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Shalom Rassegna Stampa
02.07.2016 Sharia in Europa: Dossier SHALOM 1
Analisi di Piero Di Nepi, Daniele Toscano

Testata: Shalom
Data: 02 luglio 2016
Pagina: 2
Autore: Piero Di Nepi - Daniele Toscano
Titolo: «Da Houellebecq a Molenbeek - Sharia, la legge di Dio che colpisce il corpo per educare l'anima»

Riprendiamo da SHALOM di giugno 2016, a pag. 2, con il titoli "Da Houellebecq a Molenbeek", l'analisi di Piero Di Nepi; a pag. 3, con il titolo "Sharia, la legge di Dio che colpisce il corpo per educare l'anima", l'analisi di Daniele Toscano.

Piero Di Nepi: "Da Houellebecq a Molenbeek"

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Molenbeek, Bruxelles

Per uno dei casi che talvolta aiutano sventuratamente le vendite dei libri, il contestatissimo romanzo Sottomissione di Michel Houellebecq uscì in Francia nel 2015 subito dopo le stragi a Charlie Hebdo e all’Hypercacher. A contrastare l’azione terroristica c’erano stati anche musulmani, come un commesso africano e il poliziotto che sacrificò in strada la propria vita. Houellebecq raccontava il futuro immediato di una Francia che lo scrittore vede rapidamente scivolare sotto il controllo politico dell’Islam radicale. Sulle qualità letterarie del volume, forse scarse, pochissimi interventi. Tuttavia, il perbenismo bacchettone della sinistra specializzata in banalità aprì l’ineluttabile fuoco di sbarramento contro uno scrittore molto furbo e del tutto politically incorrect.

Il titolo puntava tutto su un facile equivoco, giocando sul termine “sottomissione” (al-’Islam in arabo), il quale risulta traduzione letterale del concetto teologico che accomuna l’Islam all’Ebraismo e al Cristianesimo: e cioè la sottomissione del credente all’Autorità divina. Houellebecq effettua un’operazione letteraria molto simile, in buona sostanza, alle storie alternative con le quali tre scrittori avevano narrato le vicende di un mondo e di un’America governati dai nazisti: Philip K. Dick già nel 1962, poi Robert Harris (1992) e Philip Roth (2004). Ma anziché nel passato hitleriano si era proiettato in un possibile futuro parigino radicalmente islamizzato. Ormai è di moda dire “finiremo come a Tel Aviv”, finiremo come all’aeroporto Ben Gurion. Forse, ma non nel senso sottinteso dai mezzi d’informazione. La verità è quella di sempre: si comincia con gli ebrei, e poi arriva il turno di tutti gli altri. Il problema dell’insediamento dei musulmani in ogni parte del mondo consiste molto semplicemente nel fatto che sono in molti ad arrivare portando con sé una mentalità di maggioranza e di proselitismo esasperato. E’ l’equivalente contemporaneo del Cristianesimo al tempo dell’Impero sotto Teodosio (379-395).

E come L’Islam, anche le altre grandi tradizioni spirituali non prevedono distinzioni tra la fede e la politica. Ma la storia d’Europa ha provveduto a regolare e bilanciare il rapporto, anche se Sua Maestà la Regina Elisabetta II d’Inghilterra è tuttora a capo della Chiesa Anglicana. Per di più al mondo dell’immigrazione musulmana manca il correttivo imposto dalla tradizione ebraica nella diaspora: “La Legge dello Stato è Legge”. Finché non colpiscono fisicamente la presenza ebraica e fino a quando le leggi consentono l’osservanza dei fondamenti halachici dell’Ebraismo, gli Stati devono essere onorati e rispettati. Parlare adesso di esclusione e di emarginazione dei giovani musulmani a Barbes (Parigi) oppure a Molenbeek (Bruxelles), di fallita integrazione, è ridicolo. Le seconde e le terze generazioni, i nati in Europa e cittadini a pieno titolo con pienezza di diritti e doveri, rifiutano la società che li ha accolti e alfabetizzati fino al diploma.

Se di esclusione si tratta, è una auto-esclusione e una segregazione che si sceglie in quartieri dove gli “altri” non sono più ospiti graditi. Le rivolte giovanili marcano la storia di ogni tempo. I ragazzi e le ragazze del ’68 sognavano il comunismo egualitario, qualcuno scivolò nelle bande armate, molti si innamorarono delle guerriglie e dei terroristi del cosiddetto “Terzo Mondo”. Al marxismo estremista si è sostituito il fondamentalismo religioso. Quella dell’Islam appare la situazione più inquietante. L’estremismo insegnato e praticato come unica fede impone il rifiuto della dialettica e del dialogo, l’obbedienza cieca ai teologi più aggressivi. L’Italia ha conosciuto qualcosa di simile al tempo delle grandi crisi che aprirono e poi chiusero l’età dell’Umanesimo, con Bernardino da Siena e Girolamo Savonarola. Una parte dell’Islam rifiuta l’idea di modernità e di libertà che ha aiutato la civile convivenza tra diversi, dopo le sventure della Seconda guerra mondiale.

In Europa la tolleranza è stata praticamente assoluta. E ha indignato nel corso degli anni non pochi esuli dai paesi islamici. Finché sotto attacco si sono trovati soltanto Israele e il sionismo, Islam uguale “buoni”. Senza se e senza ma. Dimenticando naturalmente che vittime dei terroristi e delle dittature arabe sono stati soprattutto altri arabi e altri musulmani, sciiti o sunniti che fossero. In Francia le cose sembrano più difficili. Però bisogna riesumare la memoria storica, non soltanto quando è rito istituzionale. Sotto le presidenze Pompidou (1968-1974) e Giscard d’Estaing (1974-1981) i francesi hanno fatto di tutto e di più per conservare il controllo del petrolio nelle ex-colonie e della manodopera per le industrie nazionali, fornita dall’Algeria e dal Marocco a un paese in perenne crisi demografica.

L’origine delle banlieues è questa. Durante gli anni delle guerre arabo-israeliane le monarchie feudali e le dittature nazionaliste furono gli amici privilegiati. Il Belgio seguì strade analoghe, ed evidentemente nulla aveva appreso dal disastro provocato -1960 - nella sua antica colonia del Congo. Ma i servizi sociali per gli immigrati non mancavano, e neppure i sussidi, le case e le opportunità. Qualcuno provi a mostrare le immagini delle periferie parigine agli abitanti di Scampia o delle borgate romane, e poi verifichi se per caso non sarebbe gradito uno scambio. Quanto alla disoccupazione giovanile e alla complessiva assistenza per i giovani - musulmani, ebrei, evangelici, cattolici o magari atei - in Francia e in Belgio ci pensa lo Stato. Qui da noi, in Italia, la mission appare affidata a mamma e papà, e soprattutto ai nonni.

Daniele Toscano: "Sharia, la legge di Dio che colpisce il corpo per educare l'anima"

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"La sharia è l'unica soluzione"

La nascita dell’ISIS, la sempre più consistente presenza di musulmani in Europa, i fragili equilibri mediorientali e gli scontri intra-islamici: questi e altri fattori hanno portato sempre più spesso a sottolineare il ruolo della Sharia nella società islamica. Ma di cosa si tratta esattamente? Secondo il dizionario Treccani, la Sharia si può definire come la “legge sacra dell’islamismo, basata principalmente sul Corano e sulla sunna o consuetudine, che raccoglie norme di diverso carattere, fra le quali si distinguono quelle riguardanti il culto e gli obblighi rituali, da quelle di natura giuridica e politica; di quest’ultimo gruppo fanno parte le prescrizioni che regolano la conduzione della guerra santa (jihad)”. L’etimologia del termine significa “percorso chiaro e ben tracciato dall’acqua”; indica un corpo di norme morali e religiose che si distinguono dalla legislazione degli uomini, individuando in essa l’infallibilità del diritto divino.

Lo scopo è quello di indicare all’uomo come dovrebbe condurre ogni aspetto della vita quotidiana secondo il volere di Dio. Molteplici sono dunque le tematiche di cui si occupa: crimini, politica, contratti di matrimonio, regolamenti commerciali, prescrizioni religiose, economia, nonché questioni personali come rapporti sessuali, igiene, alimentazione, preghiere, comportamenti quotidiani, il digiuno. La Sharia è la principale fonte di ispirazione per numerosi Paesi islamici, tra cui Arabia Saudita, Sudan, Iran, Iraq, Afghanistan, Pakistan, Brunei, Emirati Arabi Uniti, Qatar, Yemen, Mauritania. Molta attenzione scientifica e mediatica è stata riservata al tema della Sharia.

La BBC ha proposto vari approfondimenti, tuttora disponibili sul suo sito. La definizione che ne dà la Library of Congress di Washington è “la totalità dei comandi e delle esortazioni di Dio, finalizzate a regolare tutti gli aspetti della condotta umana e a guidare i credenti sulla via della salvezza eterna”. La Sharia prevede due categorie di reati: “hadd”, crimini seri (furto, adulterio) per cui sono previste severe sanzioni (amputazioni, pena di morte), e “tazir”, per i quali la punizione è lasciata alla discrezione del giudice. Tuttavia, la Sharia resta un argomento molto complesso. Dal IX secolo in poi il potere di interpretare il diritto nelle società islamiche tradizionali è spettato agli ulema, gli eruditi di norme religiose. Ma si presenta anche frammentata: ci sono cinque diverse scuole della sharia, quattro dottrine sunnite (Hanbali, Maliki, Shafi’i e Hanafi) e una dottrina sciita (Shia Jafari).

Le differenze con il diritto di stampo occidentale sono comunque notevoli, soprattutto per quel che concerne le libertà personali e l’uguaglianza dei sessi. Senza dimenticare le punizioni corporali: sono previste decapitazione, lapidazione e fustigazione, sebbene la pena di morte sia ammessa solo in alcuni casi (omicidio, adulterio, bestemmia, apostasia). Anche le Nazioni Unite si sono espresse contro pratiche come la lapidazione, ritenendole forme di tortura o trattamento inumano e degradante. Una serie di norme che dunque difficilmente possono essere integrate in un sistema giuridico di stampo occidentale, costituendo così un ulteriore elemento di distanza che esaspera uno scontro che è già sociale, politico ed economico.

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