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Shalom Rassegna Stampa
21.12.2014 America-Israele: l'opinione di Paul Berman
Lo intervista Alessandra Farkas

Testata: Shalom
Data: 21 dicembre 2014
Pagina: 5
Autore: Alessandra Farkas
Titolo: «Il problema non è tra America e Israele, ma tra Obama e Netanyahu»
Riprendiamo da SHALOM, dicembre 2014, a pag.5, con il titolo " Il problema non è tra America e Israele, ma tra Obama e Netanyahu", l'intervista di Alessandra Farkas a Paul Berman.


Alessandra Farkas Paul Berman

La prestigiosa rivista americana The Atlantic parla di “crisi ufficiale nelle relazioni Usa-Israele” che potrebbe preludere a una “trasformazione profonda nei rapporti bilaterali tra i due paesi storicamente amici”. La goccia che ha fatto traboccare il vaso, dopo anni di incomprensioni e scaramucce tra il governo Netanyahu e l’amministrazione Obama, è l’insulto profferito di recente da un alto funzionario statunitense ai danni del premier israeliano. Definito “un codardo” (‘chickenshit’ in inglese, cacca di gallina) che «non ha coraggio di fare nulla e pensa solo alla sopravvivenza politica». Nessuna amministrazione Usa si era mai spinta a tanto. “Eppure secondo me è errato parlare di crisi”, ribatte Paul Berman, il politologo e saggista statunitense di orientamento neoconservatore, autore di best-seller come "Sessantotto" e "Terrore e Liberalismo". “Le fondamenta dell’amicizia Usa-Israele restano ultra solide. Oggi Washington fornisce allo stato ebraico aiuti militari ancora più numerosi e sofisticati del passato e l’opinione pubblica americana continua a fare il tifo per Israele”. Come spiega allora che alla fine di ottobre il Segretario di stato John Kerry e il Consigliere per la sicurezza nazionale Susan Rice si sono rifiutati di incontrare il ministro della Difesa israeliano Moshe Ya’alon durante il suo viaggio ufficiale a Washington? “Ya’alon ha avuto ciò che meritava. Egli non ha certo difeso gli interessi di Israele quando ha insultato Kerry definendolo ‘ossessivo’ e ‘messianico’, tacciando l’amministrazione Obama di ‘naïveté’. Ya’alon non è l’unico politico di primo piano ad aver denigrato la Casa Bianca negli ultimi tempi, spingendo persino i leader dell’ebraismo americano moderato a prendere le distanze dal governo Netanyahu”. Netanyahu è convinto che gli Usa non capiscano nulla di Israele. Obama l’accusa di arroganza antiamericana. “Il problema non è l’America ma l’amministrazione Obama. O meglio la forte antipatia reciproca tra Bibi e Barack. Dopo averlo offeso, Netanyahu adesso vorrebbe bypassare Obama e parlare direttamente al Congresso e all’opinione pubblica Usa. Una strategia rischiosa e improbabile perché la politica estera è un territorio della Casa Bianca. Ma la colpa di quest’impasse è di entrambi”. Che cosa intende dire? “Prima di essere eletto, Obama non aveva alcuna esperienza in materia di politica mediorientale. La sua amministrazione, Kerry in testa, non capisce la realtà di Israele e ha cercato di negoziare la pace tra israeliani e palestinesi senza comprendere che nelle circostanze attuali è impossibile. La Casa Bianca ha fallito e adesso accusa Netanyahu del fallimento. Ma l’opinione pubblica in Israele e nel mondo arabo comprende la verità”. Washington attribuisce il fallimento del negoziato israelo-palestinese di Kerry alla difesa degli insediamenti ‘illegittimi’ in Cisgiordania da parte di Netanyahu. “Pur essendo contrario agli insediamenti, ritengo illusoria la posizione Usa secondo cui, se gli israeliani non provocassero i palestinesi con gli insediamenti, questi firmerebbero subito la pace. Sappiamo che non è vero perché Hamas è in testa nei sondaggi e se oggi Israele avallasse la creazione di uno stato palestinese, domani sarebbe bombardata. Per convenienza politica anche Fatah si è spostata verso posizioni più radicali che Abbas dentro di sé non condivide”. Netanyahu ha dunque fatto bene a prenderne le distanze? “Netanyahu fa malissimo a non mantenere l’apparenza di negoziatore in cerca della pace e farebbe meglio a spiegare al mondo che Israele è il primo a volere la soluzione dei due Stati che oggi non è praticabile. Lui e Mahmud Abbas dovrebbero continuare a far finta di essere ancora seduti attorno al tavolo dei negoziati perché ciò basterebbe a stemperare la tensione e a far avanzare la palla, in attesa di un goal futuro”. Alcuni temono che in futuro la Casa Bianca non difenderà Israele da nuove risoluzioni ostili al Palazzo di Vetro. “Obama deve seguire l’opinione pubblica e questa, come ho già spiegato prima, resta schierata a favore di Israele. Il Presidente americano dovrà mordersi le labbra e Netanyahu farà lo stesso finché entrambi non saranno fuori dalla scena”. Resta lo scoglio delle trattative sul nucleare avviate segretamente da Iran e Washington. “E’ la vera spina sul fianco di Israele. Ma anche qui Obama dovrà fare i conti col Senato Usa e con gli astuti veterani della Cia e delle Forze Armate che non vogliono un Iran con la bomba. Se lui vuol essere ingenuo, gli impediranno di esserlo”. L’arrivo di Hillary Clinton alla Casa Bianca tra due anni potrebbe ristabilire la pace tra i due paesi? “Certamente. Hillary è una grande amica di Israele e una politica ben più abile e astuta di Obama. Ma anche prima di allora Israele può dormire sonni tranquilli, dopo aver rafforzato notevolmente la sua posizione internazionale. Lo Stato ebraico ha allacciato nuove, solide alleanze con la Cina e con l’India; i suoi rapporti economici con l’Europa sono molto più stretti e il suo peso finanziario senza precedenti. Persino il mondo arabo ha finalmente capito che il Grande Problema non è Israele ma la discordia al suo interno. Soltanto nel piccolo e ottuso mondo delle università e dell’élite intellettuale americana lo Stato ebraico continua ad essere il nemico numero uno”.

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