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Shalom Rassegna Stampa
14.12.2013 Israelofobia: il suo significato
Analisi di Fiamma Nirenstein

Testata: Shalom
Data: 14 dicembre 2013
Pagina: 8
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «Israelofobia, ovvero l’antisemitismo senza antisemiti»

Riprendiamo da SHALOM, dicembre 2013, l'articolo di Fiamma Nirenstein, dal titolo "Israelofobia, ovvero l’antisemitismo senza antisemiti", nel quale viene introdotta la parola 'israelofobia' e approfondito il suo significato.

Fiamma Nirenstein

Se l’antisemitismo viene considerato politicamente scorretto, l’antisionismo viene tranquillamente accettato. Ma dall’odio irrazionale e pregiudiziale contro Israele oggi scaturisce il nuovo odio antiebraico. Il problema degli ebrei di oggi, in tutto il mondo, non è l'antisemitismo, ma un nuovo fenomeno che chiameremo “israelofobia”. Naturalmente l'antisemitismo ne è parte integrante, ma se individuiamo nella sua esistenza la radice del pericolo antisemita odierno, questo impone una battaglia completamente nuova: ovvero, per l'ebraismo mondiale e i suoi alleati, per la sua salvaguardia, il punto basilare non è l'impegno nella lotta contro l'antisemitismo, ma prima di tutto contro l'israelofobia.
Ottenere dei risultati in questo campo, può migliorare la condizione ebraica in tutto il mondo, molto di più che sul tema della memoria su cui è incentrato oggi. Se diamo uno sguardo a tutte le celebrazioni che hanno avuto luogo in Europa per ricordare e stigmatizzare la Notte dei Cristalli del 9 novembre 1938, vediamo che esse abbondano, e che nessun ebreo può dirsi insoddisfatto guardando il panorama di simpatia, di proclamazione pubblica della necessità della memoria e, quindi, di rifiuto assoluto rispetto all'antisemitismo e ancora più a qualsiasi volontà genocida nei confronti degli ebrei. Angela Merkel per esempio, uno fra i tanti oratori risoluti, ha detto che i tedeschi devono mostrare “forza d'animo e promettere che l'antisemitismo non sarà tollerato in nessuna forma”. E' un punto di vista ripetuto da tutti i leader europei, e questo è certamente un bene. Il fatto è che questo atteggiamento non è affatto un antidoto contro l'antisemitismo, che sta crescendo a dismisura. Né è un altolà alle promesse di distruzione del mondo ebraico, innanzitutto di Israele. E' solo un modo poco costoso di affrontare il problema. Persino Khamenei ogni tanto abbraccia qualche ebreo locale e spiega che non ha nulla contro gli ebrei. L'impegno a uccidere gli ebrei ha un carattere soprattutto religioso nel mondo islamista, come si vede dalla carta di Hamas e dalle prese di posizioni dei Fratelli Musulmani.

Diverso è il discorso pubblico politico, come quello dell'Iran, o quello Turco, in cui la condanna a morte di Israele si trasferisce solo in seconda istanza sul popolo ebraico ed è più propriamente israelofobica. E' dall'odio irrazionale e pregiudiziale contro Israele, ovviamente intriso di stereotipi antisemiti ma che vive di una vita propria molto intensa e in pieno rigoglio e trasformazione, ricco di invenzioni contemporanee (per esempio: gli ebrei nella loro storia non sono mai stati a Gerusalemme; i soldati dell’IDF asportano gli organi dei palestinesi, il “muro” di separazione è una forma di apartheid), che oggi scaturisce l'odio antiebraico. Se la lotta contro l'antisemitismo andasse combattuta sui temi della memoria e dell'identità ebraica, avrebbero avuto una qualche risonanza nell'animo europeo le miriadi di programmi di studio della Shoah nelle scuole, i film in tv, i viaggi ad Auschwitz, il dialogo interreligioso, la storica vergogna delle leggi razziali. Tali imprese hanno avuto un certo successo, infatti appartengono al mainstream, nessuno è contrario, da nessuna parte politica o culturale: ma come per magia spariscono nel nulla di fronte all'israelofobia. Non contano nulla. Perciò, mentre il politically correct non ammette l'antisemitismo e tutti i presentatori tv sono pronti a dire una parola gentile verso gli ebrei in quanto religione diversa, mentre gli ebrei sono apprezzati come “minoranza”, l'antisionismo invece è in crescita verticale, è di moda, è urlato e sussurrato, è snob e popolare. “That shitty little country” (Questo piccolo paese di m….a), come disse l'ambasciatore francese a Londra, è acquisizione comune. Ma, come scrive sul Wall Street Journal Daniel Schwammenthal, dopo l'antisemitismo senza ebrei, adesso ci tocca vedere l'antisemitismo senza antisemiti. L'antisemitismo infatti non è attribuibile pubblicamente (anche dalla maggioranza delle leadership ebraiche) se non ad alcuni miserabili gruppi neonazisti e, mentre si giura di combatterlo, non se ne ammette l'esistenza dove lo si trova nelle forme più evidenti, ovvero fra gli intellettuali, nell'ambito delle NGO, delle istituzioni internazionali come l'ONU e tutti i derivati, nell'ambito dell'Unione Europea,

delle associazioni per i diritti umani della sinistra e, come ragione di vita e di identità, nel mondo islamico. Recentemente, durante una cena con un diplomatico di ottimo livello, quando ho citato la crescita dell'antisemitismo in Europa, comprovata sfortunatamente da mille indagini conoscitive di cui l'ultima ci dice che circa il 25 per cento degli ebrei in Europa hanno subito aggressioni fisiche o morali, ho assistito a una reazione di assoluto stupore. Non ho mai incontrato in vita mia un antisemita, mi ha assicurato, e sua moglie ha ripetuto lo stesso. Sono sicura che molti dei miei amici più cari direbbero così a loro volta: sono episodi sporadici, gruppi estremi, soprattutto di estrema destra. Ma non è affatto così, siamo in presenza di un fenomeno nuovo che non è antisemitismo classico. E' israelofobia: ho sentito per la prima volta usare questa parola dal mio amico Richard Prasquier, presidente del CRIF (l’organizzazione ombrello delle comunità ebraiche francesi) e non voglio rubargliela. Voglio solo condividere l'ondata di pensieri che essa ha suscitato in me. Israelofobia è una parola di cui subito riconoscerete la somiglianza con islamofobia. Quest'ultimo termine ha il significato di un immane pregiudizio culturale a carattere razzista nei confronti della religione del Profeta. Schiere di difensori dei diritti umani stanno di guardia contro ogni elemento di discriminazione verso le persone di fede islamica. Nessuno invece ritiene l'israelofobia una violazione dei diritti umani, e nessuno difende il popolo ebraico da questo pregiudizio onnicomprensivo, che investe la storia e il carattere del popolo ebraico e lo copre di menzogne: l'attacco a Israele spesso viene visto come legittima critica a un Paese sovrano, e quindi non si considera importante la ricaduta antisemita (adesso sì) sul popolo ebraico. Ma l’israelofobia contiene un devastante elemento antisemita, poiché usa i più facili stilemi per delegittimare Israele: il blood libel, l’avarizia, l’indifferenza, la ferocia verso chi non è ebreo: trasferiti sul giudizio su Israele hanno una chiara possibilità virale verso chiunque sia ebreo. L'israelofobia è un blocco di odio cristallizzato intorno a un pezzo di terra, a un'idea, alla complessità non dell'ebraismo, ma di una sua particolare espressione, il sionismo e l’antisemitismo odierno, se si vanno a leggerne le espressioni, da Ramallah a Malmo, nascono tutte dal pregiudizio su Israele, e si moltiplicano a partire da qui. Gli ebrei europei, e anche buona parte di quelli americani, istintivamente hanno intuito questa novità e dove hanno potuto si sono scansati rispetto a un posizione di totale sostegno a Israele, spesso apparendo reticenti e opportunisti. Non posso dimenticare una riunione con il Ministro degli Esteri italiano poco dopo il sì dell'Italia al riconoscimento unilaterale della Palestina all'ONU: nessuno dei rappresentanti alla riunione dell'ebraismo internazionale, salvo la sottoscritta, osò chiedere conto dell'accaduto del tutto inaspettato, data la posizione amichevole dell'Italia e dell'ottimo Ministro cui rivolsi la questione. Ricordo anche un Congresso dell'Unione delle Comunità in cui la bandiera di Israele non era stata esposta e tanti altri episodi. Gli ebrei sanno che mantenendosi dentro il margine stabilito del “never again”, definito quasi per legge, trovano simpatia, comprensione, protezione. Israele è invece terra incognita, dove la critica, come si dice in slang opportunista, è legittima. Ma l'israelofobia non ha niente a che fare con la legittima critica dello Stato d'Israele, perché non si basa sull'osservazione della realtà. E' un'ossessione di cui una delle espressioni più chiare è la risoluzione dell'ONU “sionismo uguale razzismo” del 1975, è la furia che ha fatto votare all'Assemblea dell'ONU durante l'ultima sua riunione pochi giorni or sono 10 mozioni contro Israele, che all'ultima seduta dell'anno scorso ne fece votare 23 tutte insieme, che porta a inventare scenari mostruosi, in cui la legittima difesa diventa crudeltà originaria di un paese razzista e assassino. L'israelofobia è un fenomeno irrazionale come l'antisemitismo, è una febbre inguaribile, su Israele si può dire qualsiasi evidente menzogna e si troverà sempre una vasta eco di consenso. Daniel Goldhagen nel suo ultimo libro fa un elenco delle scemenze che si dicono su Israele, ne copio qualcuna: Israele è una fonte di disordine per i Paesi circostanti, è la causa delle dittature del Medio Oriente, è la maggiore minaccia alla pace mondiale, è il nazista dei nostri tempi, ha ispirato la guerra contro l'Iraq, controlla la politica americana ma ne tradisce gli interessi autentici, crea odio verso gli americani e l'Occidente, perpetra il genocidio dei palestinesi, vuole distruggere la Moschea di Al Aqsa, assassina i bambini palestinesi, avvelena i pozzi e le persone, etc etc... La politica di non discriminazione sessuale di Israele è stata chiamata pinkwashing, per sostenere che l'atteggiamento di rispetto verso i gay, cui si contrappone la loro persecuzione nei Paesi musulmani, è pura propaganda. Molto lavoro di destrutturazione è stato fatta sul diritto di nascita degli ebrei in Israele, sostenendo che il loro legame con questa terra è inesistente o lontano e discontinuo. Un altro termine che affolla l'israelofobia è “illegale”, ed è spesso riferito all'occupazione dei territori, ma anche al diritto di nascita stesso di un Paese la cui esistenza non è mai stata veramente accettata dai suoi vicini. La realtà dei fatti è così lontana dalla dottrina israelofobica, che non metto qui in conto di cominciare a disquisirne. Fra tutte le democrazie asiatiche o africane, dice Goldhagen, Israele è la più solida e la più vecchia, ed essendo la 57esima nazione membro dell'ONU, prima della Spagna, dell'Italia, della Germania non ha passato un momento della sua esistenza senza essere stata violentata e minacciata dal terrorismo, dall'odio religioso e tribale del mondo musulmano. Nel difendersi ha perso 30mila uomini, pari in proporzione a un milione e 200mila americani. Nel terrorismo, ha perso 4000 persone, pari a 400mila. Quando dovette, a seguito di un'ennesima guerra di difesa, occupare il West Bank, si offrì subito di restituirlo, e gli furono opposti dalla Lega Araba i tre no di Khartum: “no peace, no recognition, no negotiation”. Nella pace con l'Egitto non ha avuto alcuna difficoltà a restituire il Sinai fino all'ultimo centimetro di terra. Ma le responsabilità delle difficoltà verso la pace sono sempre attribuite a Israele che non ha mai fatto né detto niente che vagamente somigli all'aggressività dei suoi vicini. Eppure essa viene accusata dei peggiori crimini possibili, e di una sostanziale abiezione morale, una posizione che per esempio paesi come il Sud Africa avallano attivamente proibendo ai suoi ministri i viaggi in Israele, e sostenendo che Israele è un Paese in cui si pratica l'apartheid: non importa se le istituzioni democratiche e i diritti umani ricevono il voto più alto dalla Freedom House. E' straordinario che l'Onu abbia condannato Israele pochi giorni fa per aver maltrattato i siriani del Golan mentre invece raccoglie i feriti Siriani e li cura nei suoi ospedali e Assad li fa a pezzi. La conseguenza dell'israelofobia è l'antisemitismo crescente, legato al tema di Israele: secondo lo studio del tedesco Friedrich Ebert, il 63 per cento dei polacchi e il 48 per cento dei tedeschi pensano che “Israele stia conducendo una guerra di sterminio contro i palestinesi”. Così la pensano anche il 41 per cento degli inglesi e il 42 per cento degli ungheresi. Gli italiani lo credono per il 38 per cento. Il 55 per cento dei polacchi e il 36 per cento dei tedeschi risponde all'indagine: “considerando la politica israeliana, posso capire perché la gente non ami Israele”. Gli intervistati degli altri Paesi studiati sono d'accordo con questa considerazione in una percentuale che varia fra il 30 e il 40 per cento. Secondo un'indagine della European Union Agency for Fundamental Rights (FRA), il 48 per cento degli ebrei europei intervistati ha sentito o letto l'accusa che “gli Israeliani si comportano con i Palestinesi come i nazisti con gli ebrei”. In Italia, come in Belgio e in Francia, sono il 60 per cento quelli che riportano questo stato di cose. La narrativa (oggi si dice così) per cui esisteva una “Palestina storica” che i perfidi coloni ebrei hanno occupato cacciando la popolazione sofferente sta alla base della teoria d'odio che conduce al muro dell'apartheid, alla demolizione delle case, alla persecuzione dei palestinesi, ai bambini picchiati e uccisi, al carceriere sionista che chiude Gaza in una gabbia, e per converso, alla glorificazione dei terroristi, alla giustificazione ampiamente diffusa degli attentati e dei missili, dell'uso corrotto del denaro pubblico europeo, al rifiuto dell'esistenza stessa di uno Stato del popolo ebraico, ritenuto un residuo archeologico del colonialismo e dell'imperialismo e anche una reincarnazione di ogni forza del male compresi i nazisti. Schwammenthal cita Jack Straw, nientemeno che l'ex Ministro degli Esteri inglese, che disse, il mese scorso alla House of Commons, che l'AIPAC, la lobby pro-Israele in America “ha fatto dei suoi fondi illimitati uno dei più grandi ostacoli alla pace fra Israeliani e Palestinesi”. Strana considerazione: ma che un vasto gruppo americano possa supportare Israele, dice Schwammenthal, risulta così incredibile che gli si attribuiscono subito conseguenze nefaste e impossibili. Sembra incredibile che personaggi come Michael Theodorakis o José Saramago e tanti altri intellettuali e notabili siano stati arruolati appieno nella battaglia israelofobica. Ma la storia ci regala molti eventi incredibili. Nella ricorrenza della Notte dei Cristalli il Badishe Zeitung, in Germania, ha pubblicato una vignetta di Horst Hairzinger in cui una lumaca con la testa di colomba va ai colloqui di pace con l'Iran. Si vede Netanyahu al telefono che dice “Ho bisogno di veleno per colombe e lumache”. Gli ebrei avvelenatori sono un classico dell'antisemitismo, e così i sabotatori, e coloro che causano guerre. Adesso è da Bibi che deriva e si sparge lo stereotipo antisemita. Nella carta di Hamas gli ebrei sono accusati di avere causato tutte le guerre, e si promette di ucciderli tutti, uno a uno, fino all'ultimo ebreo. Per spiegare brevemente il perché dell'israelofobia, tre sono le chiavi principali: la prima riguarda la diffusione in tutto il mondo di una presenza musulmana mai vista prima, la mondializzazione legata alla rete, il moltiplicarsi della propaganda anti israeliana, la sua forza nelle istituzioni a causa della crescita, sia in campo sciita che in campo sunnita, della certezza che la battaglia per instaurare l'Islam nel ruolo principe che gli spetta sia in piena marcia; la seconda è la diffusione della cultura dei diritti umani; la terza, la presidenza Obama alla testa degli USA.Cominciando dall'ultimo punto, Obama ha sinceramente promosso un rapporto positivo fra l'America e l'Islam che, oltre a rivelarsi fallimentare sul terreno politico, dà spazio mondiale al più efferato antisemitismo. La diminuzione dell'influenza americana ha lasciato un vuoto che è stato riempito da tutte le ideologie alternative a quella democratica. Obama probabilmente non prevedeva questo disastroso effetto secondario, ma è evidente che nel concepire la politica per cui ha proibito di usare la parola “jihad” nei documenti ufficiali americani, non si è soffermato nemmeno un attimo a pensare quante volte essa è servita a spiegare il terrorismo contro Israele. Questo non gli è sembrato un punto rilevante rispetto alla sua politica internazionale. L'odio verso lo Stato ebraico non è stato preso in considerazione come una variante politica, neppure nelle sue forme più estreme, e quindi non ha subito in questi anni nessuna sanzione ideologica e morale. Obama non ha conservato neppure il rapporto di realpolitik che i precedenti presidenti avevano avuto col mondo egiziano, o iraniano, o quant'altro; non è stato attento a sottolineare le differenze ideologiche, tutte alla fine attinenti alla sharia e alla sua incompatibilità con la democrazia. Obama ha mostrato invece una forte propensione verso un mondo in cui sia prevista una fusione con l'Islam, ignorandone il rifiuto verticale verso la cultura democratica cui si ispira: ha pagato questa scelta con la crescente antipatia verso gli USA e verso di lui personalmente. Nel 2009 sottolineò il “contributo” allo sviluppo degli Stati Uniti dell'Islam prima di parlare di quello dell'ebraismo; ad Ankara, al Cairo, per fondare “un nuovo inizio” cercò di dimostrare che “gli USA e l'Islam condividono comuni principi di giustizia, di progresso, di tolleranza e di dignità dell'essere umano”. E ha proseguito così, nonostante le rivoluzioni della “primavera” dimostrassero sempre più chiaramente che le sue aspirazioni non avevano base alcuna. La democrazia è stata definita molto spesso, dai clerici sia sunniti che sciiti, un nemico dell'Islam e non un suo fine. I Fratelli Musulmani, che non avevano un partito politico fino alla caduta di Mubarak, sono stati la successiva illusione di Obama. Sia Hillary Clinton, suo Segretario di Stato, che Nicole Chapman, capo del dipartimento egiziano al ministero degli Esteri, hanno ripetuto più volte che gli Stati Uniti stavano portando avanti un dialogo con i Fratelli Musulmani, e Obama non si è mai distanziato da questa posizione. Poi c'è stata la rivoluzione del Generale Sisi che ha sconvolto i giuochi. Quanto al rapporto con l'Iran, è evidente che Obama e John Kerry stanno conducendo il mondo a un accordo con il Paese che fra tutti gli odiatori di Israele è anche quello con più evidenti intenzioni genocide. Obama ha inghiottito senza difficoltà la posizione israelofobica e antisemita dei suoi nuovi interlocutori. Dice la guida spirituale dei Fratelli Musulmani Mohamed Badie: “Noi seguiteremo a sventolare la bandiera della jihad contro gli ebrei, i nostri primi e maggiori nemici” e lo sceicco al Qaradawi ha ripetuto: “Allah ha imposto sugli ebrei una punizione continua per la loro corruzione, l'ultima è stata condotta da Hitler, non c'è con loro altro dialogo che la spada e il fucile, noi preghiamo Allah di ucciderli fino all'ultimo”. La mancanza di qualsiasi reazione a questo tipo di posizioni è nuova. Da tutto il mondo sunnita esce una minaccia limacciosa e continua nei confronti di Israele, e per quanto con discontinuità e ostacoli, pure i vari presidenti americani hanno sempre lasciato intravedere o hanno esplicitato un interdetto verso gli aspetti più razzisti e pericolosi dell'Islam nei confronti di Israele e degli ebrei, e anche dei cristiani, ultimamente pesantemente perseguitati. Così non è con Obama, che non ha mai detto all'Iran con cui sta per firmare un accordo che è proibito considerare Israele “una radice ammarcita che deve essere distrutta”, né ai palestinesi che trattano con Israele che è impossibile ripetere ogni giorno, proprio mentre si tratta, che Israele è un paese assassino, razzista, genocida, come ha fatto proprio, mentre sto scrivendo, il capo della delegazione palestinese alle trattative Sa'eb Erakat. In una parola, con il suo sdoganamento dell'Islam senza nessun contrappasso, Obama ha consentito la diffusione irresponsabile del più pesante messaggio antisraeliano. Senza l'America di guardia, Israele diventa concettualmente preda dei suoi detrattori. Obama, inoltre, invita l'Europa alla danza che preferisce, quella delle insensate “guidelines” della baronessa Ashton, dell'accettazione della lettura israelofoba araba fino al punto di paragonare l'attacco terrorista di Tolosa all’uccisione di bambini di Gaza da parte dell'esercito israeliano. La questione musulmana, richiede un articolo a parte, e quindi rimando alle mille letture che provano quanto l'odio per Israele sia un elemento fondante dell'ideologia islamica odierna. Solo un breve cenno sul secondo punto, quello dei diritti umani: paradossalmente la cultura dei diritti umani, essendone Israele un leale avvocato e un’incarnazione evidente, ha aggredito Israele stesso con tutte le sue armi. Questo non è certo accaduto a partire dall'osservazione dei fatti, ma perché nella storia del loro sviluppo negli anni del dopoguerra, che furono anche quelli della guerra fredda, e poi dopo il ‘67, Israele si è trovata dalla parte sbagliata della barricata, quella per cui il sionismo è stato identificato coll'imperialismo occidentale. L'israelofobia è stata in gran parte disegnata sulla natura delle grandi e piccole istituzioni (dall'ONU alle ONG) che sarebbero preposte a salvaguardare i diritti umani, e che di fatto ne hanno fatto uno scudo ideologico. La patologia sistemica che riguarda questo tema nasce nella storia di una sinistra che, al tempo in cui il comunismo si dimostrava un ripugnante totalitarismo, sceglieva di non accusarlo e di combattere al suo fianco contro il capitalismo, l'imperialismo e quant'altro. Inoltre gli ebrei non rispondevano più all'idea di un popolo che con la sua storia di sofferenza e morte forniva munizioni alla guerra contro la società borghese. Da questa perversione nasce, e qui per forza di cose non posso trattare questo tema quanto sarebbe necessario, un uso politico del tema dei diritti umani, spesso utilizzati per motivi tattici e di parte. Così nasce l'uso ridicolo e penoso del tema dei diritti umani contro Israele, uno dei Paesi che nel mondo ne prende più cura nonostante le condizioni quasi impossibili. Gli anni ‘60 hanno portato con sé la patologia dell'uso radical-chic, rimasto in uso, dell'aggressione verbale per cui il mondo si è improvvisamente riempito di “fascisti”: così sono stati considerati Margareth Tatcher, George Bush, Silvio Berlusconi, Ronald Reagan... Tutti fascisti, cantanti e scrittori a suo tempo diventarono tutti fascisti solo perché non erano comunisti. Così Israele, che era amico degli americani e che faceva soffrire i palestinesi, una popolazione del terzo mondo, araba, islamica, povera e anche, nessuno ne ha parlato mai, avvezza a una leadership autoritaria e feroce anche verso il proprio popolo, diventò un Paese fascista, imperialista perché non stava nel campo giusto, quello delle “democrazie popolari”, in realtà tutte quante dittature che seguitano a essere tali. Alla mancanza di una chiara condanna per il terrorismo europeo di quegli anni, giustificato in vari modi - compagni che sbagliavano un po’ - si è affiancata la giustificazione del terrorismo internazionale contro Israele, compreso l'attacco alle Olimpiadi di Monaco, compresa l'esaltazione dei terroristi assassini accolti con il tappeto rosso da Abu Mazen adesso che Israele li ha liberati. A questi terroristi l'Autorità Palestinese ha dato in premio un assegno di 50mila dollari ciascuno, più uno stipendio mensile: uno di loro ha ucciso un padre che guidava accanto alla sua bambina, un altro ha ucciso a picconate un sopravvissuto della Shoah, un altro ha assalito e fatto a pezzi un impiegato che lavorava a Gaza in un ufficio di aiuto per i palestinesi. Non sembri peregrino citare qui questi fatti, essi sono un comma della israelofobia: un mondo che rende un diritto un ambiente smoke-free, piuttosto che indossare il burqa o praticare l'escissione dei genitali femminili, non ha mai sentito come propria la necessità di occuparsi del terrorismo contro Israele, dei diritti umani degli israeliani. L'israelofobia rende la battaglia per i diritti umani totalmente inaffidabile e crea un danno permanente: la Baronessa Ashton si preoccupò pubblicamente, qualche mese fa, dello stato di un prigioniero palestinese che aveva scelto di praticare lo sciopero della fame e non prese nessuna posizione sugli eccidi in Siria, neppure su quelli dei palestinesi nel campo profughi di Yarmuk, dove molti palestinesi furono colpiti da un bombardamento aereo del regime di Assad. Questo articolo resta incompleto per le molte implicazioni di questo tema, ma vuole suggerire una nuova operazione di lotta: a fianco della lotta contro l'antisemitismo tradizionale con le armi della memoria, occorre disegnare un strategia che lo consideri una conseguenza dell'israelofobia. E' sulla storia di Israele, sulle sue caratteristiche, le sue azioni, sul suo diritto a difendersi, sulla persecuzione verbale e fisica a cui è incessantemente sottoposta, che occorre concentrare l'azione contro l'antisemitismo. Ogni altra scelta, ne consentirà la crescita, come è accaduto fino ad oggi.

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