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Panorama Rassegna Stampa
21.01.2008 Per ottenere la pace, Bush si pieghi a chi vuole la guerra
il cattivo consiglio di Sergio Romano

Testata: Panorama
Data: 21 gennaio 2008
Pagina: 152
Autore: Sergio Romano
Titolo: «Bush non può ignorare Siria e Iran»

In Medio Oriente "Non potranno esservi intese fino a quando il presidente Usa rifiuterà di ammettere che Siria, Iran e Hamas sono indispensabili alla conclusione di un accordo", sostiene Sergio Romano su PANORAMA del 18 gennaio 2008.

Uno spudorato capolvigimento della realtà
"Siria, Iran e Hamas" (e Hezbollah) sono gli attori mediorentali che cercano con ogni mezzo, e soprattutto con la violenza, di impedire qualsiasi accordo israelo-palestinese e qualsiasi stabilizzazione della regione.

Non lo fanno per motivi tattici, ma per un'ostilità radicale, esistenziale, per Israele che vogliono cancellare dalla carta geografica.
L'assunto di Romano va dunque corretto: nessuna mediazione di pace sarà efficace e credibile finchè la comunità internazionale non si deciderà ad affrontare l'asse politico che corre da Teheran a Gaza passando per Damasco e Beirut, e che vuole la prosecuzione della jihad contro Israele ( e contro l'Occidente).

Ecco il testo:



Dicono che le letture preferite di George W. Bush, in questi ultimi mesi, siano le biografie dei suoi predecessori e in particolare di quelli che furono molto criticati durante la loro presidenza (Harry Truman, per esempio), ma rispettati e ammirati negli anni seguenti. Quali saranno nei libri di domani i passaggi cruciali e i punti salienti del suo doppio mandato alla Casa Bianca? Verrà ricordato per la sua guerra preventiva contro un paese che aveva ingiustamente accusato di possedere armi di distruzione di massa? Per i madornali errori commessi durante la prima fase dell’occupazione? Per una guerra afghana lasciata a mezzo dopo una frettolosa vittoria e nuovamente esplosa tre anni dopo? Per i detenuti del campo di Guantanamo, i prigionieri umiliati del carcere di Abu Ghraib e le «consegne straordinarie» di sospetti terroristi che la Cia preferiva affidare ai metodi spicci di altri servizi d’intelligence?

Con il suo viaggio in Medio Oriente il presidente degli Stati Uniti spera di scrivere la miglior pagina della sua biografia, un capitolo conclusivo che costringa gli storici a correggere il loro giudizio. A casa, negli Stati Uniti, mentre si avvicina la fine del mandato, il suo ruolo politico diventa sempre più irrilevante. Il Congresso è controllato dai democratici. I candidati alla successione lo ignorano o fanno del loro meglio, anche quando appartengono al suo partito, per apparire diversi. Ma all’estero Bush è pur sempre il presidente della maggiore potenza mondiale, l’uomo che ha ancora nelle sue mani gli strumenti della guerra e quelli del pace. La soluzione del problema palestinese, nei prossimi mesi, darebbe lustro alla sua immagine e renderebbe meno evidenti gli errori precedenti.

Un successo, là dove Bill Clinton fallì, gli permetterebbe forse di uscire dalla Casa Bianca con un Nobel per la pace. Ma il viaggio in Israele e in Palestina ha messo in evidenza i limiti dell’operazione. Il successo dipende da due fattori. Occorre che il governo israeliano smetta di tollerare il continuo aumento degli insediamenti nei territori occupati. E occorre che i palestinesi di Mahmud Abbas risolvano in un modo o nell’altro (con un compromesso o con la forza) il problema dei loro rapporti con Hamas. Ma il leader palestinese e il premier israeliano Olmert sono deboli e incapaci d’imporsi alle componenti intransigenti dei loro rispettivi campi. Se Bush si alzasse al di sopra delle parti e assumesse un atteggiamento credibilmente neutrale, un’intesa forse sarebbe possibile. Ma è difficile considerare neutrale un mediatore che rifiuta di conferire a Hamas la dignità dell’interlocutore e ha portato in dono a Israele forniture militari per 30 miliardi di dollari.

La missione di pace del presidente americano è stata inoltre contraddetta dalla seconda parte del viaggio. Durante le sue visite in Arabia Saudita e nei piccoli stati del Golfo Persico Bush ha cercato di creare un grande fronte degli stati sunniti contro l’«imperialismo» regionale dell’Iran sciita. E ha cercato di sedurre i sauditi con la promessa di forniture militari per una somma inferiore a quella prevista per gli israeliani (20 miliardi dollari), ma pur sempre rilevante. Non ha compreso che la sua arringa antiraniana ad Abu Dhabi, sarebbe stata accolta con imbarazzo. Non ha compreso, soprattutto, che nessuno stato della regione, anche se preoccupato dalla tracotanza del presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad, può permettersi di apparire, agli occhi del mondo musulmano, un satellite degli Stati Uniti. Non vi sarà pace in Medio Oriente senza la collaborazione degli Stati Uniti. Ma non potranno esservi intese fino a quando il presidente Usa rifiuterà di ammettere che Siria, Iran e Hamas sono indispensabili alla conclusione di un accordo.

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panorama@mondadori.it

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