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Informazione Corretta Rassegna Stampa
14.09.2019 Per non dimenticare: Requiem laico per il comunismo italiano
Commeno di Diego Gabutti

Testata: Informazione Corretta
Data: 14 settembre 2019
Pagina: 1
Autore: Diego Gabutti
Titolo: «Per non dimenticare: Requiem laico per il comunismo italiano»
Per non dimenticare: Requiem laico per il comunismo italiano
Commento di Diego Gabutt
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Paolo Franchi, Il tramonto dell’avvenire. Breve ma veridica storia della sinistra italiana, Marsilio 

Cominciamo col dire che questa breve ma veridica storia della sinistra italiana, come recita il sottotitolo del Tramonto dell’avvenire di Paolo Franchi, è senz’altro breve e indubbiamente veridica ma non è la storia della sinistra italiana. È la storia del Pci, il partito comunista italiano (un partito «de sinistra» ma non di sinistra). E nemmeno l’intera storia di questo partito, da Livorno 1921 a Bolognina 1989, ma la storia del suo tramonto. E del contemporaneo tramonto della Prima repubblica, che si spappola pian piano mentre vengono implacabilmente al pettine, uno via l’altro, i nodi della guerra fredda, nella cui ombra era prosperato, tra le altre creature oggi estinte, anche il sistema consociativo italiano.
Quello del Pci (un tramonto che si fatica a coniugare con l’«avvenire», se non per riderci sopra) è un declino che coincide con quello che era apparso, sul momento, come il suo trionfo: il Sessantotto, l’autunno caldo, le abboffate elettorali degli anni settanta e il passaggio da partito operaio a partito dei «ceti medi riflessivi» (impiegati, insegnanti, diplomati col 6 politico e laureati col 18 a mano armata, giustizialisti, lettori del Manifesto).
È il momento in cui il partito comunista non finge neanche più d’essere il «gran partito dei lavoratori». Da partito dei sindacalisti d’assalto, il partito di Giuseppe Di Vittorio e delle grandi battaglie salariali, si trasforma da un momento all’altro nel partito di Nanni Moretti, di Capalbio e dei Parioli. Se mai lo è stato, non è neanche più un «partito progressista» (come si diceva all’epoca, nel gergo dell’agitprop).
Già era il partito reazionario che, fin dagli anni cinquanta e sessanta, non voleva le autostrade, la tv a colori e i supermercati (tutte «amerikanate», meglio le segrete della Lubianka, meglio le code per il pane e quei fetentoni di dissidenti in galera, meglio la Mummia di Lenin sulla Piazza Rossa). Non pago, diventa d’emblée anche il partito che tergiversa sul divorzio, il partito del compromesso storico con i clericali, il partito della «questione morale» berlingueriana, il partito dei «sacrifici» e (con largo anticipo sugli attuali alleati di Zingaretti, i fenomeni pentastellari) della «decrescita felice». Ma soprattutto diventa il partito che s’oppone con maggior ferocia alla sinistra italiana verace, quella che si raccoglie, volere o volare, intorno al partito socialista di Bettino Craxi. Come ai tempi del «socialfascismo», quando l’Internazionale comunista tuonava contro la socialdemocrazia («ala sinistra e assassina della borghesia») e faceva gli occhi dolci a Hitler, l’infame Bettino si trasforma per incantesimo mediatico nel Grande Nemico della Giusta Causa.
Con «Giusta Causa», ai piani alti del partito comunista italiano non s’intende chissà quale ordine nuovo ma la guerra per mare e per terra che Enrico Berlinguer e i suoi «consigliori» cattocomunisti, decisi a non fare prigionieri, hanno dichiarato alla modernità.
Di qui l’uso improprio e abusivo del termine «sinistra italiana» quando si parla del Pci e dei suoi derivati post crollo del Muro di Berlino. Autore d’un libro che si legge con piacere e vantaggio, un riassunto generale dell’interminabile agonia (che, ahinoi, dura tuttora) del comunismo italiano, Paolo Franchi ha purtroppo la pretesa di farci credere che il partito (anzi la Ditta) di Berlinguer, di Occhetto e D’alema, il partito di Repubblica (ieri d’Eugenio Scalfari e oggi, molto più in piccolo, di Concita De Gregorio) e della «piccola Greta», sia stato in qualche momento della sua storia recente e remota un partito di sinistra.
Senza offesa, ma non lo è mai stato.
Soltanto nel mondo impazzito delle ideocrazie manicomiali novecentesche si è potuto pensare che fossero di sinistra (ma erano solo «de sinistra») il Gulag, Pol Pot e i khmer rossi, le carestie pilotate in Ucraina e in Cina, «i compagni che sbagliano», l’antisemitismo, i campi di lavoro per gli omosex a Cuba, l’urrà alla «rivoluzione islamica» iraniana e l’andare a braccetto per le vie di Beirut con i leader Hezbollah, la guerra agli euromissili occidentali e il benvenuto a quelli sovietici, la rivoluzione per via giudiziaria, oggi il movimento «#MeeToo» e il politically correct, per non parlare del pacifismo filoterrorista, degli orribili film di Valter Veltroni e della bacchettonaggine antiberlusconiana (tutte quelle donnacce, che schifo).
Con buona pace di Paolo Franchi, che su quest’intera mandria di mucche nel corridoio del comunismo italiano allegramente sorvola, il Pci non ha mai avuto niente a che fare col «progresso» o col «sol dell’avvenir». «Grande, glorioso e giusto» finché si vuole, come sfanfarava sempre l’agitprop, mai nella sua lunga (e poco presentabile) storia il partito comunista italiano ha seriamente abbracciato una «buona causa» riformista o «progressiva».
Se gli è capitato, è stato senza intenzione, e per puro caso.
Paolo Franchi, che ne racconta con nostalgia, divertimento e commozione le ultime avventure, più che le tarde imprese del Pci sta celebrando la propria giovinezza di comunista militante.
Posso capirlo. S’invecchia e la tentazione è forte. Ma con le passioni di gioventù bisogna andarci cauti. Quando Marx, nel tempo dei tempi, parlava della sua «passione per il comunismo» aveva in testa l’utopia, mica una fattoria orwelliana degli animali. Una «passione per il comunismo italiano», per l’Art. 18 e per le citazioni latine di Palmiro Togliatti, per i sigari di Fidel Castro e per le inchieste bigotte e sessuofobe del PM Ilda Boccassini, non l’avrebbe mai nemmeno concepita (figurarsi approvata).


Diego Gabutti
Già collaboratore del Giornale (di Indro Montanelli), di Sette (Corriere della Sera), e di numerose testate giornalistiche, corsivista e commentatore di Italia Oggi, direttore responsabile della rivista n+1 e, tra i suoi libri: "Un’avventura di Amedeo Bordiga" (Longanesi,1982), "C’era una volta in America, un saggio-intervista-romanzo sul cinema di Sergio Leone" (Rizzoli, 1984, e Milieu, 2015); "Millennium. Da Erik il Rosso al cyberspazio. Avventure filosofiche e letterarie degli ultimi dieci secoli" (Rubbettino, 2003). "Cospiratori e poeti, dalla Comune di Parigi al Maggio'68" (2018 Neri Pozza ed.)

takinut@gmail.com

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