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Rassegna Stampa
18.03.2008 Medhi Kazemi non sarà rimpatriato in Iran
lo ha deciso il ministero dell'Interno britannico

Testata:
Autore: Francesca Grossi
Titolo: «Siamo tutti gay e lesbiche iraniani»
Da L'UNITA' del 17 marzo 2008, un articolo di Francesca Grossi segretaria nazionale di Arcilesbica:

Siamo tutti gay e lesbiche iraniane. Il giovane omosessuale iraniano Medhi Kazemi non sarà rimpatrio in Iran. Lo ha deciso il Ministro dell’Interno britannico Jacqui Smith che ha sospeso la procedura di deportazione.
Come persone e come omosessuali ne siamo felici, sono state settimane convulse di notizie preoccupanti e di manifestazioni. Ora speriamo che questa decisione possa creare un precedente importante anche per Pegah, la donna lesbica che ha chiesto asilo politico in Inghilterra e per gli altri che già sono qui o che arriveranno non solo in Gran Bretagna, paese che noi omosessuali abbiamo imparato a conoscere come liberale e progressista sui diritti civili delle persone LGBT, ma in tutti paesi europei. L’Europa può e deve essere terra di asilo politico anche per quegli omosessuali che rischiano la vita. Ma possiamo anche fare di più e a partire dalla battaglia per concedere l’asilo politico certo aprire un confronto serrato con il regime dei mullah. Siamo ormai forse troppo abituati a vedere le immagini di gente appesa ad una forca, processata sommariamente e giustiziata pubblicamente. Ma quando conosciamo da vicino chi riesce a rifugiarsi nelle nostre case abbiamo più vicina la percezione di cosa significhi.
Come Arcilesbica e Arcigay stiamo cercando di capire come noi associazioni LGBT italiane possiamo dare il nostro contributo. Mi sono tenuta in contatto con i militanti di Everyone, e ho preso contatti anche con le associazioni iraniane presenti a Roma. Non so quale sia la geografia delle varie associazioni. Ma qualunque essa sia, so che sto parlando con persone che hanno un solo obiettivo. Quello di non morire senza aver visto il loro paese cambiare in senso democratico. Dopo avere parlato al telefono con sua moglie Sharazade, che anima l’associazione delle donne democratiche iraniane in Italia, vado a incontrare nel suo negozio pieno di bellissimi tappeti persiani un uomo, rifugiato politico da quasi 30 anni in Italia che presiede l’Associazione Rifugiati Iraniani. Sono stata ad ascoltarlo mentre la mia compagna Alessandra Filograno lo sottopone ad un vero e proprio interrogatorio per capire quali possono essere le strade per aiutare quegli omosessuali che arrivano in Italia o in Europa. Davood Karimi, Davide, come dice lui, non ha dubbi. «A chi arriva in Italia e mi chiede consigli su cosa fare perché omosessuale, dico di dichiararsi rifugiato politico e di non parlare della propria omosessualità. Certo - ci pensa meglio, guardandoci - perché un omosessuale non dovrebbe dire ciò che è e dunque che solo per questo rischia di morire nel suo paese? Capisco. Ma è meglio dichiararsi rifugiato politico. Perché la condanna a morte per omosessualità è di per sé un fatto politico. Un fatto di discriminazione politica che comporta la morte. La pena di morte in Iran è strumento politico di repressione. L’altro strumento che legittima il regime è il terrore. Sei omosessuale? Ti uccidiamo. Dice il regime. La realtà della pena di morte è fatto politico. Ci sono 5 donne in questi giorni che sono in attesa di esecuzione nel carcere di Evin. Sta diventando "di moda" per il regime mostrare pubblicamente le esecuzioni delle donne. Il 12 luglio scorso una ragazza incinta è stata giustiziata e filmata. Il video è su Internet. Il regime vuole terrorizzare le donne, che sempre più cercano di opporsi ad una condizione di sottomissione».
Sotto i chador le donne iraniane non smettono di essere donne e sempre più, penso, interpretando il mio interlocutore, cercano di liberarsi da quelle gabbie fatte a forma di vestito. Qui da noi arrivano le notizie dei movimenti femministi in Iran – come la campagna «Un milione di firme» - che si battono contro le leggi discriminanti. Certo, Davood, ha la sua teoria su come si possa rovesciare un regime dittatoriale. Una teoria forse oggi poco realistica, ma sua, di iraniano fuggito in Italia, che ha figli italiani e aiuta gli iraniani che chiedono asilo politico. Quindi di un uomo che non ha smesso di amare la sua gente e il suo essere iraniano. Un po’ come la ragazza raccontata nella bella poesia di Persepolis. Davood ha pianto vedendo il film, ci dice. Noi vorremmo non dovere piangere per persone che sono in Europa e qui devono rimanere. La decisione inglese su Medhi ci conforta, Ora occorre che l’Inghilterra, l’Italia e tutti i paesi europei siano terra di asilo politico certo per gli omosessuali, perché contro la pena di morte siamo tutti gay e lesbiche iraniani.

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