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Rassegna Stampa
26.02.2017 Ma accanto a Israele non c'è la Svizzera
Qualcuno avvisi subito Umberto De Giovannangeli

Testata:
Autore: Umberto De Giovannangeli
Titolo: «L'altra Israele contro Netanyahu»

Riprendiamo dall' UNITA' di oggi, 26/02/2017, a pag.10, con il titolo "L'altra Israele contro Netanyahu" l'articolo di Umberto De Giovannangeli.

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Umberto De Giovannangeli

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Qualcuno consegni urgentemente a Udg nella redazione dell'Unità una cartina del Medio Oriente. Il motivo è semplice: a Udg devono aver detto che accanto a Israele c'è la Svizzera, non i palestinesi di Abu Mazen da un lato e Hamas dall'altro. Non sono gli svizzeri a non riconoscere l'esistenza di Israele e a minacciarne la cancellazione dalle carte geografiche. Se così fosse Udg avrebbe ragione di condividere quel magnifico documento sottoscritto da illustri israeliani in disaccordo con la politica di tutti i governi che si sono succeduti dal 1948 a oggi. Loro vogliono un Paese in pace con i vicini, ma non si rendono conto che non sono svizzeri, quelli non esiterebbero un solo minuto a distruggere il paese in cui vivono i firmatari.
Naturalmente scherziamo, De Giovannangeli sa benissimo che Abu Mazen e Hamas non sono svizzeri e che nei loro progetti non esiste la voce "due stati per due popoli", quanto piuttosto la eliminazione dell' 'entità sionista', lo sa Udg, ma non ci bada, ama troppo anche lui la pace per accorgersi di chi realmente vuole la guerra. Poi ci sono gli Jesurum di casa nostra, anche loro vorrebbero abbatter muri per costruire ponti, ma non essendoci la possibilità di attuare i loro desideri in Svizzera, si rivolgono verso il Medio Oriente. Ma non ci vanno, restano qui a predicare la bontà di cui si sentono portatori ufficiali.

Ecco il proclama:

Non si arrendono all'odio. Si battono per una pace giusta, duratura, tra pari. Per difendere Israele, la sua democrazia. Per dire "no" al regime dell'apartheid nei Territori, e rilanciare, nonostante Donald Trump e i falchi della destra israeliana, la soluzione a due Stati. Tra poco più di tre mesi, il 5 giugno, cade il cinquantenario della Guerra dei Sei giorni: una svolta storica per Israele e per l'intero Medio Oriente. Un'occasione per rilanciare la sfida del dialogo. Quella in cui è impegnato il movimento Siso (Save Israel Stop Occupation ). Pochi giorni fa, Siso ha rilanciato, legandola ad una serie di iniziative pubbliche, una petizione firmata da oltre cinquecento personalità israeliane: dagli scrittori David Grossman, Amos Oz, Orly Castel Bloom, Savyon Liebrecht, Ronit Matalon, Yael Dayan, al premio Nobel Daniel Kahneman, alla cantante Achinoam Nini (Noa), il musicista David Broza, il filosofo Avishai Margalit e la sociologa Eva Illouz, per continuare con Avraham Burg ex Presidente del Parlamento, Ohad Naharin coreografo, venti ex ambasciatori tra cui Ilan Baruch, Alon Liel, Elie Barnavi, docenti universitari di chiara fama, storici, parlamentari presenti e passati, drammaturghi, artisti, ex generali e alti gradi dell'Esercito e dell'Intelligente, ex ministri, quarantotto vincitori dei maggiori riconoscimenti culturali e scientifici nazionali. E il manifesto dell'altra Israele, dei costruttori di dialogo, di quanti non si arrendono alla deriva fondamentalista dello Stato ebraico. L'Israele che ha un suo «Credo». Questo: «1. Noi crediamo che le aspirazioni ebraiche di istituire uno Stato siano state realizzate e debitamente riconosciute dalla comunità internazionale attraverso il Piano di spartizione adottato nel novembre 1947 dalle Nazioni Unite e successivamente da molti dei suoi membri. «Mentre le aspirazioni ebraiche sono state esaudite i palestinesi sono ancora umiliati» «Non si può essere popolo libero se si opprime un altro popolo» Tuttavia, mentre le aspirazioni ebraiche sono state esaudite, così non è stato per le parallele aspirazioni dei palestinesi, frustrate poi dall'occupazione di Israele dei Territori palestinesi dal 1967 e dalla negazione dei diritti nazionali del popolo palestinese. 2. Noi crediamo che mezzo secolo di occupazione sia più che sufficiente e che da tempo sia ora di porvi fine. Far durare ancora questa situazione condannerà i due popoli che condividono questa terra ad un inutile spargimento di sangue e minaccia di trasformare quella che era iniziata come una lotta per l'indipendenza in un incontenibile conflitto religioso. 3. Noi crediamo che per raggiungere il nostro obiettivo - la creazione dello Stato di Palestina accanto allo Stato di Israele - sia cruciale che non si metta più in forse la stessa legittimità dello Stato di Israele come patria degli ebrei, assicurando ad esso finalmente dei confmi riconosciuti dal diritto internazionale. Questo porrà fine alle continue violazioni dei diritti umani e civili dei palestinesi. Impedirà inoltre i tentativi di fondere le due entità - Israele e Palestina - in una "Terra di Israele" dove vige l'apartheid, come propugnato dalla destra israeliana dominata dai coloni. 4. Noi crediamo che con l'approssimarsi del cinquantesimo anniversario dell'occupazione, il 5 giugno 2017, il mondo ebraico dovrebbe unire le forze in virtù di un senso di responsabilità reciproca, del rispetto per i valori umani e per l'identità etica dell'ebraismo, della naturale preoccupazione per la sopravvivenza di Israele ed il suo benessere, e giocare un ruolo attivo negli sforzi di porre fine all'occupazione. 5. Noi crediamo che, una volta sollevato dalla piaga dell'occupazione, Israele diventerà realmente uno Stato ebraico e democratico, con pari diritti umani e civili per tutti i suoi cittadini, libero di sprigionare tutto l'enorme potenziale economico, culturale, educativo del suo popolo e capace di godere pienamente del suo ruolo legittimo fra le Nazioni del mondo, vivendo in pace e sicurezza con i suoi vicini. Facciamo appello ad ogni ebreo in Israele e nella diaspora che si sente parte integrante del popolo ebraico, che sia preoccupato di assicurare un futuro allo Stato di Israele, e che sia d'accordo con i principi fm qui delineati, per unirsi al movimento Siso e contribuire al meglio delle proprie possibilità al suo successo. In quest'ora critica, salvare Israele è responsabilità primaria di chiunque sia interessato alla sua sopravvivenza, ed essere uno spettatore non pub essere un'opzione».
Le iniziative Siso, rimarca lo scrittore Stefano Jesurum, «ci sprona dunque a fare e a propagandare i loro prossimi appuntamenti. Come il secondo seder di Pesach (la cena della Pasqua ebraica, 11 aprile) accompagnandolo con la lettura pubblica e privata del materiale che Oz, Grossman e altri stanno elaborando, imperniato sul tema libertà-schiavitù («non si pub essere popolo libero se si opprime un altro popolo, non possiamo celebrare la nostra liberazione dall'Egitto senza riconoscere i diritti di libertà di tutti». Oppure il 30 aprile, Giorno del Ricordo, quando si rende onore alle oltre 26mila vittime israeliane militari e civili cadute dalla nascita dello Stato: da alcuni anni a Tel Aviv due Ong pacifiste - Parents' Circle, associazione che riunisce famiglie di morti israeliani e palestinesi, e Combatants for Peace a cui aderiscono ex militari israeliani e ex membri di movimenti guerriglieri-terroristici impegnati in un percorso di riconciliazione e di pace - commemorano insieme le vittime della violenza delle due parti. Per finire con il raduno e la manifestazione di ebrei israeliani e diasporici l' 11 giugno in Israele, a 5O anni dall'inizio dell'occupazione. L'altra Israele non si arrende. La pace nella giustizia è ancora possibile.

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