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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Rassegna Stampa
01.02.2006 Una newsletter di disinformazione
dall'associazione Pax Christi

Testata:
Autore: Robert Fisk - Luisa Morgantini
Titolo: «Raccontare i fatti come non sono - Un piccolo grande commento»

Così presenta si presenta ai lettori la newslwetter dell'associazione Pax Christi di Venezia-Mestre Ecco il testo: 

Quando la menzogna
cede il passo all'evidenza;
Quando i diritti di chi non ha voce
soccombono alle urla arroganti del più forte;
Quando le mura domestiche
vengono squarciate dal Muro della vergogna;
... le labbra si aprano alla denuncia,
le voci scuotano animi e intenzioni,
le parole diventino incessanti ripetitori di speranza.

Carissima, carissimo
con forza, con trepidazione e anche con un po' di rabbia abbiamo pensato che non possiamo tacere. Di fronte alle continue mistificazioni che i media ci propongono 'aggiornandoci' sul conflitto israelo-palestinese, crediamo sia giusto e importante far circolare quelle voci libere, che pur ci sono, che ci raccontano gli eventi, i soprusi e le violazioni subite dal popolo palestinese, così come i fermenti di vita, le analisi, le riflessioni e le speranze che in qualsiasi modo, direttamente da testimonianze locali, più indirettamente da stampa e informazione libere, riusciremo a raggiungere e proporre. Per chi non solo conosce volti e storie di persone che vivono in Palestina ed Israele ma soprattutto va personalmente a condividerne i drammi quotidiani, è sempre più insopportabile leggere i titoli distorti e spesso falsi dei nostri media. La voglia di interloquire con chi non riesce ad avere accesso ad "un'altra informazione" ci ha spinto ad inviarti QUESTO PRIMO NUMERO di BoccheScucite. Ben consapevoli che anche le nostre caselle di posta stanno intasandosi troppo, TI MANDEREMO UNA MAIL COME QUESTA OGNI QUINDICI GIORNI. Speriamo così di offrirti un servizio essenziale e non invadente di contro-informazione.

Segue un articolo di un giornalista notoriamente "obiettivo" come Robert Fisk:

Mi resi conto per la prima volta delle enormi pressioni sui giornalisti americani in Medioriente quella volta che, anni fa, andai a salutare un collega del Boston Globe. Gli espressi il mio dispiacere per il fatto che egli stava lasciando una regione dalla quale era stato ovviamente felice di inviare i suoi articoli. Mi rispose che potevo tenermi il mio dispiacere per qualcun altro. Una delle gioie di partire era che da allora in poi non avrebbe più dovuto alterare la verità per accomodare i lettori più rumoreggianti del suo giornale. “Ero solito chiamare il partito del Likud israeliano 'di destra'”, disse. “Ma recentemente i miei direttori mi hanno ripetutamente detto che non dovevo usare più quell'espressione. Un sacco di nostri lettori hanno protestato.” E allora? Gli chiesi. “Semplicemente non diciamo più che il Likud è 'di destra'”. Perbacco. Capì subito che questi “lettori” erano considerati dal suo giornale come amici di Israele, ma sapevo anche che il Likud di Benjamin Netanyahu era un partito di destra come era sempre stato.

Il Likud è certo nello schieramento politico israeliano un partito "di destra". Scriverlo ogni volta che lo si nomina  è però un comportamento che induce qualche legittimo sospetto. Per esempio che con quella qualificazione si vogliano screditare presso un certo pubblico il partito e, almeno in parte, la stessa società israeliana, presentandola come avversa ai valori "di sinistra" e "progressisti ". Sono invece rari i giornalisti che, quando nominano, per esempio, il partito Hamas, aggiungono alcune sue essenziali qualificazioni: terrorista, antisemita, totalitario, ispirato a un programma politico genocida. Come mai?

Questa è solo la punta dell'iceberg semantico che si è abbattuto contro il giornalismo americano dal Medioriente. Insediamenti ebraici illegali per ebrei e per soli ebrei

Gli insediamenti sono per soli ebrei perché altrimenti i loro abitanti sarebbero in un costante pericolo di vita. Inoltre, a Gaza, un insediamento ebraico includeva una enclave araba 

su terre arabe

Stabilendo che le terre sono "arabe" Fisk prende una posizione politica. Ignorando per esempio che  Hebron è sempre stata una città ebraica finché gli ebrei non ne sono stati scacciati con un pogrom nel 1929

 sono chiaramente delle “colonie”, e così eravamo soliti chiamarli. Non riesco a rintracciare il momento del passato quando abbiamo cominciato a usare il termine “insediamenti”. Ma ricordo il momento, circa due anni fà, quando la parola “insediamenti” è stata sostituita da “quartieri ebraici” - o addirittura, in alcuni casi, “avamposti.” Allo stesso modo, 'territori palestinesi occupati' sono diventati in molti articoli per i media americani 'territori palestinesi disputati'

Dal punto di vista del diritto internazionale i territori in questione sono in effetti disputati e non occupati. I territori  "occupati" sono quelli sottratti a uno stato la cui sovranità su di essi era riconosciuta dalla comunità internazionale. Non era questo il caso di Egitto e Giordania , che amministravano militarmente, rispettivamente, Gaza e la Cisgiordania prima della guerra del 1967, nel corso della quale Israele (che si difendeva) se ne impadronì. Nè è possibile considerare i territori come "sottratti" a uno Stato palestinese che nella storia non è mai esistito. La correzione linguistica va dunque nel senso di una maggiore oggettività, non il contrario.Circostanza  tanto più apprezzabile tenendo conto che la "resistenza all'occupazione" viene invocata dai gruppi palestinesi come giustificazione delle più efferate azioni terroristiche. 

 - subito dopo, l'allora Segretario di Stato americano Colin Powell, nel 2001, diede istruzioni alle ambasciate americane in Medioriente di parlare della Cisgiordania come di territorio “disputato” piuttosto che “occupato.” E poi c'è il “muro”, l'ostruzione massiccia di cemento armato

il cui scopo, secondo le autorità israeliane, è di impedire agli attentatori suicidi palestinesi di uccidere degli israeliani innocenti. In ciò, sembra aver avuto qualche successo. Ma il tracciato del muro non segue la linea del confine israeliano del 1967 e si spinge profondamente in terre arabe. E spessissimo in questi giorni, i giornalisti lo chiamano “recinto” piuttosto che “muro”.

giustamente, dato che non è un muro

Oppure “barriera di sicurezza”, il termine che Israele preferisce che si usi.

 giustamente, dato che serve a salvare vite umane

 Per un tratto della sua lunghezza, ci viene detto, non è affatto un muro – così noi non possiamo chiamarlo “muro”, anche se il lungo serpente di cemento e acciaio che corre ad est di Gerusalemme è più alto del vecchio muro di Berlino. L'effetto semantico di questo offuscamento giornalistico è chiaro. Se la terra palestinese non è occupata ma semplicemente parte di una controversia legale che potrebbe essere risolta in una corte di giustizia o in amichevoli discussioni, allora un bambino palestinese che lancia una pietra ad un soldato israeliano nel suo territorio sta chiaramente agendo in modo insano. Se una colonia ebraica costruita illegalmente su terra araba è semplicemente un bel “quartiere” pacifico, allora ogni palestinese che lo attacca sta perpetrando un folle atto terrorista.

Fisk attua qui una chiara edulcorazione della realtà:  negli assalti agli insediamenti vengono uccisi civili, bambini compresi.Che si tratti di terrorismo  è chiaro oltre ogni ragionevole dubbio . I bambini palestinesi non si limitano a tirare pietre: vengono utilizzati come esche e scudi in veri e propri scontri a fuoco. E vengono spinti al suicidio da una propaganda diffusa nelle scuole, nelle moschee e nei media.

 E sicuramente non c'è ragione per protestare contro un “recinto” o una “barriera di sicurezza” - parole che fanno pensare al recinto di un giardino o al cancello all'entrata di un complesso abitativo privato. Che i palestinesi obiettino violentemente

"obiettino violentemente"? E poi Fisk accusa di manipolazione del linguaggio i "sostenitori di Israele"?  Un 'attentato suicida è un'  "obiezione"?

 a uno qualsiasi di questi fenomeni, è un fatto che li denota come un popolo genericamente malvagio. Col semplice uso del nostro linguaggio noi emettiamo la loro condanna. (…)

Un uso corretto del linguaggio non serve a qualificare i palestinesi come "popolo malvagio", ma certamente a togliere giustificazioni alla violenza e al terrorismo e a smascherare la doppiezza morale di chi contesta i mezzi con i quali Israele si difende dal terrorismo, ma tace su quest'ultimo.

Segnaliamo anche quello che viene presentato come "un piccolo grande commento" alle elezioni palestinesi:

"E' stato comunque uno straordinario esempio di maturità democratica fornito dalla popolazione palestinese. Sul piano interno è stato un voto di protesta contro gli errori dell'Anp e di Al fatah; sul piano esterno la responsabilità della vittoria di Hamas ricade sulla comunità internazionale che non ha saputo far rispettare il diritto internazionale e realizzare la costruzione di due Stati per due popoli"

LUISA MORGANTINI, osservatrice internazionale a Gaza

Impagabile: le elezioni che consegnano la maggioranza assoluta a una formazione terrorista che vuole distruggere Israele sono uno "straordinario esempio di maturità democratica". Tuttavia, questo popolo così straordinariamente maturo e democratico non è affatto responsabile delle sue scelte. La colpa è della comunità internazionale, che ancora non ha realizzato  "la costruzione di due Stati per due popoli". Che ogni leadership palestinese dagli anni 30 ad oggi abbia preferito alle molte occasioni di costruire uno stato palestinese il tentativo di distruggere Israele, divenendo il principale ostacolo a una soluzione del conflitto basata sulla spartizione, ovviamente la Morgantini non lo scrive.

Cliccare sul link sottostante epr scrivere alla redazione di Bocche Scucite


nandyno@libero.it

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