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Libero Rassegna Stampa
10.05.2009 La notte dei poeti fucilati perchè ebrei
Uno dei crimini di Stalin

Testata: Libero
Data: 10 maggio 2009
Pagina: 31
Autore: Ugo Finetti
Titolo: «La notte dei poeti fucilati perchè ebrei»

Riportiamo da LIBERO di oggi, 10/05/2009, a pag. 31, l'articolo di Ugo Finetti dal titolo " La notte dei poeti fucilati perchè ebrei " sul libro di Francesco Maria Feltri dal titolo " La notte dei poeti assassinati " (SEI, Torino 2009, pp. 415, 20 euro ). Nel libro Feltri scrive dell'assassinio dei quattordici esponenti del Comitato Ebraico Antifascista creato da Stalin dopo l’invasione hitleriana del 1941 e che l’8 maggio del 1952 furono processati per tradimento, cospirazione e spionaggio e, dopo pochi mesi, fucilati. Ecco l'articolo:

«Sono ebreo. Ho ricevuto la medaglia al Valore del lavoro durante la Grande guerra patriottica 1941-1945. Sono uno scrittore. Sono stato arrestato il 24 gennaio 1948 e ho ricevuto copia dell’atto d’accusa il 3 maggio 1952»: con queste e simili parole si presentavano uno dopo l’altro i quattordici esponenti del Comitato Ebraico Antifascista creato da Stalin dopo l’invasione hitleriana del 1941 e che l’8 maggio del 1952 venivano processati per tradimento, cospirazione e spionaggio. Un processo segreto senza avvocati e senza pubblico ministero dopo tre anni e mezzo di detenzione. I dibattimenti contro i cospiratori erano sempre stati per Stalin un’occasione di spettacolo propagandistico, ma in questo caso gli ebrei alla sbarra non furono ritenuti un’immagine da divulgare. L’istruttoria fu di una lunghezza straordinaria anche in conseguenza del fatto che il principale attore dell’orchestrazione delle accuse – il ministro della sicurezza Victor Abakumov - era caduto nel frattempo in disgrazia ed arrestato nel luglio del 1951.
L’“affare Cea” fu l’ultimo processo prima che Stalin morisse nel 1953 ed il suo epilogo con la fucilazione degli imputati, tra cui poeti e scrittori, la notte del 12 agosto 1952 venne ricordato sin dall’inizio dalle comunità ebraiche come «la notte dei poeti assassinati». Una vicenda che intreccia repressione e antisemitismo nel regime comunista, ma che anche dopo l’apertura degli archivi sovietici è rimasta con molti lati oscuri. Nel 1997 il Libro nero del comunismo di Stèphane Courtois la rievocava infatti lamentando una «documentazione ancora lacunosa» e ricorrendo solo a ipotesi circa lo svolgimento del processo tenuto a porte chiuse nella sede dei servizi segreti, la Lubianka, davanti ad una Corte militare. Ora finalmente su questo capitolo dell’antisemitismo comunista si può fare piena luce grazie ai verbali ritrovati nel 2004 e pubblicati in Italia a cura di Francesco Maria Feltri nel libro intitolato appunto La notte dei poeti assassinati (SEI, Torino 2009, pp. 415, 20 euro).
È così che per la prima volta vediamo “rivendicato” dalle autorità sovietiche l’assassinio del presidente del Comitato, il direttore del teatro yiddish di Mosca Salomon Mikhoels, che era stato trovato morto il 13 gennaio 1948 a Minsk e che era stato sotterrato con grandi onori accreditando la versione di un incidente d’auto. Gli arresti erano iniziati nelle settimane precedenti e l’impianto accusatorio coinvolgeva l’intero vertice del Cea a cominciare dal suo presidente. Ma Mikhoels era un personaggio molto popolare e che il regime valorizzava da anni.
Il Cea era stato creato nel marzo del 1942 avendo tra i principali obiettivi quello di raccogliere fondi negli Stati Uniti ed è proprio da lì che Albert Einstein - che già aveva collaborato ai Comitati filosovietici di Willi Munzenberg nella Germania di Weimar - propone che il Comitato raccolga la documentazione della persecuzione degli ebrei che hanno attuato i tedeschi nel corso dell’invasione dei territori sovietici. Ma proprio nella realizzazione di quest’opera - “Il libro nero” sul genocidio nazista - si registrò l’inizio della caduta in disgrazia della causa ebraica. Infatti agli occhi di Stalin mettere a fuoco la persecuzione antisemita appariva come un tentativo di negare l’unità nazionale, il carattere “patriottico” della guerra sovietica contro Hitler. È così che - ricostruisce Francesco Maria Feltri - «si cominciò a far uso della formula generica pacifici cittadini sovietici ovvero a omettere la parola ebrei persino in contesti (come l’eccidio di Babij Jar, vicino a Kiev, o le esecuzioni praticate con camion a gas, a Minsk) in cui menzionare la nazionalità delle vittime sarebbe stato indispensabile». Il testo - che aveva tra i principali autori gli scrittori Il’ja Erenburg e Vasilij Grossman - venne prima corretto e censurato e alla fine si decise di non pubblicarlo.
L’attività del Comitato diventò tradimento e sovversione nell’immediato dopoguerra quando nel settembre 1947 a Mosca vi furono manifestazioni di massa non organizzate dalle autorità sovietiche per festeggiare l’arrivo di Golda Meir a capo della prima delegazione israeliana in visita al Cremlino. A novembre il Comitato Ebraico Antifascista è sciolto in quanto «centro di propaganda antisovietica» e a dicembre iniziano gli arresti.
Nel leggere i verbali del processo segreto si coglie come lo stesso Tribunale viva momenti di tensione e di imbarazzo di fronte all’evidente montatura e alla ritrattazione delle confessioni estorte con la violenza. Emergono tradimenti e delazioni e gli imputati si difendono replicando persino con ironia alle accuse. Lo stesso presidente Cheptsov diventa esitante e il processo ha tempi insolitamente lunghi rispetto agli altri procedimenti pubblici: dura fino a metà luglio. Finalmente la sentenza e le fucilazioni. Il libro ricostruisce non solo la verità, ma porta anche alla luce una importante pagina della dignità e del coraggio degli ebrei sottoposti a persecuzione. Dal banco degli imputati lo scrittore David Bergelson replica: «Non può esservi nulla di criminale nella frase: Io sono un ebreo. Se mi avvicino a qualcuno e gli dico: Sono ebreo, che c’è di male?».

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