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Libero Rassegna Stampa
27.04.2010 Le organizzazioni umanitarie fanno il gioco di dittatori e guerriglieri
Linda Polman spiega in che modo nel suo libro 'L’industria della solidarietà'

Testata: Libero
Data: 27 aprile 2010
Pagina: 1
Autore: Francesco Borgonovo
Titolo: «La solidarietà che aiuta gli oppressori»

Riportiamo da LIBERO di oggi, 27/04/2010, a pag. 1-35, l'articolo di Francesco Borgonovo dal titolo " La solidarietà che aiuta gli oppressori ".


Linda Polman, 'L'industria della solidarietà', Bruno  Mondadori 2009

Due settimane fa abbiamo visto - durante una puntata di Annozero di Michele Santoro -il fondatore di Emergency Gino Strada discutere animatamente con il saggista statunitense Edward Luttwak. L’argomento della lite, conclusa con Strada che diceva all’av - versario «ma questo è matto», era il ruolo delle organizzazioni umanitarie nei territori di guerra, per esempio l’Afghanistan dove nelle scorse settimane sono stati arrestati tre operatori di Emergency accusati di essere terroristi. Grazie anche all’intervento del governo, sono poi stati liberati e Strada se l’è presa anche con Libero (accusato di essere «spazzatura») per gli articoli scritti sulla vicenda, poiché non si limitavano a riportare la sua vulgata. In trasmissione, Luttwak sosteneva che molto spesso le ong, magari senza volerlo, contribuiscono a sostenere i regimi in vigore nei Paesi bisognosi di aiuti. Nel caso dell’Af - ghanistan, si capiva, l’inter - vento umanitario sarebbe in parte funzionale ai talebani. Gino furioso Di fronte a questa argomentazione, Strada andò su tutte le furie, anche se l’americano non si riferiva direttamente a Emergency. Il fatto è che Luttwak non aveva tutti i torti, almeno secondo la giornalista olandese Linda Polman, autrice di un bestseller internazionale uscito in Italia col titolo L’industria della solidarietà (Bruno Mondadori, 2009). Lo scorso fine settimana, la Polman ha partecipato al festival del giornalismo di Perugia e ieri ha tenuto una conferenza al Circolo dei lettori di Torino. Il libro della Polman è appena uscito nel Regno Unito, provocando molte polemiche, e presto sbarcherà anche negli Stati Uniti. Considerata dal Guardian uno dei migliori esempi di giornalismo negli ultimi anni, questa inchiesta sostiene più o meno la stessa cosa che diceva Luttwak da Santoro. Gli aiuti umanitari nelle zone di guerra spesso sono più utili ai potenti locali, anche se liberticidi come i talebani, che alla popolazione. Uno dei territori presi in esame dalla Polman è proprio l’Afghanistan tanto caro a Emergency. A favore del Paese dei fanatici dell’islam, dice la giornalista, già nel 2004 operavano 2500 organizzazioni umanitarie. Un quadro incredibilmente frammentato, quindi, che contribuisce a favorire i talebani. Poiché chi porta aiuti opera anche nelle aree controllate dai mullah, deve per forza piegarsi alle loro regole. «Non conosco bene il caso di Emergency», spiega la Polman a Libero, «perché non me ne sono occupata direttamente, ne ho solo letto sui giornali. Posso dire che il lavoro degli operatori umanitari è estremamente pericoloso e questi sono costantemente esposti a rischi. In Afghanistan poi è talmente pericoloso che è difficile per le organizzazioni muoversi per capire come vengano impiegati i soldi degli aiuti». Secondo la Polman, per poter operare nei territori, «bisogna fare i conti con l’autorità locale». E dove l’au - torità locale sono i talebani, si lavora in base alle loro regole. Altrimenti non si realizza nulla. Nel libro della giornalista viene dipinto un quadro abbastanza sconcertante. «Secondo Talatbek Masadykov, responsabile della delegazione delle Nazioni Unite nell’Af - ghanistan del Sud», si legge, «le organizzazioni umanitarie a Uruzgan consegnavano un terzo degli aiuti alimentari e per l’agricoltura ai talebani (2007)». Più avanti, la Polman spiega che «tra il 2001 e il 2008, dall’inizio della guerra al terrorismo, più di sessanta Stati donatori hanno destinato in totale 15 miliardi di dollari di aiuti all’Afghanistan, ma dove siano finiti esattamente quei fondi non è chiaro. Né i donatori né le loro Ong hanno il coraggio di andare a verificare i progetti umanitari che finanziano. Questo ha determinato una gestione molto poco trasparente dei miliardi destinati agli aiuti, che desta più di qualche perplessità. Ospedali che non sono stati mai costruiti, scuole per bambine dove in realtà ci sono solo alunni maschi: in Afghanistan tutti conoscono qualche esempio di progetto umanitario finanziato e mai realizzato». Controlli assenti Ed ecco il passaggio chiave: «L’assenza sistematica di controlli sui fondi provenienti dagli aiuti ormai viene definita comunemente “Afghani - scam”. Gli approfittatori afghani possono sottrarre indisturbati i fondi, e nelle zone tornate sotto il controllo dei talebani i miliziani possono usare i soldi sottratti per aumentare e rafforzare la loro base». In sostanza, ha ragione Luttwak quando sostiene che spesso - pur con le migliori intenzioni - le Ong fanno il gioco dei regimi in vigore nei Paesi da aiutare. Come? Per esempio con gli affitti: «Dove arrivano gli aiuti umanitari, i capi politici, militari ed economici locali a un tratto cominciano a girare su automobili di lusso e a farsi costruire belle case», spiega la cronista. «I prezzi all’interno degli “spazi umanitari” salgono alle stelle, primi fra tutti quegli degli affitti immobiliari, perché le organizzazioni umanitarie hanno sempre urgente bisogno di un numero illimitato di metri quadri per abitazioni e uffici, oltre che di magazzini per gli aiuti. In una Kabul distrutta dalle bombe, dopo l’arrivo degli operatori umanitari gli affitti divennero più cari che in una città olandese: per 5000 dollari al mese, gli stranieri potevano aggiudicarsi una catapecchia decrepita. Molti dei proprietari degli immobili sono ricchi afghani che vivono all’estero. Secondo gli agenti immobiliari si tratta per lo più di comandanti dei talebani e dell’Al - leanza del Nord che vivono in Pakistan e con i proventi degli affitti addestrano le loro milizie ». Nonostante ciò, dice la Polman, i collaboratori delle Ong sono comunque considerati “nemici” dai guerriglieri islamici, poiché identificati con gli “invasori” americani e non. Quindi sono considerati obiettivo possibile di attacchi. Come si può porre rimedio a questo stato di cose? Come spiega a Libero la Polman, la cosa migliore sarebbe che le centinaia di organizzazioni umanitarie presenti sul territorio afghano cooperassero fra loro, in modo da costituire un fronte unitario. «A quel punto, potrebbero dire alle autorità locali: qui si lavora alle nostre condizioni, non alle vostre». Chissà se Gino Strada leggerà L’industria della solidarietà.

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