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Informazione Corretta Rassegna Stampa
11.11.2020 Israele tra due Presidenti
Commento di Mordechai Kedar

Testata: Informazione Corretta
Data: 11 novembre 2020
Pagina: 1
Autore: Mordechai Kedar
Titolo: «Israele tra due Presidenti»
Israele tra due Presidenti
Commento di Mordechai Kedar

(Traduzione di Yehudit Weisz)

A destra: Donald Trump, Joe Biden


Una delle realtà a cui Israele dovrà adattarsi durante un'amministrazione Biden è che Barack Obama giocherà probabilmente un ruolo, ufficialmente o meno, di consulente per la sicurezza nazionale o per gli affari politici. Ciò significa che Israele deve iniziare fin da subito ad avere conversazioni con i membri dell'emergente amministrazione Biden piuttosto che a muoversi, negli ultimi giorni del mandato di Trump, per raggiungere obiettivi che l'amministrazione Biden non accetterà. E’ stato suggerito che Israele dovrebbe sfruttare i restanti mesi della presidenza Trump per estendere la sovranità su parti della Cisgiordania. Ciò farebbe eco all'approccio di Barack Obama, che, quando lasciò lo Studio Ovale nel dicembre del 2016, aveva sostenuto la Risoluzione 2334 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite in chiave fortemente anti-israeliana, respingendo la richiesta del Presidente eletto Trump di non farlo. L'applicazione della sovranità israeliana a parti della Cisgiordania nei prossimi due mesi senza il coordinamento con l'amministrazione Biden in arrivo, potrebbe disturbare così gravemente quell'amministrazione che potrebbero essere esercitate delle pressioni per dichiarare illegittima tutta la sovranità israeliana in Cisgiordania. Un’implementazione della sovranità potrebbe persino comportare l'imposizione di sanzioni statunitensi su Israele (in relazione a insediamento, sovranità o entrambi), una mossa che sarebbe caldamente approvata da membri del Congresso come Rashida Tlaib, Ilhan Omar e il senatore Bernie Sanders. Israele deve accettare l’idea che il Partito Democratico di oggi non è lo stesso partito di otto anni fa. È diventato per certi versi estremista, un processo che si è intensificato bruscamente in risposta all'ingresso di Trump alla Casa Bianca e durante il suo mandato quadriennale, si è rinvigorito in risposta alle sue politiche, sia interne che estere. Le posizioni filo-palestinesi e anti-israeliane si sono moltiplicate e hanno aumentato la loro presa sui collegi elettorali democratici. Si stanno già ascoltando voci che suggeriscono la riapertura degli uffici dell'Organizzazione per la Liberazione della Palestina a Washington e il trasferimento delle attività dell'ambasciata americana da Gerusalemme a Tel Aviv. Ma in questo momento il problema più complicato assieme all'applicazione della sovranità riguarderebbe gli Emirati Arabi Uniti, il Bahrein e il Sudan, e anche (implicitamente) l'Arabia Saudita. Questi Paesi considererebbero l'attuazione israeliana della sovranità senza un precedente coordinamento con loro, come una prova di inganno da parte israeliana, perché la scusa per normalizzare le relazioni con Gerusalemme era l'accordo di Israele di rinviare indefinitamente l'applicazione della sovranità in Cisgiordania. Se alla sconfitta di Trump, Israele rispondesse con una immediata rinuncia al suo impegno a non imporre la sovranità, i nuovi amici di Gerusalemme si sentirebbero ingannati. Quella sensazione andrà sicuramente contro gli interessi israeliani. Durante la fase transitoria, prima che Biden si insedi, Israele deve contattare i leader degli Emirati Arabi Uniti, del Bahrein, del Sudan, dell’Arabia Saudita ed dell’Egitto per costituire un blocco unito che si presenti ben saldo davanti alla nuova amministrazione. Quel blocco rappresenterebbe un fronte unito su queste problematiche: che gli Stati Uniti non si inchinino davanti all'Iran riguardo al dossier nucleare, che non revochino le sanzioni contro l'Iran e non permettano a Teheran di interferire negli affari di altri Paesi. Questa coalizione può o non può eventualmente dare a Israele l'approvazione tacita per applicare la sovranità a parti della Cisgiordania, ma Gerusalemme non dovrebbe procedere con alcun piano di questo tipo senza un preventivo coordinamento con questi Paesi. In effetti, il coordinamento con i nuovi amici di Israele nel mondo arabo e musulmano è più importante del coordinamento con l'imminente amministrazione Biden, per quanto sia importante. Nei prossimi due mesi, Israele potrebbe incoraggiare la ricerca di una soluzione al problema di che ne è stato dell'Autorità Palestinese, dopo che Hamas l'aveva ridotta in frantumi 13 anni fa, e prima che l'Autorità Palestinese, durante gli otto anni al potere dell'amministrazione Obama, scadesse in uno Stato terrorista fallito e corrotto basato interamente sull'odio nei confronti di Israele. Gerusalemme dovrebbe approvare un piano per la costituzione degli Emirati Palestinesi, formati da sette emirati separati e indipendenti nelle città della Cisgiordania di Jenin, Nablus, Tulkarem, Qalqilya, Ramallah, Gerico e Hebron araba. Una volta stabiliti gli Emirati palestinesi, Israele potrà applicare la sovranità alle aree rurali. Biden, Harris e Obama non saranno in grado di far rivivere la sclerotica e autolesionista Autorità Palestinese, e i Paesi della coalizione non verseranno molte lacrime per la sua fine. Confrontandosi con l'amministrazione Biden come un fronte unito, Israele e i suoi cinque amici nel mondo arabo saranno tutti in una posizione notevolmente migliorata. Come disse Esopo nel VI secolo a.C.: uniti noi stiamo in piedi, separati cadiamo. La loro alleanza può essere utile non solo sulla questione iraniana, ma anche su un'altra questione chiave: le acque del Nilo. Sono sorte tensioni tra l'Egitto e l'Etiopia per una diga costruita dall'Etiopia sul fiume, che minaccia di ridurre il flusso d'acqua verso l'Egitto a livelli pericolosi. Se questa alleanza si presenta ben salda sullo scenario del Medio Oriente come un gruppo attivo, probabilmente altre nazioni arabe e islamiche si uniranno ad essa. I Paesi che potrebbero essere interessati sono Iraq, Marocco, Oman, Kuwait, Mauritania, Ciad e Niger. Man mano che l'alleanza cresce, è probabile che il suo peso politico aumenti agli occhi dell'amministrazione Biden, e tutti gli Stati membri trarranno beneficio sia dalla loro cooperazione interna che dalla loro capacità di presentare un blocco unito all'amministrazione americana. Questa è un'utopia? Assolutamente no. Un anno fa non avremmo nemmeno sognato una normalizzazione con Emirati Arabi Uniti, Bahrein e Sudan. E se Trump lascia l'incarico il 20 gennaio dopo una caduta del regime iraniano, sarà un diamante nella corona dell'eredità di Trump.


Mordechai Kedar è lettore di arabo e islam all' Università di Bar Ilan a Tel Aviv. Nella stessa università è direttore del Centro Sudi (in formazione) su Medio Oriente e Islam. E' studioso di ideologia, politica e movimenti islamici dei paesi arabi, Siria in particolare, e analista dei media arabi.
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