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Rassegna Stampa
01.08.2006 Le immagini della tragedia di Cana al Tg 3
i dubbi di Furio Colombo

Testata:
Autore: Furio Colmbo
Titolo: «Ibambini di Cana»

Da L'UNITA' del 1 agosto 2006:

La sera del 30 luglio, un triste giorno di lutto per la strage dei bambini di Cana, nel Sud del Libano, ad opera di un missile israeliano, il TG3, nel suo programma notturno «Primo piano» condotto da Giovanna Botteri, ha scelto la strada tremenda di mostrare i cadaveri dei bambini, piccoli corpi esibiti verso (contro) le telecamere, già irrigiditi dalla morte.
Penso sia stata una scelta dettata dallo stesso impulso di dolore sconvolto che ha attanagliato tutti.
Penso che lo abbiano fatto come in un rito di compensazione per il maledetto destino toccato a quelle piccole vittime innocenti. Penso che sia stata una testimonianza di estrema indignazione, che si sentiva anche nella voce tesa della conduttrice e dalla descrizione dei fatti. Non parlo dell’episodio, che è quello che è, morte di molti civili e di trentasette bambini, forse di più, una tragedia.
Parlo della scelta di mostrare un numero molto alto, uno dopo l’altro, di piccoli cadaveri. Sono stato, come tutti, impressionato da questo fatto. Ero in un bar e ho visto gente scoppiare a piangere. Impossibile non ricordare subito un’altra grande strage dei bambini, Belsan. In quell’altra maledetta occasione la scelta (non so di chi, se dei russi, delle Tv locali, degli inviati del mondo o delle centrali televisive che hanno scelto e regolato il flusso di quel lungo assedio che durava mentre i bambini venivano uccisi) è stato di non mostrare mai (se non poche volte, coperti) i corpi delle piccole vittime.
Abbiamo visto tutto il tempo i piccoli sopravvissuti, e intorno a quelle giovanissime facce stordite i cronisti ci hanno narrato ciò che i terroristi avevano compiuto o stavano compiendo. Ricordo l’immensa sorpresa per quel lungo evento di sangue e di assassinio di bambini, ricordo la tensione dell’attesa, e persino il sollievo di vedere tanti in salvo, anche se i morti erano centinaia.
Non ricordo un momento di contrapposizione così piena e frontale creata dai media fra ciò che era accaduto e il sentimento di rabbia, dunque di odio, che per forza si crea, come è avvenuto nella sera di «Primo piano».
Un simile incontro-scontro tra un fatto in sé insopportabile e i sentimenti di chi guarda, caccia dalla mente qualunque altro possibile modo di narrare l’evento. Non c’è più un nemico e una guerra. C’è un agente malefico, Israele, e c’è il male che la sua azione produce.
L’episodio è fissato nella nostra mente per anni a venire, e ad esso faranno riferimento, si può dire, per sempre tutti coloro che avranno una ragione di ripulsa da proporre per una sola delle parti in questa terribile causa.
Io, che non intendo affatto separarmi dal senso di costernazione, rifiuto e dolore di tutti, propongo ai colleghi del Tg 3 alcune ragioni per riflettere sulla scelta che hanno fatto (e che quel giorno, quella sera, avrebbe potuto portare alla aggressione fisica di qualcuno, se un israeliano fosse identificabile a vista).
Una ragione psicologica. C’è un limite oltre il quale la reazione della maggior parte degli esseri umani o diventa apatia (come modo di non reggere un peso insopportabile) o diventa un senso giustificato di odio e vendetta.
Una ragione mediatica. C’è un vuoto di notizie intorno a un fatto enorme che, in quel vuoto, diventa ancora più enorme. Faccio un esempio. Il Libano viene descritto come un «Paese filo occidentale, moderato, democratico e anti-siriano». Si salta il fatto che due ministri - fra cui il ministro degli Esteri di quel Paese - sono vicini a Hezbollah, che Hezbollah è stata pubblicamente ringraziata dal Presidente siriano perché «Sta difendendo il Paese», e che il precedente primo ministro del Libano, Rafik Hariri, è stato appena assassinato dai siriani sostenitori di Hezbollah.
Perciò l’evento, nel suo tragico orrore, appare privo di un prima e un dopo. Di Cana, salvo l’orrore dei bambini morti, non sappiamo niente.
Una ragione morale. Una volta che tutta la forza di indignazione psicologica, emotiva, politica, è scagliata contro una parte, indicata come la sola colpevole, come consumeremo la spinta fortissima che chiede che quell’unco qualcuno responsabile debba pagare?
È tragicamente evidente che tutto ciò allontana da ogni possibile progetto di tregua. Noi spettatori siamo lasciati faccia a faccia con un criminale di guerra. I criminali di guerra non hanno attenuanti, e comunque non ce ne sono state narrate. D’ora in poi penseremo che, qualunque cosa accada a Israele, «se la sono voluta».
Uso queste argomentazioni non per fare un processo, che non ho il diritto di fare, alle scelte dei colleghi del TG 3 che di solito ammiro e la cui tensione morale non posso non capire di fronte all’evento. Ma perché vorrei ricordare a me stesso e ai lettori che ci sono solo due vie d’uscita in questa terribile storia. Una è parteggiare a tutti i costi e soltanto con una delle parti, chiudendo gli occhi su tutto il resto.
Ora io non ho mai negato il mio legame profondo con Israele, ma - come tanti israeliani - non posso certo condonare (se ne avessi l’autorità o il potere) errori così gravi ed esiti così impossibili da accettare.
Però, anche buttandosi con tutte le forze dalla parte di Hezbollah e di Hamas, si può non vedere il problema grave del terrorismo e della azione distruttiva per conto terzi (Stati potenti e bene armati, fino all’atomica dell’Iran) che essi stanno - con bravura e con molte trappole - realizzando in un Medio Oriente di sangue che presto potrebbe essere il mondo?
L’altra via d’uscita è la pace. Non può non colpire come un fatto positivo che il ministro degli Esteri italiano sia restato sul posto nel momento peggiore e abbia continuato a provare.
È un buon simbolo, tanto più apprezzabile nella mancanza di iniziativa e di idee del mondo, nell’assenza fatale delle Nazioni Unite, nella impossibilità americana di essere di aiuto, come mediatore, non come sovrano, se non fosse inchiodato in Iraq.
Ci resta solo un buon simbolo? Speriamo di no. Per la vita di tutti gli altri bambini. In Israele, in Palestina, in Libano. Nel mondo.
furiocolombo@unita.it

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