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Panorama Rassegna Stampa
07.12.2009 Per Sergio Romano Marwan Barghouti è il candidato ideale
Non lo dubitavamo

Testata: Panorama
Data: 07 dicembre 2009
Pagina: 14
Autore: Sergio Romano
Titolo: «Barghouti vale una pace?»

 Da PANORAMA n°50 del 4/12/2009, a pag. 145, l'articolo di Sergio Romano dal titolo " Barghouti vale una pace? ".

Romano nota che Israele, pur di far tornare Gilad Shalit a casa è disposto a liberare un migliaio di detenuti palestinesi e si interroga sulle motivazione che stanno alla base dell'accettazione dello scambio. Fra di esse individua anche : " l’innato sentimento che un israeliano valga molto più di un palestinese. ". Non è una questione di valore. Israele, dall'anno della sua fondazione, ha dovuto combattere numerose guerre per difendersi dagli attacchi dei Paesi arabi limitrofi. Il servizio militare è obbligatorio per i cittadini. Esiste un patto fra lo Stato e i cittadini. Essi combattono, ma lo Stato si impegna a fare qualunque cosa per riportarli a casa. Per questo Israele ha sempre trattato col nemico per ottenere la liberazione dei prigionieri anche per avere indietro i corpi dei soldati uccisi. 
Romano è molto favorevole alla liberazione di Barghouti e scrive : "
Una volta libero, Barghouti potrebbe rimpiazzare Abbas, tentare la conciliazione con Hamas, diventare l’interlocutore autorevole che i palestinesi, finora, non sono riusciti a mettere in campo. Resta da vedere se gli israeliani desiderino un tale interlocutore o non preferiscano piuttosto continuare a trattare con negoziatori deboli e divisi.". Accusare Israele di trarre profitto dalla debolezza dei suoi interlocutori arabi e di non voler liberare Barghouti per non dover affrontare un interlocutore forte è un'opinione che soltanto Romano può esprimere. A Israele interessa un interlocutore forte, ma che venga dal mondo politico, non dalla criminalità. La scarcerazione di Barghouti è una questione complessa, legata ai crimini da lui commessi. Barghouti è responsabile di diversi attentati terroristici contro la popolazione israeliana. Si trova in carcere dopo essere stato regolarmente processato e condannato. Il timore è che, una volta libero, torni a programmare attentati, più che dedicarsi ai negoziati. Come è successo con hamas a Gaza. L'intervista rilasciata pochi giorni fa a Umberto De Giovannangeli (consultabile nell'archivio di IC), lascia spazio a pochi dubbi. Barghouti non è interessato alla pace.
Ecco l'articolo:


Marwan Barghouti

Il 25 giugno 2006 un caporale israeliano, Gilad Shalit, fu catturato lungo la frontiera di Gaza da un commando di Hamas. I rapitori proposero di scambiare il prigioniero con tutte le donne palestinesi detenute nelle carceri israeliane, ma lo scoppio della guerra libanese, di lì a pochi giorni, dette al governo di Gerusalemme la speranza che la liberazione di Shalit sarebbe stata ottenuta con altri mezzi. La guerra, però, si risolse di fatto con la vittoria di Hezbollah, l’alleato libanese di Hamas, e il caporale Shalit rimase nelle mani dei suoi rapitori. Da allora il problema del suo riscatto riemerge periodicamente sulle prime pagine dei giornali israeliani.

I negoziati, probabilmente, non sono mai stati interrotti e i mediatori, in molte circostanze, sono stati i servizi egiziani. Si discute sul numero dei prigionieri palestinesi che verranno liberati (parecchie centinaia, se non addirittura più di 1.000) e sulla composizione della lista. La famiglia di Shalit, nel frattempo, non cessa di fare pressioni sul governo perché riporti a casa il loro ragazzo. In apparenza, insomma, una questione umanitaria. Nella realtà la faccenda si è ingarbugliata sino a diventare un pezzo importante della questione palestinese e merita d’essere esaminata nelle sue diverse componenti.

Il primo fattore interessante è la sproporzione fra il riscatto di una sola persona e il numero dei prigionieri che gli israeliani sarebbero disposti a rilasciare. Sappiamo che la guerra tra Hamas e Israele è asimmetrica, vale a dire combattuta da forze che hanno armi e metodi di combattimento molto diversi. Ma straordinariamente asimmetrico, in questo caso, è il prezzo che ciascuno dei due contraenti è disposto a pagare. Le ragioni sono molte: l’alto numero dei palestinesi nelle carceri dello stato d’Israele (circa 11 mila), le pressioni della famiglia di Shalit sul governo di Gerusalemme e soprattutto l’innato sentimento che un israeliano valga molto più di un palestinese.

Il secondo fattore di particolare interesse è la discussione al vertice della politica israeliana, sulle ricadute politiche dell’operazione. Incoraggerà il partito militare della resistenza palestinese a programmare nuovi attentati e rapimenti? Offrirà a Hamas l’occasione per proclamare che i suoi metodi sono infinitamente migliori di quelli adottati da Al-Fatah (l’organizzazione creata da Yasser Arafat) e dal suo leader Mahmud Abbas? È opportuno perseguire il riscatto di Shalit se l’operazione può avere per effetto un colpo all’autorità di coloro che sono stati sinora i migliori interlocutori palestinesi d’Israele?

Quest’ultima domanda s’intreccia con il problema della composizione della lista dei detenuti da liberare. Il nome più citato e discusso è quello di Marwan Barghouti, regista di numerosi attentati e condannato più volte all’ergastolo, ma straordinariamente popolare in Palestina. Barghouti, fra l’altro, è autore di un documento redatto in carcere nel 2006 che rinuncia implicitamente alla distruzione dello stato d’Israele e propone uno stato palestinese limitato ai territori occupati nel 1967 (Cisgiordania, Gaza, Gerusalemme Est). Quel documento, grazie alla sua autorità, fu firmato anche dai rappresentanti di Hamas e Jihad islamica.

Una volta libero, Barghouti potrebbe rimpiazzare Abbas, tentare la conciliazione con Hamas, diventare l’interlocutore autorevole che i palestinesi, finora, non sono riusciti a mettere in campo. Resta da vedere se gli israeliani desiderino un tale interlocutore o non preferiscano piuttosto continuare a trattare con negoziatori deboli e divisi.

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