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Shalom Rassegna Stampa
19.03.2016 Israele: Storia di una maternità surrogata
Commento di Pierpaolo P.Punturello

Testata: Shalom
Data: 19 marzo 2016
Pagina: 19
Autore: Piepaolo P. Punturello
Titolo: «Chi coverà il mio uovo ?»

Riprendiamo da SHALOM, marzo 2016, a pag.19, con il titolo "Chi coverà il mio uovo ?", il commento di Pierpaolo P.Punturello, La storia e l’esperienza di una maternità surrogata nel racconto diventato libro di due genitori israeliani haredì.

Un commento che chiarisce come e quanto Israele sia avanti su temi che in Italia richiamano invece il Medio Evo. 

Immagine correlata
 Rav Pierpalo P.Punturello

Tra gli scaffali dei negozi in Israele che propongono libri per bambini da qualche tempo è apparso un titolo interessante sia per il tema che affronta che per l’autore del racconto. “Chi coverà il mio uovo? Racconto di un pulcino venuto al mondo in modo speciale”. Il solo titolo apre una finestra sul mondo della maternità surrogata raccontata ai bambini da un’autrice speciale: Eti Shmidov una donna ebrea charedit, madre di due bambini nati attraverso una madre portante, ma biologicamente suoi e di suo marito Uriel. Eti, all’età di 37 anni ha sposato Uriel, vedovo di 44, già padre di 5 figli, oltre i due avuti con Eti. Eti, mentre aspettava l’arrivo del suo primo figlio con Uriel cercava un modo per spiegare al resto dei loro figli il senso ed il percorso di questa nuova nascita che avrebbe cambiato per sempre la loro famiglia. Il bisogno di un linguaggio nuovo e di una nuova visione di nascita, ha spinto Eti a scrivere un racconto che fosse un percorso semplice e lineare per spiegare ai suoi figli, ma anche al resto del mondo e della comunità charedit di Carmiel, nel nord di Israele, la scelta di avere un bambino attraverso una “gallina che cova l’uovo di un’altra gallina”. Eti racconta con sincerità della sua difficoltà a partorire dal punto di visto medico, ma della sua perfetta predisposizione biologica rispetto all’ipotesi di una maternità surrogata. Con questa stessa sincerità si è rivolta ai suoi figli spiegando l’arrivo di un altro fratello attraverso una pancia diversa dalla sua, perché nella sua non c’era abbastanza spazio per far crescere un bambino. Dobbiamo renderci conto non solo della scelta di una madre che non ha paura di raccontare ai suoi figli la realtà più intima della propria vita, ma anche quella di una ebrea charedit che nel suo percorso si è dovuta relazionare con la propria comunità e si è dovuta consigliare con i propri rabbini ed i decisori halachici esperti nel tema di maternità, fertilità e maternità surrogata. Eti ammette che non è stato semplice vivere la propria maternità pubblicamente, ma che le difficoltà non hanno fermato né lei né suo marito dal continuare a perseguire la strada che avevano scelto. In realtà, le storie di maternità surrogata non sono così estranee al mondo charedì, quella che però sta cambiando è la sensibilità pubblica rispetto al tema. “Se fino a qualche anno fa le donne che avevano intrapreso un percorso di maternità surrogata, per nove mesi si nascondevano dietro pance fittizie in modo tale da non dover affrontare le critiche ‘sociali” della comunità, oggi l’argomento occupa spazi interessanti del dibattito pubblico e della riflessione halachica anche all’interno del mondo charedì, sebbene con differenze sociali profonde tra comunità come quelle di Gerusalemme e Benè Berak e quella di Carmiel dove esiste una mobilità sociale diversa e meno formale”. La stessa Eti afferma che: “Il mondo sta cambiando ed anche la nostra comunità subisce e vive questi cambiamenti, fino a qualche anno fa sarebbe stato impossibile pensare ad un matrimonio all’interno della nostra comunità con figli adottivi, persone non nate ebree ma divenute tali per scelta o charedim con origini familiare laiche e non osservanti. Chi non è pronto a comprendere questi cambiamenti, non può comprendere anche il nostro percorso di genitori che hanno avuto l’onore di un accompagnamento rabbinico, emozionale ed educativo profondo.” Rav Menachem Bornstein, presidente dell’Istituto Puà, un centro di studio e consulenza halachico per la fertilità, ha definito Eti ed Uriel come “pionieri della maternità surrogata” proprio perché hanno vissuto la loro scelta alla luce del sole, rendendo pubbliche anche le condizioni halachiche per la maternità surrogata e le sue conseguenze dal punto di vista ebraico. “La cosa più importante, halachicamente parlando, è che la madre portante sia ebrea e non sposata, stabilito questo nessun decisore halachico può affermare che siamo di fronte ad un divieto. L’unico divieto si riferisce all’ipotesi di una madre portante che sia sposata e, coloro che non vedono nella maternità surrogata un metodo valido per diventare genitori, dovrebbero ammettere che le loro sono opinioni etiche o morali, ma non possono essere definite halachiche, perché la tradizione ebraica non vede nella maternità surrogata nessun impedimento”. Commentando anche il libro scritto da Eti, Rav Bornstein afferma: “Si tratta di un libro che racconta una scelta di famiglia in maniera delicata e con molto rispetto per il mondo religioso, ma che può essere letto da chiunque e che spiega ai bambini la realtà di un percorso ebraicamente permesso”. La storia di Eti ed Uriel, nella sua semplicità eppur nelle difficoltà che racconta, ci mostra la realtà di un ebraismo che ad ogni livello, anche quello di una comunità ultraortodossa, incontra la società nella quale vive anche nei modi che dall’esterno saremmo portati a giudicare come rigidi, chiusi ad ogni cambiamento e superficialmente bolliamo come bigotti, lì dove, è l’Occidente ad avere bisogno di confini e riflessioni più ampie, più religiose e teologicamente meno immutabili.

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redazione@shalom.it

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