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L'Espresso Rassegna Stampa
08.04.2018 Gigi Riva, la penna intrisa di odio verso Israele
Liscia il pelo persino ad Hamas

Testata: L'Espresso
Data: 08 aprile 2018
Pagina: 13
Autore: Gigi Riva
Titolo: «La rivolta di Hamas, una mossa disperata»

Riprendiamo dall' ESPRESSO di oggi, 08/04/2018, a pag.13 con il titolo "La rivolta di Hamas, una mossa disperata " il commento di Gigi Riva

E' di Gigi Riva la penna intrisa di odio verso Israele all'Espresso, è lui che ignora le responsabilità arabe-palestiniste, evitando di scrivere la verità storica. Riesce persino a difendere l'indifendibile, il movimento terrorista Hamas, dichiarato tale dall'Onu e dalla UE, il cui statuto prevede la distruzione di Israele. Non riuscendoci con le armi - pur provandoci ancora -  usa la propaganda mediatica, con la certezza di avere accanto gran parte dei media mondiali. Gli ebrei vanno benissimo, devono però essere morti, quelli vivi -soprattutto in Israele - devono sparire. A questo obiettivo mirano le 'marce del ritorno', basta raccontarle come fa Riva le suo articolo.

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Gigi Riva

Qualche blanda nota dl protesta, la richiesta di una commissione d'inchiesta indipendente sotto egida Onu prontamente respinta da Israele. Niente altro. Se si voleva una conferma di quanto sia ormai marginale la questione palestinese e come sia scivolata in basso nell'agenda internazionale, non c'è cartina di tornasole più esatta delle reazioni agli scontri sul confine di Gaza che minacciano di proseguire fino a metà maggio. La meccanica ripropone uno schema antico e tuttavia mai spezzato nel suo circuito perverso. I palestinesi, sfruttando un calendario ricco di anniversari, promuovono l'annuale "marcia del ritorno" per rivendicare il diritto alla terra e la legano al settantesimo di fondazione di Israele (per loro: la catastrofe). Nella Striscia, Hamas infiltra i propri attivisti tra i manifestanti che si spingono fino a ridosso della barriera di divisione. L'esercito dello Stato ebraico senza andare troppo per il sottile e in nome dell'ossessione securitaria, spara nel mucchio: morti e feriti. In più, rispetto al passato, sa di avere completamente dalla propria parte l'amministrazione Trump, fresca di annuncio dello spostamento della propria ambasciata a Gerusalemme, di fatto riconoscendo la città contesa come capitale di Israele. Sa, anche, di poter giocare sulla distrazione di potenze che hanno occhi più interessati alla Siria, alla Corea del Nord, alla guerra dei dazi. E sulle divisioni tra i Paesi arabi in lotta per l'egemonia nel loro campo. Così il governo di Bibi Netanyahu giudica che non pagherà conseguenze: calcolo esatto. Al contrario, si rivela sbagliato il calcolo di Hamas. Da dodici anni la formazione terrorista è egemone a Gaza dopo aver vinto elezioni poi mai più ripetute. Ma in tutto questo tempo sono solo peggiorate le condizioni di vita dei palestinesi che abitano la Striscia (un milione e mezzo). Tre guerre perse (2009, 2012, 2014) con migliaia di vittime, economia a rotoli, povertà, beni fondamentali a intermittenza (acqua, luce, gas). E l'area è sempre più una prigione a cielo aperto, sigillata su ogni lato dei confini, compreso quello con l'Egitto del generale al Sisi, vincitore la settimana scorsa delle elezioni presidenziali con percentuale (97 per cento) da far impallidire quelle proverbialmente bulgare, e molto diffidente verso Hamas a causa dei problemi in casa coi Fratelli musulmani. Hamas ha cercato di ricompattare le file e di alzare il morale depresso dei militanti andando a sfidare il nemico storico e sperando di staccare il dividendo solitamente riconosciuto alle vittime. Una mossa dettata dalla disperazione che ha lasciato il movimento con un pugno di sabbia in mano.

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