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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Rassegna Stampa
23.12.2007 Gilad, Ehud, Eldad ancora nelle mani dei terroristi
Udg intervista il padre di Gilad

Testata:
Autore: Umberto De Giovannangeli
Titolo: «Il padre: salvate il soldato Shalit»

Sill'UNITA' di oggi, 23/12/2007, a pag. 1-13, Umberto De Giovannangeli intervista il padre di Gilad Shalid, il soldato israeliano rapito e del quale non si hanno più notizie. Segue un breve racconto, a cura della redazione di IC e ricevuto via internet, per ricordare Gilad e con lui Ehud Goldwasser e Eldad Regev, ancora nelle mani dei terroristi.

Ecco l'articolo di De Giovannangeli:

Non vuole rinunciare alla speranza. Da quel maledetto 25 giugno 2006, il giorno in cui il suo Gilad fu rapito da un commando palestinese, Noam non ha smesso per un solo istante di pensare a suo figlio. Non si arrende Noam Shalit, il padre del caporale israeliano Gilad Shalit, dal 25 giugno 2006 in mano dei suoi rapitori, miliziani di Hamas e della Jihad islamica. In questa intervista a l’Unità, Noam Shalit parla delle sue angosce di padre e della sua battaglia perché «Gilad e i suoi due commilitoni rapiti in Libano non siano sacrificati alla ragion di Stato».
LA SUA STORIA ha commosso Israele. La storia di un padre che si batte per la vita del figlio. Un figlio che, suo malgrado, è entrato nella storia dello Stato ebraico: Gilad Shalit, 21 anni, il giovane caporale rapito il 25 gennaio 2006 da un commando palestinese. Da quel giorno il padre Noam ha iniziato la sua battaglia

A chi gli chiede chi è Gilad, Noam Shalit mostra delle foto: Gilad in divisa da carrista, con i pantaloncini corti e lo zaino il giorno della partenza per il servizio militare: a stento trattiene la commozione: «È ancora un ragazzino - dice - appena uscito dal liceo, sembra che stia partecipando a una gita scolastica». Noam Shalit si rivolge ai rapitori di suo figlio. Il suo è un appello accorato, struggente: «Ci diano una prova che Gilad è ancora vivo. Credo che coloro che tengono in ostaggio mio figlio abbiano una famiglia e dei figli e possono immaginare cosa io, mia moglie, gli altri miei figli stiamo provando. Ai rapitori dico: non dimenticate che Gilad è prima di tutto un essere umano».
Signor Shalit, cosa significa vivere ogni giorno con il pensiero ad un figlio di cui non si ha più notizie da oltre un anno e mezzo?
«Io e mia moglie Aviva stiamo continuando a vivere e lavorare. Ovviamente nulla è più come prima. Davanti ai nostri figli, Yoel e Hadas, tentiamo sempre di mostrare che non siamo nel panico, per i ragazzi non andrebbe bene. Proviamo a mascherare la nostra angoscia...cerchiamo di sopravvivere...».
Signor Shalit, da quanto tempo non avete più notizie di Gilad?
«Da mesi. Lo scontro tra le fazioni palestinesi ha reso ancora più difficile la vicenda di mio figlio, in particolare dopo la guerra a Gaza tra Hamas e Fatah. Appare impossibile trovare un interlocutore credibile nelle fila palestinesi. Per quanto mi riguarda, non mi arrendo. L’ho detto tante volte: sono disposto a incontrare chiunque voglia incontrare me. A Gaza, in Cisgiordania, a Beirut...., ovunque. Sono pronto a farmi personalmente garante. E, se occorre, sono pronto a recarmi a Gaza e restare nelle mani delle forze di Hamas fino a che le loro richieste non saranno esaudite».
In Israele si continua a dibattere sulla legittimità di negoziare con coloro che hanno rapito suo figlio.
«Non le rispondo come padre, ma come cittadino israeliano che ama il suo Paese. Israele ha già trattato con i terroristi e liberato terroristi che si erano macchiati di crimini sanguinosi, per avere in cambio nostri cittadini, non solo soldati. Perché ciò non deve valere anche per Gilad? Trattare per liberare un ragazzo mandato a combattere in prima linea, non è una prova di debolezza, ma al contrario il segno di una superiorità morale nei confronti del nemico. Perché per Israele, come recita il Talmud, ogni vita umana e sacra, e salvarne una significa salvare l’umanità...».
C’è da dire che diversi ministri non hanno escluso la possibilità di aprire un negoziato con Hamas.
«Io giudico il governo non per le parole ma per i fatti. E un fatto è che mio figlio è ancora prigioniero. E non credo che Gilad verrà rilasciato senza che venga pagato un prezzo. Certo, ogni genitore è pronto ad ogni sacrificio pur di salvare la vita del proprio figlio. Ma il discorso riguarda Israele e il nostro modo di guardare a coloro con i quali dovremmo comunque imparare a convivere. Dobbiamo cedere qualcosa se vogliamo averne qualche altra in cambio. Il vero problema è che Hamas pretende la liberazione dei suoi uomini e non accetterà null’altro in cambio, né soldi né nessun altro beneficio».
Alcuni mesi fa, prendendo la parola dal palco della settima Conferenza internazionale sul terrorismo di Herzliya, lei ha affermato: «Siamo molto delusi e preoccupati per l’incapacità dello Stato d’Israele, che nonostante la sua tecnologia avanzata e i suoi gloriosi servizi segreti non è in grado di riportare a casa un soldato rapito sul suo territorio nel corso di un’azione terroristica...».
C’è chi ha parlato dello sfogo di un padre disperato.
«No, non è così. Il mio non è stato uno sfogo, ma una constatazione amara. Non dubito delle buone intenzioni di Olmert ma di fronte ad un evidente insuccesso, non solo noi, le famiglie dei rapiti, dovremmo preoccuparci, ma ogni soldato israeliano ed ogni famiglia che ha un figlio nell’esercito dovrebbe essere preoccupata».
La recente Conferenza di Annapolis ha rilanciato una speranza di pace in Medio Oriente. Questa speranza può riguardare anche la sorte di Gilad?
«Lo spero, in cuor mio lo spero con tutte le mie forze, e prego per questo. Si parla della liberazione di altri detenuti palestinesi, ma la vicenda di Gilad sembra non c’entrare, come se facesse parte di un’altra storia. Per noi ciò è inaccettabile. Non intendo permettere che ci si dimentichi del caso di Gilad, che tra gli alti e bassi dei negoziati, si finisca col non parlarne più. E lo stesso discorso vale per altri due soldati di Tsahal, Ehud Goldwasser ed Eldad Regev, ancora in mano degli Hezbollah».
Signor Shalit, in passato lei ha avuto parole di solidarietà verso la popolazione di Gaza.
«Vede, Hamas non solo ha preso Gilad come ostaggio, ma sta infliggendo pesanti sofferenze ai palestinesi. A Gaza, in seguito alla prova di forza del giugno scorso, è molto peggiorata per la popolazione civile. Donne e bambini non sono mai stati così poveri e le cose vanno sempre peggio. Gaza è bloccata, sottoposta a embargo, e parte gli aiuti umanitari non c’è possibilità di entrare ed uscire neanche per andare in Egitto. La disoccupazione è alle stelle e gli unici a lavorare sono quelli che lavorano per Hamas. Israele ha ucciso molte persone durante le incursioni.. Questa non è vita...E essenziale migliorare la situazione non solo per Gilad ma per gli stessi palestinesi».
Signor Shalit, in questo colloquio, il dramma della sua famiglia si è intrecciato con le inquietudini, le paure, le speranze di un Paese: Israele. In conclusione, vorrei tornare sul suo vissuto personale: come è cambiata la sua vita da quel 25 giugno 2006?
«Sono tornato al lavoro per non impazzire, ma la mia mento non è al cento per cento sul posto di lavoro. Penso sempre a Gilad, un ragazzo silenzioso, chiuso, con una vita davanti a sé. Aveva appeno finito il liceo, si era arruolato da pochi mesi e so che ha avuto difficoltà agli inizi, ma non si è mai lamentato, a noi non ha detto mai niente. Sono sicuro che anche se adesso sta soffrendo non si lamenta. Lui sa che la sua famiglia non lo abbandonerà mai».
C’è qualcosa di incoraggiante in questa tragedia?
«Il calore del popolo d’Israele. Un sostegno che non è mai venuto meno: è come se Gilad fosse stato “adottato” dall’intero Paese. Questa solidarietà ci è di grande conforto. Israele non ha dimenticato un suo ragazzo, un suo soldato».
 
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Pubblichiamo il racconto che segue, per ricordare Gilad Shalit, e con lui Ehud Goldwasser e Eldad Regev.

Nel cuore di un oceano pacifico nuotava un pesce gentile e piccolino.Ad un tratto il pesciolino vide uno squalo che voleva divorarlo. Iniziò a nuotare molto velocemente ma lo squalo fece altrettanto.Improvvisamente il pesciolino si fermò e disse “ Perché vuoi divorarmi? Invece potremmo giocare insieme!” Lo squalo ci pensò e ripensò,  poi disse “ OK, va bene, giochiamo a nascondino.”

Il pesciolino e il piccolo squalo giocarono tutto il giorno fino al calar del sole e alla sera lo squalo tornò a casa. Sua madre gli domandò :” Come è andata oggi mio caro squalo? Quanti animali hai mangiato?” e il piccolo squalo “ Oggi non ho mangiato nessun animale, però ho giocato con un animale chiamato pesce.”

“I pesci sono animali che noi mangiamo.”disse la mamma “Non devi giocare con loro”.

Anche a casa del pesce successe la stessa cosa. “ Come va pesciolino? Come sei stato oggi nel mare?” chiese la madre e il pesciolino raccontò“ Oggi ho giocato con un animale chiamato squalo” e la mamma disse “ Lo squalo è l’animale che ha divorato tuo padre e i tuoi fratelli, non giocarci mai più!” Il giorno dopo nel profondo del mare non c’erano né il pesciolino né il piccolo squalo e per giorni e per mesi non si incontrarono più.

Poi, un giorno, si incontrarono ma tutti e due immediatamente corsero indietro dalla loro madre e, di nuovo, per settimane e per mesi non si incontrarono più.

Passò un anno intero, un giorno lo squalo uscì per una bella nuotata e così fece il pesce. Per la terza volta si incontrarono e allora il piccolo squalo disse “ Tu sei il mio nemico, però forse potremmo fare la pace?” Il piccolo pesce rispose “ OK!”

Insieme, in segreto, giocarono per giorni, per settimane e per mesi, finché un giorno lo squalo e il pesce andarono dalla madre del pesce è parlarono insieme con lei, quindi fecero lo stesso con la madre dello squalo e da quel giorno lo squalo e il pesce vissero insieme in pace.  

 La favola “ Il pesce e lo squalo” è stata scritta dal soldato israeliano Gilad Shalit, a scuola, quando aveva 11 anni.

In Medio Oriente, da mesi, la tregua perdurava ininterrotta, quando, inaspettatamente, il 25 giugno 2006, Gilad è stato rapito durante un attaccò terroristico a  Kerem shalom ( Il giardino della pace). Aveva 19 anni. Da allora è ancora nelle mani di Hamas e la sua famiglia non ha più ricevuto notizie.

Ricordiamo anche Ehud Goldwasser e Eldad Regev i due soldati rapiti nel luglio 2006 da Hezbollah e il dolore delle loro sventurate famiglie.


lettere@unita.it

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