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Shalom Rassegna Stampa
18.10.2008 A proposito di pellegrinaggi
L'analisi di Angelo Pezzana

Testata: Shalom
Data: 18 ottobre 2008
Pagina: 22
Autore: Angelo Pezzana
Titolo: «Non turisti ma pellegrini»

Da SHALOM ottobre 2008, a pag.22, pubblichiamo l'articolo di Angelo Pezzana dal titolo "NON turisti, ma pellegrini".

C’è un problema, diciamo pure chiaramente, delicato, del quale molto si discute privatamente, ma che non riesce a trasformarsi in dibattito pubblico. Poichè ritengo immotivata tanta prudenza, lo affronterò per i lettori di Shalom. Chiamiamolo con il suo nome, il famoso < viaggio in Terrasanta > che le istutuzioni cattoliche organizzano, sostituendo la parola viaggio con < pellegrinaggio>. Fin qui niente di male, anzi. Mi pare più che logico che un viaggio, incentrato sulla figura di Gesù, visiti quei luoghi nei quali è vissuto, ne ripercorra il cammino e la storia, visiti i luoghi santi. Il problema nasce quando si guarda a come questi pellegrinaggi sono organizzati. Non voglio puntare il dito contro nessuno, mi baso sulla mia esperienza personale, su quella di molti amici che ne hanno vissuto di simili, sui racconti di guide israeliane di origine italiana che da molti anni sono testimoni attendibili di quanto avviene. Qui sta il problema, questi < pellegrini > non si rendono conto che stanno partendo per Israele, certo, sanno che l’aeroporto che li accoglierà all’arrivo si chiama Ben Gurion, è scritto nel programma di viaggio, ma la maggior parte ignora completamente la storia di Israele, per cui quel nome equivale ad un altro. Nella preparazione del viaggio non viene raccontato nulla del paese nel quale arriveranno, in più saranno ospitati in strutture turistiche religiose, nelle quali sarà loro ben difficile rendersi conto che sono arrivati nello Stato ebraico. Giunti all’aeroporto, mentre fanno la fila agli sportelli passaporti, l’accompagnatore si affannerà a ricordare a voce alta, che non devono “ farsi mettere il timbro”. Un amico che, fingendosi curioso, ne ha chiesto al vicino di fila il motivo, si è sentito rispondere “ altrimenti non siamo più liberi di andare in altri posti “. Come non indignarsi di fronte ad una risposta simile, quando sono gli “altri stati” ad impedire l’ingresso se sul passaporto c’è il timbro di Israele, operando così una odiosa discriminazione. No, si cita solo Israele, attribuendogli cosi la responsabilità di una decisione presa invece da altri. Ho guardato più volte, chiacchierando in aereo con i i loro programmi, e sempre ho notato la quasi totale assenza di luoghi significativi dal punto di vista ebraico che andavano a visitare. Anche Yad Vashem, una tappa obbligata per chiunque visita Gerusalemme, raramente viene incluso. Un altro problema non meno grave sono le guide, in genere arabe o comunque religiosi. Accanto all’aspetto turistico non manca mai la storia mediorientale raccontata in modo alquanto ostile a Israele. Quando va bene, non se ne parla affatto. Mi capita a volte di chiacchierare con un vicino in aereo e di chiedere quali aspetti del paese l’ hanno colpito di più, mai una volta che ascolti il nome di qualche luogo di interesse ebraico. Esagero se dico che questo modo di organizzare i pellegrinaggi mi sembra non in sintonia con un paese con il quale il Vaticano dovrebbe avere cordiali rapporti diplomatici ? Cito ancora il recente viaggio-pellegrinaggio organizzato ai primi di settembre da monsignor Fisichella insieme ad una folta rappresentanza di politici italiani. Nel momento nel quale doveva esserci la visita a Yad Vashem, le due guide arabe che accompagnavano il gruppo si sono rifiutate di entrare. Posso capire l’imbarazzo di dover spiegare l’amicizia del gran Muftì di Gerusalemme fotografato a Berlino insieme ad Adolf Hitler, un’alleanza che viene regolarmente ignorata nei libri di testo italiani e nelle analisi degli esperti di storia mediorientale. Nei quali si sottolinea sempre la totale estraneità degli arabi al genocidio nazista. Già, che dire davanti a quella fotografia ? Come si vede il problema è delicato, ma non rinviabile, se non vogliamo che migliaia di pellegrini, uscendo da Israele, continuino ad essere convinti di aver visitato un altro paese, anche se lo chiamano Terra Santa. I rapporti diplomatici a volte possono richiedere delle spiegazioni. Questo mi sembra proprio il caso.

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