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Panorama Rassegna Stampa
29.10.2007 L'ambiguità di due "amici" dell'Occidente: Pervez Musharraf e Abu Mazen
l'analisi di Fiamma Nirenstein

Testata: Panorama
Data: 29 ottobre 2007
Pagina: 159
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «Amici nostri o della Jihad»

Da PANORAMA in edicola il 26 ottobre 2007:

Cosa non si farebbe per costruire un leader moderato, e quante delusioni possono risultarne. Gli Stati Uniti e l’Europa sperano sempre che un ottimo leader locale voglia e possa bloccare le forze estreme e i terroristi: non c’è sacrificio economico o pubblico riconoscimento che venga lesinato per promuovere il leader prescelto.

Ma spesso non resta che chiudere gli occhi e consentire la doppiezza, e questo sfocia in fallimenti politici destinati a peggiorare la situazione. Prendiamo due esempi: il presidente pachistano Pervez Musharraf e il presidente palestinese Abu Mazen, fatte salve le evidenti differenze.

Tutti gli analisti del mondo concordano su un fatto, quando si parla dell’attentato del 18 ottobre contro Benazir Bhutto a Karachi: si suppone che l’esplosione sia avvenuta dopo il primo cordone di protezione, formato da poliziotti e da agenti dell’intelligence comandati dal generale Ejaz Shah. Il secondo era costituito da volontari di Bhutto. Costei ha accusato Shah, contro il quale non ci sono prove; ma certo a sorvegliare la sicurezza di Bhutto era l’uomo di fiducia del governo per i contatti con i talebani. Shah era il tramite con il mullah Omar e probabilmente con Osama Bin Laden stesso. Forse è uno dei tanti che considerano il rapporto con gli Usa e l’Occidente un episodio nel destino del Pakistan islamico e atomico.

Musharraf appare oggi un leader incerto, dopo elezioni che l’hanno indebolito in quanto hanno messo in questione il suo rapporto con l’esercito, unico corpo forte di un paese di 165 milioni di abitanti, in genere poveri e illetterati. Bin Laden gode dell’approvazione del 46 per cento degli abitanti mentre Musharraf del 38, e il 75 per cento si dichiara contrario alle operazioni militari contro Al Qaeda o i talebani dentro il Pakistan. In questo paese essi si sono costruiti nuove basi per la rivolta in Afghanistan e per costruire quadri pachistani cercano di sovvertire la situazione attuale. Anche l’esercito, di cui Musharraf è il capo, ha come motto «Fede, pietà e jihad sulla strada di Allah». 

Insomma, mentre gli Stati Uniti si tenevano sempre un passo indietro, nonostante il contributo annuale di 1 miliardo e mezzo di dollari, l’esercito di Musharraf (l’unico paniere in cui gli Usa hanno messo le loro uova, sebbene ci siano parecchi quadri locali interessanti) si è sempre più binladenizzato. Gli Usa hanno lasciato perdere, in un rapporto machiavellico e ingenuo al contempo, la richiesta più importante: dejihadizzare il paese con una campagna ideologica contro il terrorismo. Ora il Pakistan è un paese nucleare jihadista in pieno terremoto: il massimo del pericolo per il mondo.

Quanto ad Abu Mazen, è recente la notizia che i tre uomini di Al Fatah che avevano attentato alla vita del premier israeliano Ehud Olmert sulla strada di un incontro di pace, a Gerico il 6 agosto, erano parte della polizia palestinese. Non solo, una volta imprigionati, su indicazione dei servizi israeliani, sono poi stati rimessi in libertà il 26 settembre. Al Fatah di Abu Mazen teme la concorrenza di Hamas. In preparazione della prossima traballante conferenza di pace in America, anzi, Abu Mazen ha di nuovo indicato obiettivi massimalistici, come il ritorno dei profughi che inonderebbe Israele con milioni di palestinesi, cancellando lo stato ebraico. Mai Abu Mazen ha pronunciato le parole «stato ebraico».

Molti sostengono che dietro le quinte sarebbe pronto a compromessi. Probabilmente anche Musharraf è contro Al Qaeda, ma il fatto che i leader moderati non comunichino ai loro popoli la propria svolta culturale nei confronti degli Usa e di Israele porta acqua alla causa di Bin Laden, Ahmadinejad, Nasrallah, Masha’al.

Masochisticamente noi non poniamo condizioni quando si tratta di aiuti. Prezzo: il fallimento politico dei processi di pace. Ovvero la guerra, le guerre.

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