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Informazione Corretta Rassegna Stampa
06.04.2020 IC7 - Il commento di Claudia De Benedetti: Pesach al tempo del Coronavirus
Claudia De Benedetti Dal 29 marzo al 4 aprile 2020

Testata: Informazione Corretta
Data: 06 aprile 2020
Pagina: 1
Autore: Claudia De Benedetti
Titolo: «IC7 - Il commento di Claudia De Benedetti: Pesach al tempo del Coronavirus»
IC7 - Il commento di Claudia De Benedetti
Dal 29 marzo al 4 aprile 2020

Pesach al tempo del Coronavirus

Pesach: il racconto della Hagadà in attesa del ritorno del quinto ...

Cari amici, vi scrivo prima dell’entrata di Sabato al termine di una settimana in cui l’attenzione dei media in Italia e nel mondo è stata purtroppo assorbita dalla terribile emergenza sanitaria del Coronavirus, gli ebrei hanno cercato di prepararsi nel miglior modo possibile alla celebrazione della festa di Pesach. Il Rabbino Capo di Roma rav Riccardo Di Segni al termine della preghiera per i malati di Coronavirus che ha tenuto al Tempio Maggiore di Roma mercoledì 1 aprile ha letto una significativa preghiera di rav Adin Steinsaltz, una delle più importanti figure rabbiniche viventi di cui potete trovare il testo e la traduzione al link http://moked.it/blog/2020/04/01/rav-steinsaltz-preghiera-lumanita/.

In queste giornate di apprensione e sofferenza è giunto l’ incoraggiamento che il Presidente dello Stato d’Israele Reuven Rivlin non ha voluto far mancare alle comunità ebraiche della diaspora e che potete trovare al link: http://www.informazionecorretta.com/video/rivlin290320.mp4. Mercoledì prossimo, la sera al tramonto, comincerà Pesach, la Pasqua ebraica, che dura otto giorni durante i quali gli ebrei non mangiano e non possiedono cibi lievitati o derivanti da cereali. Pesach inizia con una celebrazione familiare, che quest’anno sarà forzatamente molto ridotta, una cena che si ripete la prima e la seconda sera nella diaspora e solo la prima sera in Israele, che è chiamata ‘Seder’, cioè ordine o sequenza, perché è una straordinaria macchina pedagogica codificata dall’antichità in una serie ben precisa di atti rituali, racconti, canti, benedizioni e cibi, in cui si trasmette la memoria della liberazione degli ebrei dalla schiavitù in Egitto. Nel lunario ebraico e anche nella storia di Israele l’evento che si rievoca risale a oltre tremila anni fa ed è assolutamente fondamentale. Non si è trattato solo del primo dei molti momenti storici in cui gli ebrei furono oggetto di un tentativo consapevole e determinato di genocidio e ne uscirono vincitori, ma della vera e propria fondazione del popolo ebraico. Giuseppe è viceré d’ Egitto e in un periodo di grave povertà accoglie nel paese i fratelli e il vecchio padre Giacobbe con figli e nipoti. La Bibbia verso la fine del libro della Genesi racconta che si trasferirono settanta persone: l’unica grande famiglia dei figli d’Israele, perché Israele era un altro nome di Giacobbe. Quattrocento anni dopo, quella che si libera dall’Egitto non è più una famiglia numerosa, ma un popolo, per dimensione e identità. E la Bibbia spiega che “i figli di Israele […] aumentarono moltissimo, divennero potenti e il paese fu pieno di loro. Allora si elevò sull’Egitto un nuovo re che non aveva conosciuto Giuseppe. Egli disse al suo popolo: vedete che il popolo di Israele è più numeroso e potente di noi. Orsù regoliamoci con scaltrezza nei suoi riguardi! [...]” Scaltrezza per lui voleva dire, come è noto, imposizione della schiavitù, infanticidio, genocidio. È a questa “scaltrezza” che gli ebrei sono sottratti dagli eventi che si ricordano in questa festa: le piaghe, la resistenza del Faraone, il sacrificio di un agnello fatto da ogni famiglia, l’uscita dall’Egitto così precipitosa da non permettere di far lievitare il pane, la sconfitta finale dell’esercito egiziano, lanciato all’inseguimento dei fuggitivi e miracolosamente sommerso da quel mare che si era aperto per far passare gli ebrei. Ma quel che conta per la memoria storica del popolo ebraico è la contrapposizione fra la schiavitù e l’esodo, fra l’essere schiavi e l’essere liberi. In uno dei tanti passaggi significativi che leggiamo durante il Seder diciamo: ‘avadim ayinu, “siamo stati schiavi”, la nostra identità collettiva si è formata nell’oppressione; la liberazione da essa è stato un lungo viaggio verso la terra di Israele e verso l’identità. Nel racconto il significato politico e nazionale si mescola con quello religioso, come del resto avviene in quasi tutte le feste ebraiche. E alla fine del Seder, c’è un altro brano di straordinaria intensità: “Quest'anno siamo qui, l'anno prossimo nella terra di Israele; quest'anno schiavi, l'anno prossimo liberi”. E alla fine si ripete nuovamente: “L'anno prossimo a Gerusalemme!».

La presenza di non ebrei al Seder di Pesach – UGEI

La storia raccontiamo e ripetiamo a tutte le generazioni che assistono al Seder è quella di un popolo che cerca instancabilmente di liberarsi e vivere nella sua terra secondo le regole che ha ricevuto. Instancabilmente, perché, come si dice nel Seder, in ogni generazione la prova dell’oppressione si rinnova e ognuno deve considerarsi personalmente coinvolto nell’impresa della liberazione dell’Egitto, per perpetuarla e rinnovarla. In effetti la “scaltrezza” del faraone e il progetto genocida che ne è derivato si è ripetuto spesso. L’Egitto da cui uscire è stato il paese del Nilo, ma anche l’Assiria e Babilonia, Roma e l’oppressione dell’Europa cristiana, l’islam e il nazismo. Oggi l’Egitto del faraone è certamente rappresentato dall’antisemitismo e la liberazione è la difesa dell’esistenza e dell’identità dello Stato di Israele. In questo periodo così difficile per noi tutti l’augurio che desidero giunga ai lettori di Informazione Corretta è che si sentano parte di questa della storia millenaria d’Israele, che la loro consapevolezza cresca, che il loro coraggio si rafforzi, che il sentimento della libertà ci rassereni.


Claudia De Benedetti
Presidente Sochnut Italia – Agenzia Ebraica per Israele

takinut@gmail.com

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