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L'Espresso Rassegna Stampa
26.02.2017 Adesso anche sull'Espresso Bernardo Valli attacca Israele
Cercando di delegittimare Gerusalemme

Testata: L'Espresso
Data: 26 febbraio 2017
Pagina: 146
Autore: Bernardo Valli
Titolo: «Se Gerusalemme non piace ai sionisti»

Riprendiamo dall' ESPRESSO di oggi, 26/02/2017, a pag.146, con il titolo "Se Gerusalemme non piace ai sionisti " l'articolo di Bernardo Valli, che - a quanto è dato interpretare- sostituisce Eugenio Scalfari nel commento dell'ultima pagina.

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Valli inizia senza sorprese, un pezzo che vorrebbe apparire distaccato degli abituali attacchi a Israele che maleodorano i suoi articoli su Repubblica, ma che in realtà ne continuano la linea.  Qui elogia chi se ne va da Israele (Amos Elon), cerca di far passare Ben Gurion per quello che non era, senza per altro riuscirci, il pensiero del Grance Vecchio è troppo conosciuto per contraffarlo, plaude a Eli Barnavi e lì gioca in casa, l'ex ambasciatore a Parigi invece di fare il diplomatico avrebbe dovuto fare il politico, cosa che preferì evitare. E alla fine una stoccata a Trump non poteva mancare.
Se continuerà a firmare l'ultima pagina, aspettiamoci altri 'ricordi' maleodoranti firmati Bernardo Valli.

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Bernardo Valli

II sorriso appena accennato non era un segnale di dolcezza. Il carattere forte, inflessibile, non tardava ad affiorare. La cortesia elegante era a tratti ispida. Non era formale. Pareva adeguata ai meriti che ti aggiudicava. E gliene eri grato. Amos Elon incarnava la dignità. Era nato a Vienna, era emigrato a sette anni, nel 1933, in quello che sarebbe diventato Israele, e alla cui creazione avrebbe poi contribuito come combattente e come intellettuale. Di cultura tedesca, scriveva articoli e libri (su Herzl, capostipite del sionismo, sui Rothschild, sugli ebrei in Germania, su Gerusalemme, sui fondatori e i figli di Israele) in ebraico o in inglese. La sua ultima patria adottiva è stata la Toscana, dove è andato a morire. Amava il paesaggio di quella provincia italiana. Gli faceva dimenticare le amarezze della patria vera che restava Israele, nonostante il dissenso del liberale progressista nei confronti della politica che vi prevaleva. In particolare quella adottata nei territori occupati. La vendita della casa di Gerusalemme aveva accentuato il distacco dai luoghi cui aveva riservato giudizi appassionati e severi nel bellissimo libro che gli aveva dedicato ("Gerusalemme, città degli specchi", Rizzoli, 1990). Entro nella vecchia Gerusalemme attraverso la Porta di Giaffa e ricordo che Amos Elon la definiva meravigliosa e funerea; luogo dove si predica la pace e si scatena la violenza. E ancora: superba e umiliata e talvolta persino abietta, dispensatrice di serenità e di fanatismo, santificata e dissacrata. Per Amos Elon una visita a Gerusalemme, di cui sentiva il fascino, era un'incursione tra le religioni e le superstizioni, tra monumenti e amuleti, tra ricordi di massacri e incantesimi. Le sue parole mi accompagnano nella traversata della città vecchia fino al Muro del Pianto e al Santo Sepolcro. Amos Elon era un laico, ma sapeva che per gli ebrei la distinzione tra il religioso e il profano non esiste per Gerusalemme. L'attaccamento alla città è un sentimento totale in cui contano la religione, la storia, la politica. Lo stesso Elon ricorda per?) che i primi sionisti erano anticlericali e spesso areligiosi, come gli altri nazionalisti della scuola liberale europea dell'Ottocento. E Gerusalemme era un simbolo da respingere. Era la superstizione. Quando nel 1906 mise piede in Palestina, David Ben Gurion si guardò bene dal precipitarsi a Gerusalemme. Il più celebre dei fondatori di Israele diffidava della città troppo santa. Nei decenni la religiosità ha impregnato il sionismo laico. Quando un laico come lo storico Elia Barnavi dice che «se si toglie Gerusalemme si estirpa il cuore dalla storia del popolo ebraico», non si riferisce tuttavia unicamente alla storia religiosa. Alla domanda perché, lui che non era religioso, si riferisse spesso alla Bibbia, Ben Gurion rispondeva che la Bibbia era la storia del popolo ebraico. Tra le avventate promesse fatte da Donald Trump quando era candidato alla Casa Bianca c'era anche quella di trasferire l' ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme. Trasloco che sarebbe equivalso a un riconoscimento di Gerusalemme unificata come capitale di Israele. Il Parlamento israeliano l'ha già annessa nella sua totalità e l'ha dichiarata solennemente capitale dello Stato ebraico. Ma non è così per la maggioranza degli Stati, quello americano compreso, che continua a tenere la rappresentanza diplomatica a Tel Aviv. Una volta insediato alla Casa Bianca Trump ha fatto marcia indietro. Ha detto che rifletterà sulla faccenda. Forse gli è stato spiegato che mantenendo la promessa elettorale avrebbe corso il pericolo di vedere le ambasciate americane in fiamme nei paesi musulmani. Dicendo che è il cuore della storia del popolo ebraico, Elia Barnavi dà la precedenza ai suoi, agli ebrei, nella scala dei diritti su Gerusalemme, senza negare quelli dei musulmani e dei cristiani. Per i musulmani Maometto s' è involato su un cavallo da Al-Qods, La Santa in arabo, cioè da Gerusalemme. Al-Qods viene per?) dopo La Mecca e Medina per l'Islam. Per i cristiani più dei luoghi conta la figura di Cristo. Queste semplificazioni possono sollevare mille contestazioni, anche sul piano storico-politico. Possono suscitare risentimenti. Accendere passioni. Amos Elon avvertiva che l'approccio a Gerusalemme non è semplice. E difficile mantenere un distacco razionale. Ci ho provato.

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