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L'Espresso Rassegna Stampa
20.10.2019 Alain Finkielkraut: diffidare delle domande e dei riassunti, il suo pensiero è nelle risposte
Lo intervista Anna Bonalume

Testata: L'Espresso
Data: 20 ottobre 2019
Pagina: 70
Autore: Anna Bonalume
Titolo: «Reazionario»
Riprendiamo dall'ESPRESSO di oggi, 20/10/2019, a pag.70, con il titolo "Reazionario" l'intervista di Anna Bonalume a Alain Finkielkraut


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Prima dell'intervista, pubblichiamo la 4a di copertina dell'edizione francese del nuovo libro di Finkielkraut (ed. Gallimard, Collection Blanche, non ancora tradotto in Italia), quale introduzione al testo dell'Espresso.
Raccomandiamo le risposte più delle domande, più che mai i riassunti del suo pensiero intervallati alle risposte, che riflettono in gran parte le opinioni della giornalista. Finkielkraut in Francia come in Italia viene catalogato 'fascista di destra, reazionario' quando è semplicemente un intellettuale indipendente da ogni ideologia, un atteggiamento intollerabile da una sinistra che non si è ancora liberata dai rottami del passato.

 “Reazionario, mi dicono. Mi è sembrato sia giunto il momento di fare un bilancio e di ripercorrere i miei passi senza scappatoie o indulgenza. Per me non si tratta assolutamente di contrapporre la conoscenza alla confessione e di difendere una verità puramente soggettiva. Non scelgo, alla resa dei conti, di ritirarmi nella fortezza inespugnabile dell'autobiografia. Gioco le mie carte sul tavolo, dico da dove parlo, per questo non dico: "A ciascuno la sua visione delle cose". La verità che cerco, ancora e sempre, è la verità del reale: la sua delucidazione rimane per me, prioritaria. Tuttavia, come ha scritto Kierkegaard: "Pensare è una cosa, esistere in ciò che pensiamo è un’altra cosa". È questa "altra cosa" che ho voluto mettere in chiaro scrivendo, una volta tanto, in prima persona.”
(traduzione di Yehudit Weisz)

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Anna Bonalume

Ecco l'intervista:.

Scriverà che sono fascista? Scriverà che ha trovato un discepolo di Matteo Salvini in Francia?». Mi congeda così, scherzando,Alain Finkielkaut, uno degli intellettuali europei più noti e controversi. Accusato di essere razzista per le sue posizioni sull'Islam, sui neri nella Nazionale francese, o anti-progresso per le sue posizioni sul calcio femminile e altri temi sociali, ha appena pubblicato "A la première personne" (Gallimard), in prima persona, un libro attraverso il quale vuole liberarsi dell'immagine di reazionario che molti gli attribuiscono. Da più di 30 anni conduttore radiofonico su France Culture, autore di diversi saggi, lo scrittore ripercorre le figure chiave della sua vita e del suo percorso intellettuale. Si scoprono i dettagli del suo periodo sessantottino, l'interesse per la questione ebraica, il suo amore per Kundera, Péguy, Heidegger, Levinas, e più in generale per la lingua, ma anche l'incontro decisivo con Michel Foucault. Emerge l'immagine di un uomo nostalgico, preoccupato, tra le altre cose, dalla crescita dell'islamismo e dalla minaccia dell'identità francese. Scettico rispetto all'intraprendenza dei giovani, sospettoso riguardo alla globalizzazione, si lascia andare a una confessione: Finkielkraut racconta di aver goduto della dolce euforia dell'acido, dell'LSD, nelle serate con gli amici. «L'ho fatto, e mi è piaciuto molto. Con l'acido ridevamo, ci sentivamo tutti uguali, avevamo delle piacevoli allucinazioni. Ma non ho mai ceduto al romanticismo della tossicomania. Voi giornalisti lo ricordate sempre, forse per rendermi meno polveroso». Con il nuovo libro "In prima persona" dice di volersi liberare dall'etichetta di "reazionario" che le è spesso attribuita. Che cosa significa essere reazionari? E perché questo termine le dà così fastidio?
«Questo termine mi disturba perché non mira a qualificare, ma a squalificare ciò che indica. È un termine offensivo, utilizzato per rimandare a una serie di pensieri devianti. Oggi trattare qualcuno da reazionario significa pretendere che la storia segua il progresso e che il mondo si divida in due: i vivi di diritto e i sopravvissuti di un ordine passato. Purtroppo alcuni vedono la democrazia come un movimento verso sempre più uguaglianza e libertà. Per loro la democrazia non rappresenta il regime della deliberazione, il luogo della comune produzione di significato, mala marcia trionfante della storia. Allora la democrazia diventa un dogma che rifiuta qualsiasi obiezione definendola eretica. Un paradosso! Quelli come me vengono identificati come reazionari e inseriti nelle liste nere della "democrazia in marcia". Ma le liste nere venivano utilizzate quando dominava l'ideologia comunista. Oggi un'ideologia pseudo-democratica è riuscita ad imporsi e ha ripreso dal comunismo questa detestabile abitudine».
Negli anni '70 ha partecipato ai movimenti di protesta della sinistra contestataria e condiviso le idee di Mao Zedong. Come valuta oggi questo periodo della sua vita?
«Vede, ero a favore di Mao perché all'epoca bisognava essere qualcosa. Mi sono imbattuto in questa scelta per motivi che oggi mi sono oscuri, avrei potuto benissimo aderire al trotskismo. Si, nel '68 con mio grande stupore sono diventato di sinistra... questi eventi prendono alla sprovvista i loro stessi protagonisti. Mi ricordo che in quel periodo ero in campagna, stavo preparando un concorso e ho sentito che cerano delle manifestazioni a Parigi. Mi sono precipitato in città e mi sono buttato nella mischia. Ho imparato subito a parlare quel gergo con un velocità straordinaria, il linguaggio rivoluzionario. C'erano slogan come "F vietato vietare", "Godere senza ostacoli", nel '68 c'era un aspetto edonistico, lo ricordo senza nostalgia né disgusto». Che cosa pensa oggi del '68?
«Sono diventato consapevole che la gioventù, e Pasolini l'ha detto prima di me, è l'età più conformista, quella in cui siamo più influenzati dall'ambiente in cui ci troviamo. All'epoca avevamo rotto col passato, ma era meglio prestare fedeltà al discorso dominante nella nostra generazione. Ho imparato a pensare in autonomia solo dopo il '68 e ho le mie riserve sul ruolo che gli adolescenti possono svolgere in politica»
Perché?
«Ladolescenza è un periodo di conformismo e di estasi manichea. Aveva ragione Primo Levi quando diceva che i giovani ignorano l'ambiguità e la complessità, perché la loro esperienza del mondo è povera»
E quindi cosa pensa di Greta lhunberg e del movimento giovanile intorno a lei?
«Penso che Greta Thunberg sia la povera vittima prima di tutto dei suoi genitori, ma anche del sistema mediatico e della stupidità degli adulti. Come è possibile che degli adulti affidino il destino della terra a una bambina? È uno spettacolo spaventoso. Noto anche che su questa questione Matteo Salvini dà la mano a Barack Obama, concordano nel celebrare la povera Greta Thunberg. Bambini e adolescenti non hanno accesso alla complessità del mondo. Ci sono nazioni, Stati, più o meno inquinanti, e questa gioventù eccitata tende a incolpare i meno inquinanti, perché non ha potere sugli altri. Per far fronte al riscaldamento globale, dobbiamo smettere definitivamente con l'energia nucleare o dobbiamo scommettere sulle energie non inquinanti? A questa domanda Greta 'lhunberg non risponde»
.Arthur Rimbaud ha scritto i suoi più noti poemi trai 15 anni e i 20 anni: era un ragazzino conformista?
«Daccordo. Rimbaud viene citato per lodare e difendere Greta Thunberg. Tutti si dimenticano che Rimbaud ha ottenuto il primo premio di versificazione latina...prima di essere un brillante poeta, è stato uno studente brillante, si è nutrito di cultura umanistica. E comunque è una superba eccezione». Perché lo scrittore Milan Kundera è così importante per lei?
«Kundera ha dato uri eccellente definizione di quel che significa "essere moderni": avanzare con nuove scoperte sulla strada ereditata. Kundera ha cambiato la mia visione politica del mondo. Nel suo articolo "Un Occidente sequestrato" parla di un conflitto di civiltà. L'Europa centrale fa parte della civiltà europea ed è stata sequestrata dalla Russia sovietica. All'improvviso l'Europa mi è apparsa come una civiltà gioiosa, e non più come una costruzione bisognosa. In quell'articolo ho scoperto la parola identità... che non mi è stata suggerita dal presidente Sarkozy! Per Kundera l'identità europea e l'identità nazionale sono fragili e in pericolo. I Io cercato di trarre tutte le conseguenze da questo pensiero». Ci sono autori italiani che l'hanno influenzata?
«Federico Fellini. I lo avuto la possibilità di incontrarlo per un'intervista, è stato meraviglioso. Era all'altezza del suo genio anche durante il pranzo, aveva un'intelligenza, una dolcezza straordinarie. Tra gli scrittori Primo Levi. Ho scoperto di recente Pasolini per la mia trasmissione alla radio. Riprendendo gli scritti corsari, ho scoperto l'estrema originalità e lucidità del suo pensiero».
Lei ha scritto: «Mi auguro che la politica, vale a dire, secondo la definizione di Hannah Arendt, l'amor mundi, si riprenda i propri diritti». La politica ha perso il suo significato, la sua funzione?
«Sì, perché si è messa al servizio dell'economia. Il che è comprensibile, come ha scritto Tocqueville nelle democrazie la passione per il benessere diventa la passione esclusiva, ma noi non siamo solo consumatori, siamo  abitanti. La politica nel suo senso più nobile significa rendere questo mondo un luogo umano. Spero che la politica si liberi dall'ossessione economica e torni a servire la civiltà»
. Nel suo ultimo libro oppone i "planetari" ai difensori delle radici, l'open society all'identità. Per definire la nuova umanità planetaria cita il filosofo Pierre Lévy: «Non ci riconosciamo più in una professione, in una nazione o in un'identità». Vivere in una società aperta impedisce ai cittadini di formarsi un'identità?
«No, non necessariamente. C'è una divisione crescente tra cid che il sociologo inglese David Goodhart chiama "i somewhere , le persone di "qualche parte", e "gli anywhere", le persone di "dappertutto". I secondi sono i privilegiati che vantano una superiorità morale rispetto agli altri. Dicono: siamo migliori, perché vediamo lontano, siamo cosmopoliti. Sono senza terra e pensano di essere cosmopoliti, sono radicati nella tecnologia e pensano di essere sradicati. Contesto questa superiorità morale». Nel "Nuovo disordine amoroso", scritto con Pascal Bruckner, segna una distanza rispetto alla rivoluzione sessuale e all'invito a godere senza ostacoli. Applicazioni come Tinder consentono di accedere a un ampio catalogo di potenziali partner sessuali in pochi clic. C'è una relazione tra Tinder e la rivoluzione sessuale del '68?
«Nel '68 ci siamo sbarazzati degli ultimi resti della moralità puritana. Questo non ha favorito la rivoluzione sessuale, ma il consumo sessuale. Osservo che le applicazioni Meetic o Tmder tendono a sostituire l'Incontro. Per fortuna, non appartengo a questa generazione, sono felice di aver fatto veri incontri, di non aver conosciuto l'era del commercio erotico o del commercio dell'amore. Oggi le neofemministe criticano la dominazione maschile, sono guidate dall'idea di una perfetta uguaglianza nei rapporti; alcune criticano persino l'atto della penetrazione perché testimonierebbe la brutalità del potere degli uomini. Questo interrogatorio sulla sessualità maschile è ridicolo e non rende la vita facile ai giovani». La questione migratoria è sempre più decisiva. Cosa pensa del modo in cui il fenomeno è gestito dall'Europa?
«La questione è centrale in Europa, il cambiamento demografico è un evento enorme e non sappiamo come l'Unione risolverà questo problema. I benpensanti francesi dicono che la Francia è un paese ricco della sua diversità. È assurdo, è ricco dei suoi territori perduti, della sua frammentazione in comunità sempre più ostili, ricco di salafismo, sempre più presente nelle periferie. In un libro di confidenze fatte a due giornalisti di Le Monde il presidente Hollande ha detto che la Francia potrebbe dirigersi verso la divisione. Parliamo costantemente di vivere insieme, ma questo termine grottesco nasconde la frammentazione, la frattura. Quando oggi affermiamo questo, non solo siamo accusati di essere reazionari, ma anche di fare il gioco dell'estrema destra». In molti notano come in Italia stia avanzando un nuovo fascismo. E d'accordo?
«Quello che vedo è che in tutta Europa siamo trattati come fascisti per un sì o per un no. L'Europa traumatizzata da Hitler crede di aver imparato la lezione aprendo le porte ai migranti. Ma oggi in Francia, in Svezia l'antisemitismo è un prodotto di importazione. Lantisemitismo nativo è residuo e non è questo che caccia un certo numero di ebrei da certe periferie francesi. Come ha detto il giornalista Jacques Julliard, «la Francia oggi è un paese repellente per gli ebrei e attraente per i musulmani». Sono scettico rispetto al termine "fascista", perché riflette una mancanza di conoscenza dei tempi attuali. Resta il fatto che in Italia, mi dicono, l'antisemitismo stia rinascendo nella sua forma nazionalista di estrema destra. Se è vero significa che la situazione francese è diversa da quella italiana. In Francia l'antisemitismo è arabo-musulmano e della sinistra pro-Islam».
La Commissione Ue ha introdotto un posto di vicepresidente per la protezione dello "stile di vita europeo". Che ne pensa?
«È straordinario. L'Europa pensava a se stessa come pura costruzione, insieme di norme e procedure. Oggi ci rendiamo conto che We è qualcos'altro e che non è né l'America né 'Arabia Saudita, e ce ne rendiamo conto come effetto dell'immigrazione di massa. I Europa sta riprendendo contatto con se stessa, e questo provoca la riprovazione della sinistra morale, che ha due argomenti: primo, non esiste uno stile di vita europeo; secondo, lo stile di vita europeo non ha bisogno di protezione. E invece no: io dico che esiste uno stile di vita europeo, ovvero una certa relazione tra i sessi, e che sì, merita di essere difeso e protetto perché è sempre più minacciato dall'interno. Non volendo fare discriminazioni né esclusioni arriviamo a dire che l'Europa non è altro che ospitalità. E questo è puro nichilismo».

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