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Panorama Rassegna Stampa
01.11.2018 Ecco il segreto del boom israeliano
Chiara Clausi intervista Saul Singer

Testata: Panorama
Data: 01 novembre 2018
Pagina: 50
Autore: Chiara Clausi
Titolo: «'II segreto del boom israeliano? Assumerci i rischi'»

Riprendiamo da PANORAMA di oggi, 01/11/2018, a pag.50, con il titolo "II segreto del boom israeliano? Assumerci i rischi" l'intervista di Chiara Clausi a Saul Singer.

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Saul Singer              La copertina (Mondadori ed.)

E’ un Paese grande poco più della Puglia, con poca acqua, scarse risorse minerarie, in guerra perenne con gli Stati confinanti, 370 milioni di arabi ostili. Ma è anche una potenza economica, con un Pil superiore a quello dei più popolosi vicini e un reddito pro capite che ha raggiunto quello della Germania. Saul Singer, autore assieme a Dan Senor del bestseller Laboratorio Israele, spiega il segreto di questo successo, un mix di innovazione, ricerca militare e civile che vanno di pari passo alla chutzpah, una parola yiddish che ha il significato di coraggio, audacia. «Microsoft e Apple hanno costruito i loro primi centri di ricerca all'estero in Israele, e così anche grandi multinazionali dell'hi-tech, come Ibm, Google, Facebook», spiega Singer. Israele ha infatti la più alta densità di start up al mondo. Dopo gli Stati Uniti e la Cina, ha il maggior numero di compagnie quotate sul Nasdaq. Più di India, Corea, Singapore e Irlanda. Ed è il Paese con la maggiore quota di Pil investita in ricerca e sviluppo.

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Singer, come ha fatto Israele a diventare una potenza economica? All'inizio, grazie all'hi tech applicata all'agricoltura, si è trasformato in un Paese importante nell'esportazione di arance, ma già all'inizio degli anni 80 diventava una grande nazione nel campo dell'high tech. Questo è stato il motore della trasformazione. Trasformazione rapida per un piccolo Stato con scarsità di acqua.

Come è diventato un'eccellenza nel settore agricolo? Questo sviluppo è nato dalla necessità. Israele non ha grandi riserve d'acqua. Abbiamo utilizzato tecniche d'irrigazione che necessitano di quantità minori di acqua, tecniche di desalinizzazione, che all'inizio erano molto costose ma sono diventate economiche con il tempo.

Ma per la crescita economica è stato più importante il capitale umano o economico? Non abbiamo risorse naturali, la nostra terra è arida. Tutto ciò che abbiamo è il capitale umano. Molti Paesi hanno grandi risorse, come il petrolio. Ma non è il nostro caso. Avete conquistato anche una superiorità nell'industria militare. Già dei tempi del fondatore dello Stato David Ben Gurion eravamo circondati da eserciti molto più grandi, meglio addestrati e che avevano più soldi del nostro. L'unico modo per sopravvivere era avere un know how superiore. Ma la nostra superiorità non è soltanto nel campo della difesa. Siamo all'avanguardia nella cybersecurity, nella tecnologia medica, agricola, nella pubblicità. Qui si può trovare ogni tipo di tecnologia, non solo quella militare.

Quali sono le ricadute dell'industria militare in quella civile? Ciò che è importante è che gli studenti israeliani imparino nelle università come risolvere problemi. Anche l'esperienza nel settore militare da noi si caratterizza nell'affidare ai militari missioni che sembrano impossibili da portare a termine, ma che devono allenarsi a superare. Questo non accade spesso nell'educazione delle persone nel mondo, ma aiuta nella costituzione di start up.

Siete all'avanguardia in start up che sviluppano intelligenza artificiale, nanotecnologie e macchine elettriche. È il futuro? Sono tutti settori molto importanti oggi. È la direzione verso cui stiamo andando. Ad esempio molte aziende stanno migliorando la tecnologia delle macchine elettriche. Sono meno costose, il loro uso combatte l'inquinamento, e producono energia pulita.

La protezione dell'ambiente è importante, ma quanto influenza la crescita del Paese la scoperta di giacimenti di gas? Molti degli effetti che comporteranno non li vedremo. Verranno utilizzati in sostituzione del petrolio. Ciò che vi si ricaverà in termini di guadagni potrà essere investito in molte altre attività, come ha fatto la Norvegia. Bisognerà vedere se saremo in grado di farlo. Un'altra sfida per lo sviluppo dell'economia è stato il conflitto con i palestinesi. Ha motivato Israele ad avere un esercito forte. In altri Stati poche persone hanno esperienza della vita militare. Le donne qui fanno il servizio militare per due anni, gli uomini per tre.

Ciò insegna a essere preparati nel «problem solving». Anche in guerra? Faccio un esempio. C'era un'azienda nel nord di Israele chiamata Iscar, acquistata da Warren Buffett, che produceva strumenti di metallo. Quando la guerra del 2006 è iniziata, il nord del Paese è stato bombardato dai missili. Il proprietario di Iscar non ha voluto abbandonare l'azienda. Secondo lui per il successo era importante il talento dei dipendenti. La mentalità di Israele è di tenere alla vita, nonostante la guerra.

Nel successo di Israele ha influito anche il fatto che sia uno Stato con 70 nazionalità? Israele riunisce persone di diversi Paesi, con culture e lingue differenti. La popolazione è costituita da emigrati, questa caratteristica ne fa un Paese intraprendente. Il popolo israeliano più di altri è disposto ad assumersi rischi.

Qual è il miglior ambiente per stimolare la creatività? La creatività è importante per costituire start up, anche se molte idee vanno in porto e altre falliscono. È necessario conoscere le regole del management, del lavorare in squadra, avere competenze tecnologiche, saper risolvere problemi, imparare dagli errori. Importante è la determinazione e la capacità di assumersi rischi.

Ogni nazione sviluppa il proprio patrimonio in base alla propria cultura, alla storia, alle circostanze in cui vive. In una parola qual è il segreto di Israele? Determinazione, lavorare molto e non arrendersi. È parte della nostra cultura, di come cresciamo i figli. Diamo loro più libertà, più responsabilità. Facciamo in modo che i bambini diventino subito indipendenti. Ovunque io vado, Medio Oriente, America Latina, le persone mi dicono che non amano assumersi rischi, qui è il contrario. È parte della nostra storia.

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