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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Rassegna Stampa
29.08.2008 Intervista ad Avila Shalit
che vuole che la liberazione del figlio sia una condizione irrinunciabile in ogni trattativa con Hamas

Testata:
Autore: Umberto De Giovannageli
Titolo: «Mio figlio Gilad, prigioniero»
 L'UNITA' del 29 agosto 2008 pubblica un'intervista ad Avila Shalit, madre di Gilad Shalit che, tra le altre cose, dichiara:
"Il signor Olmert ha negoziato una tregua con Hamas ma la liberazione di Gilad non ne ha fatto parte. Perchè? Qualcuno ha provato a spiegare che Gilad è una sorta di “polizza di assicurazione” per Hamas...Questo è assolutamente scandaloso! il mio Gilad non può essere sacrificato alla “ragion di Stato”. Il rifiuto del governo di includere il rilascio di Gilad nell’accordo di cessate il fuoco contraddice tutte le promesse che c’erano state fatte da capi di Stato, primi ministri, ministri della Difesa, generali...»."
E' naturale che la prima preoccupazione di una madre sia la salvezza del figlio. D'altro canto, uno Stato costantemente minacciato come Israele affronta ogni giorno scelte tragiche. Rifiutare il cessate fuoco con Hamas avrebbe voluto dire accettare che i missili kassam continuassero ad essere lanciati quotidianamente contro le città israeliane. Con la conseguente necessità per Israele di rispondere, e forse di entrare a Gaza.
Sarebbe stato meglio così ?
Non vogliamo prendere posizione in merito.  Occupandoci di correttezza dell'informazione, vogliamo piuttosto rilevare una contraddizione e  una strumentalizzazione nel quotidiano che ospita l'intervista ad Avila Shalit. Il quale non solo ha sostenuto la necessità del cessate fuoco tra Israele e Hamas. Ha anche sostenuto che Hamas doveva essere riconosciuto come interlocutore politico, senza condizioni. Lo stesso Umberto De Giovannangeli che si è fatto interprete e difensore della linea dalemiana di superamento delle condizioni poste dalla comunità internazionale e di apertura al gruppo islamista fa ora sue   le critiche di Avila Shalit alle autorità israeliane.
Quelle critiche però, sono di segno opposto rispetto a quelle di u.d.g. e di D'Alema. Questi hanno chiesto e  chiedono a Israele  di riconoscere Hamas e di rinunciare di fatto ad ogni strumento di pressione verso il gruppo islamista. Avila Shalit chiede, certo, di trattare la liberazione del figlio. Ma chiede anche di porre questa liberazione come condizione irrinunciabile per ogni concessione ad Hamas. 

Ecco il testo completo:


È LA STORIA di una madre che continua a battersi
per riabbracciare il figlio da oltre due anni prigioniero dei miliziani palestinesi. La storia di una presenza-assenza struggente, di un dolore e una speranza che si rinnovano giorno dopo giorno. È la storia di Avila Shalit, la madre del soldato israeliano prigioniero di Hamas
È la storia di una donna, di una madre che da da oltre due anni non smette di pregare, di sperare, di lottare per poter riabbracciare il proprio figlio. È la storia di una tragedia familiare che si è trasformata giorno dopo giorno in una vicenda nazionale. È la storia del soldato Gilad Shalit e dei suoi genitori, Aviva e Noam. Ieri il soldato Shalit - rapito il 25 giugno 2006 da un commando palestinese ai confini tra Gaza e Israele - ha compiuto 22 anni. Israele lo ha ricordato con raduni e manifestazioni di solidarietà. Per la prima volta Aviva Shalit parla con un giornale italiano del suo rapporto con Gilad. E di questi anni di attesa. «Ogni angolo della nostra casa - dice Aviva - “contiene” il ricordo di Gilad...E questa presenza-assenza scandisce ogni istante della mia giornata, di quella di Noa, mio marito, e degli altri nostri figli. A darci la forza di andare avanti è il ricordo di Gilad e la speranza di poterlo riabbracciare». Ai rapitori di suo figlio, Aviva rivolge un appello: «Ricordatevi che prima di ogni altra cosa, il ragazzo che tenere prigioniero è un essere umano...Credo che coloro che tengono in ostaggio mio figlio abbiano una famiglia e dei figli e possano immaginare cosa io, mio marito, gli altri miei figli stiano provando...». Aviva Shalit è dura nei confronti delle autorità israeliane: «Sono trascorsi oltre 700 giorni dal rapimento di mio figlio - dice Aviva - un tempo sufficiente perché il signor Olmert prendesse una decisione, scegliesse una linea di condotta...Gilad non era a Gaza per sua iniziativa. Stava servendo Israele, il suo Paese. E Israele non può abbandonarlo. Negoziare il suo rilascio è un atto di forza, di lealtà da parte d’Israele, e non un cedimento ai terroristi».
Signora Shalit, oggi (ieri,ndr.) suo figlio Gilad ha compiuto 22 anni, gli ultimi tre compleanni li ha passati da prigioniero. Quali sono i sentimenti che prova?
«Una nostalgia struggente per Gilad. Ogni mio pensiero va a lui. La sua è una presenza-assenza che riempie la mia giornata e quella di Noam, mio marito. E poi la speranza: è l’unica cosa che ci hanno lasciato e che ci dà la forza di andare avanti. E di batterci. Nostalgia, speranza e delusione...».
Delusione verso chi?
«Verso coloro che possono fare qualcosa per Gilad ma che sembrano aver dimenticato mio figlio...Il signor Olmert ha negoziato una tregua con Hamas ma la liberazione di Gilad non ne ha fatto parte. Perchè? Qualcuno ha provato a spiegare che Gilad è una sorta di “polizza di assicurazione” per Hamas...Questo è assolutamente scandaloso! il mio Gilad non può essere sacrificato alla “ragion di Stato”. Il rifiuto del governo di includere il rilascio di Gilad nell’accordo di cessate il fuoco contraddice tutte le promesse che c’erano state fatte da capi di Stato, primi ministri, ministri della Difesa, generali...».
Vi sentite lasciati soli?
«Non dalla gente. In questi anni terribili abbiamo sentito crescere attorno a noi l’affetto di tante persone, di ogni parte politica. È come se tutta Israele avesse “adottato” Gilad...Ma la stessa vicinanza non l’abbiamo avvertita da parte di chi ha il dovere e il potere di decidere...Sì, tante belle parole ma in concreto...».
Come si convive con questo dolore che si alimenta ogni giorno?
«Io e Noam ci ripetiamo in continuazione che non possiamo mollare...Lo dobbiamo al nostro Gilad. La notte è il momento più difficile...Ho perso il conto di quante ne ho trascorse sveglia. Penso a Gilad e accarezzo le sue foto, e rileggo una poesia che aveva scritto a 11 anni. È una favola . Gilad la chiamò “Il pesce e lo squalo”...L’ho riletta tante volte in questi anni terribili e spiega più di tante parole l’animo del mio Gilad».
C’è chi sostiene che non è giusto liberare in cambio di suo figlio palestinesi con «le mani insanguinate»...
«È un argomento doloroso che chiama in causa tragedie personali che meritano il massimo del rispetto. Ma nessuno ha il monopolio del dolore. E poi Israele ha già trattato con i terroristi e liberato terroristi che si erano macchiati di crimini sanguinosi, per avere in cambio nostri cittadini, non solo soldati. Perché ciò non deve valere anche per Gilad? Trattare per liberare un ragazzo mandato a combattere in prima linea, non è una prova di debolezza, ma al contrario è il segno di una superiorità morale nei confronti del nemico. Perché per Israele, come recita il Talmud, ogni vita umana è sacra, e salvarne una significa salvare l’umanità...».
Cosa si sente di dire ai tanti che dentro e fuori Israele continuano a battersi per la liberazione di suo figlio?
«Li abbiamo tutti nei nostri cuori. A tutti loro diciamo: Non lasciate che l’indifferenza uccida Gilad».

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