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Libero Rassegna Stampa
22.07.2006 Può finire la guerra in Medio Oriente ?
le tesi di Vittorio Messori e la risposta di Fiamma Nirenstein

Testata: Libero
Data: 22 luglio 2006
Pagina: 1
Autore: Michele Brambilla - Caterina Maniaci
Titolo: «La verità su questa guerra? Non interessa, non finirà mai - La guerra, Dio, i terroristi, caro Messori»

LIBERO del 21 luglio 2006 pubblica in prima pagina un'intervista di Michele Brambilla a Vittorio Messori, il quale indica nei fattori religiosi le vere cause del conflitto mediorientale.
Ecco il testo:  
 

È inutile farsi illusioni: la guerra tra i palestinesi (più in generale: il mondo islamico) e Israele è destinata a non avere fine perché nessuno dei contendenti vorrà mai - anzi, «potrà» mai - rinunciare al proprio obiettivo. Chi crede che si possa risolvere il conflitto con gli strumenti della diplomazia, della politica e dell'economia è soltanto un'anima bella che pensa di poter applicare le proprie categorie di pensiero a un mondo che ha ben altre, e ben più profonde, motivazioni. Dunque finirà così: finirà che a un certo punto diventerà decisiva l'immane sproporzione numerica: un miliardo di musulmani da una parte, cinque milioni di israeliani dall'altra. E allora Israele, per difendere il proprio diritto a esistere, non avrà altra via di scampo che fare ricorso alla bomba atomica. Mamma mia. Che scenario. Ma questo è quello che pensa Vittorio Messori, uno che per anni è stato ritenuto troppo "politicamente scorretto", ma che alla fine ha dimostrato di vederla lunga. Andiamo con ordine. A Messori (...) avevamo telefonato perché ci era venuto un sospetto di cui volevamo chiedergli conferma. Il sospetto era questo: la guerra in Libano è un fatto drammatico e inevitabilmente occupa le prime 10-12 pagine di tutti grandi quotidiani; però abbiamo l'impressione che il 90, forse 95 per cento dei lettori, quelle pagine le salti a piè pari. E' cinico dirlo: ma di quel che sta accadendo in Libano la gente disinteressa totalmente. Perché è lontano da casa nostra? Non solo. Il fatto è che alla guerra in quei posti siamo abituati, anzi assuefatti. La riteniamo inevitabile. Pensiamo, da maledetti egoisti: è un film già visto, tanto lì continueranno ad ammazzarsi, non c'è niente da fare. Vittorio Messori, forse il più noto scrittore cattolico del mondo, ci conferma nel nostro sospetto: «I credenti lo pensano per sensus fidei, i non credenti per semplice fiuto della realtà: ma tutti pensano che la guerra in quei posti sia una non-notizia. Da quelle parti non è patologica la guerra: sarebbe patologica la pace». Abitudine e rassegnazione, dunque? «Non solo. C'è anche l'incapacità dei nostri analisti, dei nostri cosiddetti "esperti" di spiegare che cosa sta succedendo. Preciso: non sanno spiegare che cosa sta succedendo per il semplice motivo che non lo capiscono». Perché? «Perché pensano di spiegare comportamenti dei contendenti con le categorie della politica e dell'economia. E sbagliano. Quello che avviene là non fa parte della storia ma della metastoria. Più che l'analisi sociologica, lì conta la profezia biblica. La prospettiva non è politica, ma teologica e perfino apocalittica. Quando trovo sui giornali l'ennesimo saccente che dice la sua senza tenere conto dell'importanza del fattore religioso, ridacchio e giro pagina» Adesso è lei che deve spiegare. «Ci provo. Cominciamo con l'analizzare le tre forze in campo» Perché tre? «Israele e Palestina sono gli attori sul palcoscenico, ma dietro le quinte ci sono gli Stati Uniti. Anzi, nella prospettiva araba, contendenti sono solo due: loro, gli arabi, e gli Stati Uniti». E Israele? «Per gli arabi Israele non esiste. Nei libri di scuola non è mai neppure nominato. Ciò che vive nel territorio di Israele è chiamato "Entità Sionista". E l'"Entità Sionista" per gli arabi è solo la cinquantunesima stella degli Usa». Una tesi molto simile a quella della sinistra italiana. «Esatto. La quale sinistra italiana oggi dice che nel 1948 gli ebrei "rapinarono" la terra ai palestinesi, ma evidentemente non sa che nei dibattiti del 1947 alle Nazioni Unite fu proprio l'Unione Sovietica ad appoggiare con ogni mezzo la realizzazione del "sogno sionista". Stalin vedeva nella nascita dello Stato di Israele un colpoall'imperialismo britannico inferto dagli ebrei comunisti russi e polacchi. L'Urss fu il primo Stato al mondo a riconoscere la nuova repubblica di Israele. Poi il voltafaccia, quando Stalin si rese conto che - per ragioni economiche, storiche e culturali - il nuovo Stato cominciava a gravitare verso l'Occidente e soprattutto verso gli Stati Uniti». Ma andiamo avanti con l'analisi delle forze in campo e delle motivazioni che le muovono. «Tutti e tre si muovono in una dimensione teologica. Comincio dalla forza in campo meno sospettabile di fondamentalismo: gli Usa». Cioè? «Anche Bush è spinto da motivazioni religiose. Fa parte di una corrente protestante oggi maggioritaria negli Usa: i "Cristiani per Israele". Sono convinti che la Parusìa, cioè il ritorno di Cristo sulla terra, potrà avvenire solo quando Israele si convertirà. E' una convinzione tratta da una frase di san Paolo. Il punto è che questi protestanti, di cui Bush fa parte, ritengono che gli ebrei, per convertirsi, devono essere riuniti in un solo luogo. Quindi Bush si batte per una causa non ebraica bensì cristiana: ma comunque religiosa». Veniamo ai musulmani. «Ovviamente anche loro sono mossi da motivazioni teologiche. E' sbalorditivo vedere opinionisti che trattano la questione in termini politici, senza tener conto che per l'islam non esiste politica senza religione. Nella prospettiva islamica il mondo è diviso in due: i territori di Allah e i territori di guerra. Quindi fare guerra ai Paesi non islamici è un dovere. Ma c'è di più». E cioè? «Una volta che il terreno è stato "santificato" dalla presenza islamica, non si può più tornare indietro. Dove oggi c'è Israele, dal nono secolo c'erano i musulmani. E quindi quella terra deve tornare musulmana. Non dimentichiamo che per l'islam Gerusalemme è la seconda città santa, è la città dove riapparirà Maometto alla fine dei tempi. Capito? Per l'islam Israele è un cancro da estirpare. Mi fanno ridere gli analisti che propongono cooperazione economica e reciprocità. Tutti questi discorsi sui confini, sulle spartizioni territoriali eccetera, sono cecità di gente che non conosce la prospettiva religiosa degli islamici ». E gli ebrei? «Pure loro si muovono in una prospettiva teologica. Per l'ebraismo terra e sangue sono inscindibili. E la loro terra è quella, non altre. Per questo, nel corso della storia, il movimento sionista ha rifiutato la proposta di altri territori anche più grandi e più ricchi: in Uganda, in Australia, in Canada, in Etiopia. Gli ebrei non vogliono una terra dove possono stare al sicuro. Vogliono "quella" terra. Vogliono Gerusalemme». Qualcuno sorriderà nel sentirla parlare così. Dirà che la vera questione non è religiosa ma come al solito economica. «Faccia pure. Ma è frutto di un inquinamento marxista pensare che tutto giri intorno al denaro. Nel mondo musulmano si preferisce morire piuttosto che darla vinta a Israele». E quelli che dicono che è la miseria a spingere i palestinesi alla guerra? «Una scemenza smentita da un fatto incontrovertibile. Hanno calcolato che con i soldi spesi dai Paesi arabi per fare tre guerre a Israele, avrebbero potuto regalare a ogni palestinese una villa con piscina. Ma i palestinesi preferiscono la guerra alla villa con piscina». Come finirà? «Visto che le motivazioni sono queste, nessuno può cedere. E allora finirà che a un certo punto diventerà soverchiante la disparità numerica: un miliardo di musulmani contro cinque milioni di israeliani. E Israele, quando sarà con le spalle al mare, sarà costretto a usare la bomba atomica».

Il 22 luglio 2006 Caterina Maniaci intervista Fiamma Nirenstein sulle tesi di Messori.
Condividiamo i rilievi della giornalista.
Sia per quanto riguarda la parte condivisibile dell'analisi di Messori, ovvero la contestazione dei luoghi comuni sulle origini economico-sociali e nazionalistiche del conflitto israelo-palestinese 
e il rilievo giustamente dato al ruolo delle motivazioni religiose nell'opposizione del mondo islamico all'esistenza stessa di Israele.
Sia per quanto riguarda la parte che è invece inquinata da falsi presupposti ed errori di valutazione: non è vero che il rapporto tra gli ebrei e la loro terra sia improntato a fondamentalismo. Lo prova ampiamente, se non altro, il fatto che la maggioranza degli israeliani, tra la conservazione dell'integrità dei territori biblici e una sia pur incerta prospettiva di pace, ha sempre scelto a favore di quest'ultima (accettazione della spartizione nel 1948, ritiro dal Sinai , ritiro da Gaza).
Allo stesso modo, il sostegno di Bush alla nascita di uno stato palestinese e al ritiro da Gaza prova ampiamente che non è una visione fondamentalista a guidare la strategia del presidente americano.
Per questo, come giustamente sostiene la Nirenstein , non è vero che la catastrofe atomica in Medio Oriente sia inevitabile, come vorrebbe la terribile previsione di Messori. Nella regione non è in atto uno scontro tra due fondamentalismi, ma tra una democrazia liberale e laica e l'islamismo jihadista.
E' dalla sconfitta di quest'ultimo, e dall'affermazione di un islam laico, dalla separazione tra "stato e moschea" che potrà venire una soluzione del conflitto favorevole per tutte le parti coinvolte.

Ecco il testo dell'intervista a Fiamma Nirenstein:

ROMA Vittorio Messori «ha ragione quando sostiene che le ragioni profonde del conflitto mediorientale hanno radici religiose, anzi millenariste». Ma le sue conclusioni «non le condivido: questa guerra potrà avere una fine, e non una fine forzatamente catastrofica. Quando l'Occidente prenderà finalmente atto che questa è in realtà una guerra contro il terrorismo internazionale e fondamentalista e agirà di conseguenza. Quando l'Europa metterà da parte il suo colpevole immobilismo e smetterà di guardare a Israele con diffidenza, quando addirittura con aperta ostilità». Fiamma Nirestein, nota scrittrice ed editorialista della Stampa da Gerusalemme, appena tornata dal "fronte" della guerra, così commenta le idee espresse da Messori nell'intervista pubblicata ieri da Libero. Una prospettiva religiosa per analizzare la crisi in Medio Oriente. Condivide questa posizione? «Sì, senz'altro è vero che sbaglia chi applica criteri solo sociologici e politici all'analisi del conflitto. Le radici religiose sono profonde e determinanti. Ma questo è vero per quel che riguarda il fronte islamico. È sbagliato pensare che Israele agisca pensando a "guerre sante" o di conquista». Ci sono degli esempi concreti? «Faccio una premessa importante: io sostengo la linea dei "due poli, due Stati", per Israele e per i palestinesi». Fatta la premessa... «In realtà gli israeliani si sono sempre ritirati: dal Sinai, dopo l'accordo con l'Egitto, poi unilateralmente sia dal Libano, nel 2000, che da Gaza nell'agosto dell'anno scorso. Poi non hanno fatto che tendere la mano. Non hanno nessuna visione millennarista della loro presenza a casa loro, tantomeno una visione di conquista. Al contrario, sono sempre stati costretti a guerre di autodifesa, a combattere. Quel che succede oggi ne è la prova evidente». Terra e sangue, come dice Messori, non valgono per Israele? «Per gli ebrei terra e Libro sono inscindibili. Il trinomio dell'ebraismo è: terra, popolo e Libro, la Bibbia. Hanno desiderato tornare nella loro terra d'origine, da cui sono stati espulsi, durante un esilio sostenuto dalla memoria. Gli ebrei sono una nazione e come qualsiasi nazione per loro si è trattato solo di tornare a casa». Cosa risponde all'accusa, spesso ripetuta, di aver "rapinato" la terra dei palestinesi? «Israele è stato una nazione dispersa, che ha tentato, in tutti i modi possibili, l'integrazione presso i popoli in cui si trovava dopo le varie diaspore. Un'integrazione spesso impossibile, per cui gli ebrei hanno pagato sulla propria pelle persecuzioni, antisemitismo, culminati nell'orrore della Shoah. Ma sono rimasti un popolo e una nazione. Perché questo sacrosanto diritto, valido per ogni nazione e per ogni popolo, di volere una casa, una patria, è così platealmente negato a Israele?» Non ci sarà dunque mai pace, in quella terra? «Torno a dire che Messori ha ragione da vendere quando dichiara che gli analisti sbagliano nel considerare la questione mediorientale dal punto di vista della politica e dell'economia, di una mera questione territoriale. Un errore commesso anche a livello planetario». La famosa formula "territori in cambio di pace... «Da anni ho sempre criticato la formula "terra in cambio di pace2, usata nell'illusione che ciò potesse placare il conflitto. In quella terra si andava formando, e si è formata in maniera definitiva in seguito alla nascita dei movimenti integralisti islamici, l'idea che quella zona deve essere "libera dagli ebrei" e poi "libera dall'occidente"». Chi sono allora i veri nemici? «Oggi esistono alcuni Paesi del mondo arabo che fanno della guera un motivo "fondante" della loro politica. In primis, l'Iran, il quale ha a che fare direttamente con gli Hezbollah, che hanno rifornito di 12mila missili, tra i più avanzati e all'avanguardia. Con il suo presidente Ahmadinejad che ha dichiarato di voler far diventare l'Iran il Paese leader del mondo ara bo, di voler spazzare via Israele e in seguito condurre la guerra contro l'Occidente. Poi, c'è la Siria. Infine le organizzazioni terroristiche e integraliste islamiche: in prima fila Hamas, che , a sua volta, ha a che fare con tutti questi Paesi. La sede principale di Hamas non si trova a Gaza, ma a Damasco». Il ministro degli Esteri Massimo D'Alema sostiene che non ci sono "prove" del coinvolgimento di Iran e Siria in questa crisi. «Ci si nasconde davanti a fatti tanto evidenti. Perché il problema che viene posto da questo conflitto è la guerra contro il terrorismo, su scala internazionale. Quello stesso terrorismo che ha abbattuto le Torri Gemelle di New York, che ha messo le bombe a Madrid e a Londra». Cosa dovrebbe fare l'Europa? «Da parte di un certo mondo arabo c'è un odio distruttore; da parte di Israele, fin dall'atto di nascita nel 1948, c'è la disperata volontà di esistere. Non c'è testimonianza più grande di amore per la vita di quella resa dallo Stato ebraico. Davanti a un'Europa che non vuole più difendersi, c'è un esempio a cui dovrebbe guardare: quello di Israele e della sua strenua difesa della società democratica».

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