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L'Espresso Rassegna Stampa
01.08.2014 Israele: la sinistra che sa che Hamas deve essere sconfitta
Interviste di Wlodek Goldkorn ad Amos Oz e Isaac Herzog

Testata: L'Espresso
Data: 01 agosto 2014
Pagina: 24
Autore: Wlodek Goldkorn
Titolo: «Nemici inseparabili - Al posto di Netanyahu»

Riprendiamo dall'ESPRESSO datato 07/08/2014, da pag. 24,  l'intervista di Wlodek Goldkorn ad Amos Oz, e da pag. 29 l'intervista di Goldkorn a Isaac Herzog, leader del partito laburista israeliano.

Di seguito, gli articoli:


Terroristi di Hamas


L'ESPRESSO - Wlodek Goldkorn:  "Nemici inseparabili - "


Wlodek Goldkorn   Amos Oz

Amos Oz pone una condizione per parlare della guerra in corso tra In Stato d'Israele e Hamas, «un procedimento non convenzionale, ma i tempi sono fuori dal comune», si giustifica. «Voglio essere io a porre le prime due domande e darne le risposte», dice con una voce alterata che tradisce l'emozione di questo signore 75enne, di solito tranquillo, estremamente razionale, da decenni in prima fila nelle battaglie per la pace e per un compromesso coi palestinesi e scrittore tra i più seguiti e famosi del mondo. « Ebbene, la prima domanda è la seguente: lei cosa fa quando il suo dirimpettaio si mette seduto sul terrazzo con il proprio figlio sulle ginocchia, tira fuori la mitragliatrice e comincia a sparare verso la cameretta dei suoi figli?». Prosegue: «La seconda domanda e, invece, che cosa fa quando il suo vicino di casa scava un tunnel che dalla cameretta dei propri bambini porta alla cameretta dei suoi per ammazzare o sequestrare la sua famiglia?». E qual è la risposta, signor Oz? «Lei in quei casi chiama la polizia. Ma qui non c'è polizia. Purtroppo la polizia internazionale non esiste». Oz, reduce da alcuni interventi chirurgici all'ospedale («Niente di grave»), è appena tomato a casa a Tel Aviv (comoda, per niente lussuosa, l'abitazione che potrebbe avere un ingegnere o un medico dopo una trentina di anni di lavoro), dove si è trasferito dal deserto del Negev per stare vicino ai suoi nipoti. La famiglia e anche le relazioni tra vicini di casa sono sempre stati al centro del suo universo narrativo e di vita. Non è quindi un caso se per parlare di quello che succede oggi in Terra Santa ricorre a una metafora che richiama la famiglia e il vicinato, appunto. E del resto lui stesso non si stanca di ripetere quanto israeliani e palestinesi si assomiglino,quanto il conflitto sia una tragedia perché ambedue le parti hanno ragione, e quanto per continuare a vivere senza ammazzarsi reciprocamente occorra un «divorzio consensuale», per coabitare «da separati in casa, con una divisione degli spazi negoziata e accettata, e la speranza di tornare, un giorno, ad avere rapporti civili». Ma ora di civile c'è poco. (C'è sangue e morte. Soprattutto c'è l'impressione che il governo di destra, guidato da Benjamin Netanyahu, stia usando mezzi sproporzionati oltre mille i morti, quartieri interi rasi al suolo) in risposta alla sfida lanciata da Hamas (centinaia di razzi sparati contro le città dello Stato ebraico, tentativi di penetrarenel territorio israeliano per ammazzare civili e soldati). Per dirla esplicitamente, la sensazione è la seguente: Netanyahu si comporta come se l'orizzonte temporale dello Stato ebraico fosse di pochi anni,come se il premier non credesse che Israele sia una realtà consolidata e legittima, e come se invece volesse guadagnare qualche annodi vita ancora, senza pensare a come vivranno i nipoti e i pronipoti tra 30 o 70 anni, dato che la bolla di odio cresce di bombardamento in bombardamento. Oz reagisce duramente: «Non bisogna dimenticare l'articolo quarto della Carta programmatica di Hamas: vi si dice che dovere dei musulmani è uccidere gli ebrei ovunque nel mondo, indipendentemente dalla questione palestinese». Aggiunge: «Nello stesso documento si citano i "Protocolli dei savi anziani del Sion" (libello antisemita dei primi del Novecento, ndr) e si asserisce che gli ebrei govemano ii mondo nel campo dell'economia, delle organizzazioni internazionali, e che sono stati gli ebrei ad aver provocato la  prima e la seconda guerra mondiale» .Tace per un minuto, la voce si fa serena, sorride infine e dice: «Ora possiamo parlare di politica e di Netanyahu». E allora ricominciamo dalla polizia internazionale: è mancata nell'ex Jugoslavia e in Ruanda, manca in Siria e in Libia. E visto che non c'è, cosa si fa tra Israele e Hamas? «Provi a chiedere cosa voglia fare a una persona che sta cadendo dal tetto, mentre si trova all'altezza dell'ottavo piano». E dunque? «Finirà per esaurimento, di una o di ambedue le parti». Niente speranza? «Affatto», Oz si infervora: «Una via d'uscita, benché oggi ipotetica, c'è. Non era necessario arrivare a questa situazione. Bisognava parlare con l'Autorità Nazionale Palestinese. Riaprire il dialogo con Abu Mazen. Lo si può fare ancora. E sempre possibile proporgli un accordo di pace. l contenuti? Sono noti da anni, da decenni. Fine dell'occupazione, due Stati, Israele e Palestina, con Gerusalemme capitale di ambedue». Prosegue: «Se uno Stato palestinese prospero e pacifico fosse esistito in Cisgiordania, gli abitanti di Gaza vedendo come vivono i loro fratelli a Hebron e Nablus, avrebbe fatto fare ai capi di Hamas la stessa fine che i romeni hanno fatto fare a Ceausescu». E allora parliamo di Netanyahu. Il premier ha condotto tutta la sua carriera politica facendo leva sulla paura degli israeliani, mai sulla speranza. Oz di nuovo alza la voce: «Lui e la destra sono un fenomeno anacronistico. Non appartengono al 21 esimo secolo, e neanche al Novecento. Sono uomini e donne dell'Ottocento. La loro idea della nazione e del patriottismo, e perfino l'isterismo, fanno parte di quel periodo». Fa una pausa e dice: «Ho l'impressione che Netanyahu sia caduto nella trappola di Hamas. Hamas ha un filosofia semplice: è bene ammazzare gli israeliani, ma è meglio ancora se è Israele ad ammazzare la gente a Gaza. Hamas vince in ambedue i casi, sia se ammazza gli israeliani sia se gli israeliani ammazzano i civili. Ripeto», prosegue,«ci troviamo in questa terribile situazione perché il premier non ha voluto firmare l'accordo di pace con Abu Mazen». E così si arriva al nodo dei coloni. Sono circa 300 mila, risiedono nei territori occupati. Armati si oppongono a ogni idea di uno Stato palestinese o di compromesso territoriale. In quell'ambiente è cresciuto l'assassino di Yitzhak Rabin, il generale diventato primo ministro e che firmò nel 1993 il primo accordo di riconoscimento tra lo Stato ebraico e l'Organizzazione per la liberazione della Palestina di Yasser Ara-fat. Netanyahu è ostaggio dei coloni? « Certo »,e la risposta. «Ma lui non la pensa diversamente da loro. Essendo un uomo dell'Ottocento, è convinto che più grande è il territorio e più forte è il Paese. E pensa pure che bisogna tenere i luoghi sacri. Anche quello è un anacronismo. Però, vorrei aggiungere: Hamas è ancora più anacronistico, loro hanno il Iinguaggio del sesto secolo». Oz continua la sua riflessione: «Siamo alla follia. Lo scopo dei sionismo non era conquistare città bibliche, tombe dei profeti, ma dare invece agli ebrei un Paese in cui vivere da uomini e donne liberi e responsabili della propria sorte e del proprio avvenire». Scandisce la parole come se facesse un comizio: «Io come milioni di altri israeliani sono pronto a combattere per la mia libertà e per la mia vita, non sono invece disposto a lottare, ammazzare e morire per i luoghi sacri». E del resto un anno fa Oz, assieme alla figlia Fania, ha pubblicato un libro, "Gli ebrei e le parole" (Feltrinelli), in cui spiegava come l'identità ebraica stesse nei testi, nei cibi, nelle feste e nella trasmissione di certe parole tra le generazioni in famiglia,e non nella sacralità dei luoghi. Poi torna alla questione dell'assassinio di Rabin nel 1995, punto di non ritorno per la società israeliana: «Sappiamo tutti che Rabin fu condannato a morte dagli ambienti dei coloni, sappiamo chi sorto i rahbini che che hanno emesso sentenze (di stampo religioso, ndr) che lo definivano come "traditore". E del resto fanatici e neonazisti ci sono dappertutto. Israele, da questo punto di vista, non è diverso». I fascisti, gli squadristi si vedono oggi, mentre attaccano gli arabi per strada, o tentanto di assaltare le manifestazioni di chi non è d'accordo con la guerra di Gaza. Ma quella israeliana è una società democratica. Finita la guerra, cosa succederà? «E presto per rispondere», dice Oz. «Ma vediamo i numeri. Alle ultime elezioni, un anno e mezzo fa, i I blocco di Likud, dei coloni e dei religiosi ha ottenuto 61 seggi alla Knesset. I partiti di centro e della sinistra, sommati, hanno conquistato 59 mandati. Ogni scenano è aperto, la società divisa in due è in movimento». In altre parole: Netanyahu, stando ai sondaggi, gode di un grande consenso. Ed è difficile stupirsi (dice Oz: «Non scordiamoci che abbiamo di fronte un nemico, Hamas, che vuole il genocidio.). Ma in Israele, ricordano gli esperti, le guerre finiscono in genere con commissioni d'inchiesta, dimissioni di governi e repentini cambiamenti politici. E. infatti in questi giorni si parla di un fermento ai vertici delle furze armate, scontenti per il compito troppo gravoso richiesto dal governo, sia dal punto di vista militare sia in termini di vittime civili nel campo palestinese.

L'ESPRESSO - Wlodek Goldkorn:  "Al posto di Netanyahu"


Isaac Herzog

Se in Israele esistesse l'aristocrazia, Isaac Herzog, il 53enne leader del partito laburista e capo dell'opposizione, l'uomo che pensa di poter battere Benjamin Netanyahu alle prossime elezioni (o di diventare premier con una manovra parlamentare) ne sarebbe uno dei più importanti esponenti. Suo nonno, di cui porta il nome, fu il primo Gran Rabbino dello Stato ebraico, ma prima ancora, nato in Inghilterra, fu in Irlanda "il rabbino di Sinn Fein", il movimento indipendentista del Paese. Il padre di Herzog è stato presidente di Israele, mentre la madre viene da un'importante famiglia sefardita d'Egitto. Lui stesso è stato più volte ministro, e anche sottosegretario alla presidenza del Consiglio ai tempi delle trattative di pace tra Ehud Barak e Yasser Arafat. A novembre scorso ha scalato il vertice del suo partito, facendo destituire dalla leadership la sua predecessora Shelly Yachimovich, tutta concentrata su questioni sociali. Per Herzog, invece, la priorità è la pace, la sicurezza d'Israele e un sistema di alleanze regionali, come spiega in questa intervista, concessa mentre stava andando a visitare le famiglie dei soldati caduti nella guerra di Gaza. Onorevole Herzog, i rapporti tra Israele e gli Stati Uniti sono tesi. L'opinlone pubblica mondiale è molto critica nel confronti di quello che sta facendo II governo di Gerusalemme. Cosa sta succedendo al suo Paese?
«Preferisco analizzare la situazione in termini regionali e non locali, altrimenti non si capisce niente. Per cominciare, i governanti dei Paesi del G7 comprendono benissimo la necessità di Israele di difendersi da Hamas. Ma il vero problema, a lungo andare, è l'ondata di fondamentalismo islamico che sta arrivando dall'Est, dalla Siria, dall'Iraq, da quell'organizzazione che si chiama lo Stato islamico dell'Iraq e del Levante. In questo senso, Israele fa parte di una coalizione filo-occidentale che si oppone agli integralisti. Di questa coalizione fanno parte pure la Giordania, l'Egitto e, ovviamente, l'Autorità palestinese».
E allora dov'è il problema? «Che da noi si richiedono standard diversi rispetto ad altri Paesi che hanno dovuto combattere il terrorismo. lo capisco e sono d'accordo col fatto che non si può continuare ad ammazzare la gente. Ma occorre tener presente che non si possono tollerare le strutture militari di Hamas. Senza un loro smantellamento non si risolve il problema alla radice. Ciò detto, esiste una questione di rapporti personali tra il premier e il presidente americano Barack Obama. Netanyahu è legato alla destra americana, al magnate Sheldon Adelson, sponsor dei repubblicani. Infine non va sottovalutata la visione del mondo di Obama: pensa che tutti i problemi possano essere risolti con un negoziato e un dialogo. In Israele, dove si ha a che fare con Hamas, un'organizzazione che usa la popolazione come scudi umani e che usa i soldi arrivati dal Qatar per armarsi, è difficile condividere questo modo di pensare. Aggiungo un'altra annotazione. Pensiamo all'Egitto. I,'Europa protesta contra le violazioni dei diritti umani da parte del regime. E va bene. Ma bisogna capire che l'Egitto è oggi l'epicentro dello scontro epocale che sta spaccando in due l'intero mondo arabo: da un lato i laici, pur rispettosi della tradizione religiosa, e dall'altro gli integralisti. Non è un conflitto dove è possibile un compromesso: ecco perché i laici, volenti o nolenti, hanno appoggiato il colpo militare. Per tornare alla questione palestinese, Hamas ha sequestrato gli abitanti di Gaza, mentre continua a proclamare la volontà di distruggere Israele. E allora come si può pensare di rimanere inermi? Lo dico da leader dello schieramento che si batte per la pace
Mi scusi, ma dalle sue parole non à facile capire la differenza tra lel e Netanyahu.
«La differenza è evidente. lo sono a favore di un trattato di pace, al più presto possibile, con Abu Mazen. Io mi fido di Al Fatah (la storica organizzazione nazionalista e laica di cui il presidente palestinese è il leader, ndr). E anzi, io penso che un modo per uscire dalla crisi attuale potrebbe essere quello di aiutare Abu Mazen a rientrare in gioco a Gaza.
Sta dicendo che Abu Mazen deve fare una guerra clvlle per conto dl Israele? «No, il contrario. L'accordo che Fatah ha fatto con Hamas mesi fa, e che Netanyahu ha giudicato come una sciagura, può fornire invece la base politica per il ritorno dell'Autorità palestinese nella Striscia, fino all'assunzione del controllo delle frontiere».
Crede che Abu Mazen sarebbe disposto a farlo? E presidente dl un'entltà che non è uno Stato sovrano, e non per colpa sua.
«E un uomo coraggioso. E la società civile palestinese lo appoggia. Ma capisco le sue difficoltà: noi israeliani non abbiamo saputo dare alcuna speranza di un futuro migliorea lui e al suo popolo».
E allora cosa fare?
«Definire le frontiere. ll punto è questo: Israele deve ritirarsi entro i confini del 1967. Penso che sarebbe logico uno scambio di territori: noi ci prendiamo una piccola percentuale del loro, là dove sono concentrati i maggiori insediamenti (si tratta di circa il tre per cento della Cisgiordania, ndr) e diamo loro in cambio altrettanta terra, oggi parte del nostro Stato. Gerusalemme, la vedo come capitale di due Stati, ma unita. Però non mi stanco di ripetere che il pubblico israeliano è disposto ad accettare questa soluzione solo se gli viene garantita la sicurezza. E il mio compito è dare agli israeliani una visione di pace realistica e fattibile».

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