venerdi 29 marzo 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


Clicca qui






Rassegna Stampa
18.10.2007 Non è apartheid, ma autodifesa
l'ambasciatore israeliano in Italia, Gideon Meir, risponde a John Dugard

Testata:
Autore: Umberto De Giovannangeli
Titolo: ««Ma quale apartheid nei Territori Israele deve difendersi»»
Da L'UNITA' del 18 ottobre 2007, un'intervista di Umberto De Giovannangeli a Gideon Meir, ambasciatore d'Israele in Italia, che risponde all'intervista a John Dugard pubblicata ieri dal quotidiano (qui il testo e la nostra critica)


«CIÒ CHE CONTESTO nelle affermazioni del signor Dugard sono le sue tesi politiche precostituite, e una visione unilaterale dei diritti umani. Come se esistessero solo quelli dei palestinesi dimenticando che a migliaia di israeliani, donne, bambini, civili
inermi i terroristi hanno tolto il diritto più grande: quello alla vita». Così l’ambasciatore d’Israele Gideon Meir replica all’intervista all’Unità dell’inviato speciale dell’Onu per i diritti umani nei Territori John Dugard. «Hamas - afferma Meir - plaude alle parole di Dugard. Se avessi ricevuto io un consenso del genere non mi sentirei a mio agio».
«In Palestina vita più dura che con l’apartheid». Come ribatte alle affermazioni dell’inviato speciale dell’Onu?
«Ciò che contesto è il fatto che il signor Dugard abbia presentato un’agenda politica, andando ben oltre l’incarico da lui ricoperto. Avrei accettato che si fosse limitato a presentare dei fatti ma cosa c’entra con il suo incarico la richiesta di una uscita dell’Onu dal Quartetto per il Medio Oriente? E come è possibile che su 9 delibere prese nell’ultimo anno dal Consiglio per i diritti umani dell’Onu, 8 sono contro Israele? Come se non esistessero altri e più gravi problemi relativi ai diritti umani nel mondo, in Iran, in Darfour, in Birmania ... ma è Israele, l’unica democrazia nel Medio Oriente il problema del mondo... questo non è serio, questo è inaccettabile».
Cos’altro non la convince nelle considerazioni di Dugard?
«Lui parla esclusivamente dei diritti umani della parte palestinese ma anche gli ebrei, gli israeliani hanno dei diritti umani. E vi è un problema dei diritti umani, della loro salvaguardia fra i palestinesi. Ma il signor Dugard non sfiora neanche lontanamente il comportamento brutale di Hamas nei confronti degli uomini di Fatah: le esecuzioni a freddo, le persone lanciate dai piani alti dei palazzi, le donne e gli uomini torturati... Di tutto ciò Dugard non fa cenno . Se il relatore dell’Onu avesse dato una immagine più completa, più obiettiva della situazione, non avrei avuto alcun problema. E voglio farle un esempio di ciò che intendo per diritti umani nostri...».
Qual è la storia?
«Era uno dei periodi più terribili per Israele, con gli attentati suicidi che seminavano la morte tra donne, bambini, civili inermi...Ero in ufficio e ho sentito una esplosione fortissima... Un terrorista si era fatto esplodere tra i tavolini di un caffè, il “Moment Cafè”. La mia segretaria, che allora aveva 29 anni ed era , una sostenitrice della pace con i palestinesi, rimase uccisa in quell’attentato. La sua colpa era di essere seduta in quel caffè in quel momento. Questa ragazza è una delle migliaia di israeliani che sono stati uccisi dai terroristi palestinesi. Ma di loro non c’è traccia nel rapporto del signor Dugard».
Dugard fa riferimento a 520 check point e del «Muro» che spezza la Cisgiordania.
«Non nego affatto che la situazione dei palestinesi nei Territori sia una situazione difficile. La situazione della popolazione in Giudea e Samaria (la Cisgiordania, ndr.) e soprattutto nella Striscia di Gaza è una situazione non buona. Chi vuole venire a puntare il dito contro Israele ha lavoro facile, e fa un’operazione politica. È legittimo criticarci ma bisogna vedere cosa e chi ci ha portato a questa situazione. Nel 1993 fu firmato un accordo storico, l’Accordo di Oslo, eravamo in un processo di pace. Nel 2000 il primo ministro Ehud Barak a Camp David offrì ad Arafat il 97% dei Territori e prevedeva lo smantellamento di gran parte delle colonie. Ma la risposta fu l’Intifada dei kamikaze, un’ondata di attacchi terroristici che non ha eguali in nessun altro Paese al mondo. La Barriera è stata costruita in risposta a questi innumerevoli, devastanti, sanguinosi attacchi terroristici. I posti di blocco ci sono per evitare queste azioni terroristiche. Ed è un dato di fatto che la combinazione tra la Barriera, i posti di blocco e l’azione dell’esercito ha fortemente ridotto il numero di attentati. Ma il nostro interesse superiore è migliorare la situazione, soprattutto, economica nei Territori. Questo è nel nostro interesse, perché una condizione economica buona impedisce il terrorismo».
Dugard rileva che Israele ha realizzato buona parte della Barriera su territori occupati.
«Non c’è bisogno che il relatore per i diritti umani ci ricordi qual è la situazione della Barriera di sicurezza. C’è la Corte Suprema d’Israele a pensarci, e io sono molto orgoglioso di ciò, come israeliano e come democratico. Questa Corte tutela i diritti umani anche dei palestinesi che non sono cittadini di Israele ma che possono appellarsi alla Corte per ottenere giustizia. E in moltissimi casi la Corte Suprema ha stabilito che il governo dovesse modificare il tracciato della Barriera. Ma di questo il signor Dugard non fa cenno. La Corte cerca di trovare un equilibrio tra la sicurezza dei cittadini israeliani e i diritti umani dei palestinesi. Nei sessant’anni dello Stato d’Israele, nonostante le guerre di aggressione e le ondate di attentati a cui abbiamo dovuto far fronte, Israele è rimasta una democrazia e questo è un miracolo. Siamo uno dei Paesi dove c’è la maggiore libertà d’informazione. Il giorno in cui i palestinesi avranno un quotidiano come Haaretz o uno scrittore come David Grossman, allora saprò che siamo davvero sulla via della pace. La nostra è una democrazia solida, il che non significa che non si debba porre fine all’occupazione. Oggi questo è possibile perché abbiamo finalmente interlocutori, come il presidente Abu Mazen e il primo ministro Fayyad, con cui è possibile raggiungere una intesa. Ed è un impegno a cui non verremo meno».

Per inviare una e-mail alla redazione dell'Unità cliccare sul link sottostante

lettere@unita.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT