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Shalom Rassegna Stampa
02.10.2007 Tra i palestinesi ci sono i nonviolenti, Marwan Barghouti non è tra loro
un articolo di Davide Romano

Testata: Shalom
Data: 02 ottobre 2007
Pagina: 0
Autore: Davide Romano
Titolo: «Barghouti non è Gandhi, ma potrebbe diventarlo»

Da SHALOM del 2 ottobre 2007:

Dopo lo sgombero da Gaza e l'inizio degli scontri tra i palestinesi per il
governo di quella striscia di terra, vi è un oggettivo "rilassamento" nella
militanza pro-Israele. E' vero, il mondo ha avuto modo di vedere il disastro
lasciato da Arafat nei territori, ma l'aver avuto ragione sul raìs non
esaurisce la questione arabo-israeliana. I palestinesi esistono, e prima o
poi troveranno nuovi leader. Per questo è importante che proprio ora gli
amici di Israele si adoperino per cercare di costruire una Palestina più
democratica possibile.

E' in questi momenti di vuoto politico infatti, che emergono i futuri
Arafat. La sinistra (ed in alcuni casi anche la destra) europea si sta
orientando verso la figura di Marwan Barghouti, visto come un "duro", ma
laico, nonché persona che gode di un certo seguito nei territori. I primi
appelli per la sua liberazione iniziano a girare, soprattutto nelle
organizzazioni politiche di sinistra. Prima che diventi il "nuovo Arafat" ci
vorrà ancora qualche tempo. Non molto, visto il contenuto della lettera di
ben dieci ministri degli Esteri europei (compreso quello francese, nominato
da Sarkozy, presidente di centrodestra) rivolta a Blair nel mese di luglio:
tra le varie richieste vi era infatti "la liberazione anche dei principali
leader palestinesi per assicurare il ricambio in seno a Fatah". Non c'era
ancora il nome di Barghouti, ma era sottinteso.

Prima che passi l'immagine di un Barghouti come Gandhi sarà meglio ricordare
che nel dicembre 2000 fu proprio lui ad opporsi ad Arafat sulla ripresa dei
negoziati di pace a Washington, dicendo che Barak non era "un partner di
pace ma di guerra". Nel marzo 2001 poi, minacciò di morte i giornalisti
israeliani dicendo: "nessun giornalista israeliano che entrerà nei territori
ne uscirà vivo". Non proprio un inno alla libertà di stampa. Pochi mesi dopo
sconfessò il cessate-il-fuoco annunciato da Arafat. Ispiratore e
organizzatore della seconda intifada (non a caso era il leader della
formazione terroristica denominata "Brigate dei martiri di Al Aqsa") era tra
quelli che accusava Arafat di non essere abbastanza duro con gli israeliani.
Tutto questo mentre negli autobus di Tel Aviv e Gerusalemme i kamikaze si
facevano saltare per aria in mezzo a donne e bambini. Se ora è nelle carceri
israeliane infatti, è proprio perché è stato giudicato per le responsabilità
organizzative negli attentati della seconda Intifada. Israele lo ha accusato
di ben 37 diversi attacchi - inclusi attentati suicidi - anche se
sufficienti prove di colpevolezza sono state trovate "solo" per quattro
diversi attentati. Non dico che le persone non possano cambiare - anche se
in quell'area i miracoli sono ultimamente assai rari - ma bisogna aver ben
presente con chi si ha a che fare. Sta insomma a lui per primo, visto il suo
passato, dare garanzie e concrete dimostrazioni di un leale impegno per la
pace.

Ma il popolo palestinese non è solo Barghouti o Hamas, ed è proprio questo
il problema dell'approccio occidentale alla questione palestinese. Mentre la
nostra stampa dà molto spazio a "l'altra Israele" (vedi David Grossman, per
esempio), non c'è mai spazio per "l'altra Palestina" sui nostri media.
Eppure esiste, eccome. Basta pensare a persone come Walid Salem. Un nome
purtroppo sconosciuto al grande pubblico, ma impegnato da tempo sul fronte
della nonviolenza. Quest'uomo, dopo quattro anni di carcere israeliano
(prese parte alla prima intifada) e un fratello ucciso dagli israeliani
durante la seconda intifada, ha avuto la forza di aprire "The parents
circle": un'organizzazione israelo-palestinese di famiglie vittime del
conflitto, che organizza incontri di dialogo. Un esempio vivente di come la
pace, anche tra chi porta nell'animo le ferite della guerra, è possibile.

Sono persone come lui a dover essere promossi ed aiutati, ospitati sui
nostri media, nei congressi dei nostri partiti, e nei parlamenti del nostro
continente. E questo è quello per cui dobbiamo mobilitarci anche noi, amici
di Israele: più saranno forti queste personalità pacifiche palestinesi, e
più la pace sarà vicina.

Sarebbe il caso per esempio di lanciare un appello al nostro governo e alle
istituzioni europee: nelle prossime visite istituzionali in Palestina si
organizzino incontri anche con le associazioni della società civile
palestinese che praticano metodi non-violenti. Ne esistono diverse, e hanno
bisogno della legittimazione internazionale come il pane. Qualche esempio?
Just Vision, International Peace and Cooperation Center, Panorama Center:
guidati rispettivamente da Ali Abu Awwad, Rami Nasrallah e il già citato
Walid Salem. I palestinesi pacifici insomma - nonostante si faccia di tutto
per nasconderli - non mancano. Facciamo diventare loro i simboli di una
diversa Palestina, e potremo sperare di avere una Palestina diversa. Mi pare
inutile questa corsa "in soccorso dei vincitori" - tanto più se violenti -
che comunque se la cavano benissimo da soli.

Altrettanto importante è cercare di creare un ambiente in cui possa emergere
meglio chi ha più argomenti, e non chi ha più armi. Finché nei territori
vige la legge del più forte, non potranno che emergere i più violenti. Per
questo è importante cercare di convincere l'UE che i finanziamenti non vanno
dati a leader qualsiasi, purché sedicenti laici. Gli aiuti vanno legati al
ripudio della violenza e a delle autentiche riforme della struttura statale
palestinese. A cominciare dal monopolio della forza, che deve essere in mano
all'Autorità palestinese. Lasciare che ciascun gruppo (Fatah compreso)
costituisca le proprie bande armate non porta all'equilibrio, ma
all'anarchia. L'abbiamo visto a Gaza, dove addirittura le bande di Hamas
hanno rovesciato le forze regolari dell'ANP. Se si sta davvero dalla parte
dei palestinesi e della pace, non bisogna aiutare anche chi predica e
pratica la violenza. Farlo, non vuol dire stare dalla loro parte, ma da
quella dei terroristi e della guerra.

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