giorno per giorno della crisi, che si accompagna alla descrizione delle varie opzioni prese in esame dai militari israeliani, a cui fa seguito la narrazione del raid, a partire dal volo degli Hercules C130 con la Stella di David attraverso l’Africa, passando per le fasi del combattimento-lampo contro rapitori arabi e guardie ugandesi, fino all’evacuazione per via aerea e al ritorno trionfale in Israele. A rendere più viva la ricostruzione, che si avvale anche di numerose fotografie dell’epoca, contribuiscono alcune mappe del terreno su cui si svolse l’as - salto. Se ne ricava una sorta di versione 3D notturna della scena, che induce il lettore a concentrarsi sul dettaglio dell’azio - ne. È in quei movimenti precisi dei commandos, indicati con vettori di diverso colore, che si riesce a comprendere il livello di preparazione tattica messo a punto dai comandi dell’Israel Defense Force e autorizzato in pochi giorni dal governo di Gerusalemme. Nulla fu lasciato al caso, benché si dovesse intervenire al più presto, prima dell’uc - cisione degli ostaggi. Non furono trascurate nemmeno le ripercussioni politiche e internazionali del gesto. Da allora, sebbene non furono certo fermate le stragi dei terroristi palestinesi, molti abbandonarono l’idea di colpire Israele. Per lo Stato ebraico la vittoria militare contro il Fronte per la Liberazione della Palestina e l’Uganda di Idi Amin Dada si tramutò in un successo politico. La guerra dello Yom Kippur del 1973, gli attacchi ripetuti dei palestinesi contro i civili israeliani avevano depresso il morale collettivo della popolazione. Nello spazio di una notte i cittadini israeliani passarono, dalla litigiosità che li divideva politicamente, a un ritrovato senso di unità nazionale. Nell’occasione nemici storici come Ytzhak Rabin e Menahem Begin si abbracciarono.
NESSUN CEDIMENTO
Tra gli eroi di quella notte, cadde in battaglia Yonatan Netanyahu, fratello di Benjamin, l’attuale premier israeliano. “Thunderbolt”, in suo onore, fu ribattezzata “Operazione Yonatan”. Vi furono altre perdite umane, sia fra i militari che fra i civili, durante il combattimento. Sebbene doloroso, non fu evitabile. E fu considerato un sacrificio necessario a salvare non solo le vite degli ostaggi di Entebbe, ma anche a evitare in prospettiva altre aggressioni contro obiettivi ebraici. Tuttavia all’epoca non si affacciò mai, nemmeno per un attimo, l’ipotesi di un cedimento alle richieste dei terroristi (fra i quali c’erano anche due comunisti tedeschi delle Revolutionäre Zellen) che pretendevano la liberazione di 40 palestinesi detenuti in Israele e di altri 13 loro compagni che si trovavano allora in carcere in Kenya, Francia, Svizzera e Germania. Altrimenti, ogni ebreo sul pianeta sarebbe divenuto l’obiettivo di violenze e ricatti.
IL CASO SHALIT
A oltre tre decenni di distanza, anche a Gerusalemme, sono cambiate le proporzioni del calcolo politico e l’intensità delle pressioni internazionali. Poco più di un mese fa, per ottenere la liberazione del proprio caporale Gilad Shalit, rapito dai terroristi di Hamas nel giugno del 2006, il governo di Israele ha trattato, fino ad accettare di scarcerare 477 pericolosi detenuti palestinesi. Nella società ebraica, così come nel mondo occidentale che le è vicino, l’entità della contropartita è stata giudicata con più di una perplessità. Si è aperto un lungo dibattito, non ancora concluso, sull’opportunità di porre a rischio, attraverso la liberazione di centinaia di potenziali terroristi palestinesi, la vita di persone innocenti.
UN’ALTRA OCCASIONE
Non è difficile tuttavia individuare altre analogie fra la situazione del 1976 e quella odierna. Attualmente, dopo le campagne in Libano e a Gaza, senza contare l’incursione a bordo dell’imbarcazione pacifista-terrorista Navi Marmara, il passato splendore di Tsahal e delle sue forze speciali sembra un ricordo un po’ opaco. Forse manca soltanto l’impresa epica in grado di riportare in superficie il valore, il coraggio e la forza di uno dei migliori eserciti al mondo. Se e quando si ripresenterà l’occasio - ne appropriata per dimostrarlo, Israele dovrà approfittarne.

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