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Informazione Corretta Rassegna Stampa
16.11.2020 La nuova Amministrazione democratica di fronte agli Accordi di Abramo
Analisi di Antonio Donno

Testata: Informazione Corretta
Data: 16 novembre 2020
Pagina: 1
Autore: Antonio Donno
Titolo: «La nuova Amministrazione democratica di fronte agli Accordi di Abramo»
La nuova Amministrazione democratica di fronte agli Accordi di Abramo
Analisi di Antonio Donno


Israel and Arab countries both gain from better ties - The Sunday Guardian  Live

Gli Accordi di Abramo sembrano essere un punto fermo anche per la nuova Amministrazione democratica che sta per entrare nella Casa Bianca. In effetti, è difficile sostenere che tali accordi non significhino una vera rivoluzione nei rapporti tra Israele, Stati Uniti e paesi arabi sunniti. La loro sostanza è così importante per tutte e tre le parti da non lasciare spazio ad alcuna revisione possibile nei prossimi anni. Al contrario, la prospettiva consiste nell’ulteriore avvicinamento di altri paesi del Golfo a tali accordi sì da costituire nel cuore del Medio Oriente un’area molto vasta di collaborazione, scambio e relazioni diplomatiche tra paesi un tempo rivali ma oggi interessati ad una pacifica convivenza per un comune sviluppo economico e sociale. Si apre, così, una nuova fase della storia di una regione sempre cruciale nelle relazioni internazionali dalla fine della prima guerra mondiale. Gli Accordi di Abramo, inoltre, hanno aperto una nuova fase nelle relazioni israelo-americane. Benché i detrattori di Israele abbiano costantemente affermato che Israele vive grazie all’alleanza con gli Stati Uniti e al loro sostegno, ciò è falso. Lo aveva brillantemente compreso, a suo tempo, Dean Rusk, che fu Segretario di Stato negli anni di Kennedy e di Johnson, quando, in una pagina delle sue memorie dettate al figlio Richard, disse: “È mia impressione che Israele non fosse mai interessato a firmare un trattato [con Washington], perché ciò lo avrebbe obbligato a coordinare la sua politica con noi. Gli israeliani preferiscono fare le cose a modo loro, attendendo la nostra approvazione”. E così è stato fino agli Accordi di Abramo.


Hassan Rohani, Joe Biden

Gli accordi, comunque, non hanno rappresentato un trattato tra Israele e Stati Uniti; tuttavia, la concordanza di vedute e la conduzione delle trattative in strettissimo coordinamento tra le due parti nei confronti dei singoli paesi arabi, desiderosi di porre fine a decenni di conflittualità con Israele e di iniziare una nuova collaborazione economica e politica, hanno avuto un significato così profondo da prospettare l’inizio di un coordinamento tra le due visioni della scena mediorientale che ha il segno inequivocabile di una sorta di trattato che impegna i due paesi a condurre una politica comune nella regione. I risultati delle ultime elezioni presidenziali americane, però, pongono degli interrogativi seri sul futuro di questa politica comune, per quanto, come si è detto, non sarebbe utile per Washington mettere in discussione il contenuto degli Accordi di Abramo. Tuttavia, vi sono due aspetti collaterali della questione che pongono degli interrogativi di non poco conto: il problema palestinese e l’Iran. Con gli accordi sottoscritti, il primo dei due problemi sembrava ridimensionato, avendo Netanyahu assicurato che Israele non avrebbe annesso parte della West Bank popolata prevalentemente dai coloni israeliani. In questo modo, l’intera problematica veniva scaricata sulle spalle dell’Autorità Palestinese, ponendo, così, la decennale questione ai margini del nuovo assetto del Medio Oriente definito con gli Accordi di Abramo. Ma è ben noto che il problema palestinese, molto vivo all’interno dell’ala più intransigente del Partito Democratico, con ogni probabilità sarà centrale nel programma del nuovo governo americano. Di conseguenza, non si può prevedere quali iniziative saranno prese dal governo democratico e quali conseguenze deriveranno per gli equilibri raggiunti dagli accordi finora sottoscritti e per quelli in fieri. La seconda questione riguarda i rapporti tra gli Stati Uniti e l’Iran. Su questo tema cruciale la politica di Trump è stata netta e senza incertezze. Gli Stati Uniti si sono ritirati dall’accordo sul nucleare, voluto fortemente da Obama e accettato con grande soddisfazione dal regime degli ayatollah, e hanno posto sanzioni sempre più stringenti sull’economia iraniana, ponendo così il paese in una condizione sempre più difficile riguardo alle proprie ambizioni regionali. Ora, da più voci autorevoli all’interno del Partito Democratico si richiede di ristabilire normali relazioni con Teheran, abolendo le sanzioni e riportando gli Stati Uniti in seno agli accordi sul nucleare (Jcpoa). Ciò vorrà dire che l’Iran potrebbe progressivamente riproporre i suoi progetti mediorientali – momentaneamente bloccati dalle iniziative di Trump – e rinfocolare i timori dei paesi arabi sunniti. Ma, come contraltare, il risultato sarebbe una più stretta collaborazione in seno agli Accordi di Abramo in funzione anti-iraniana.

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Antonio Donno



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