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Informazione Corretta Rassegna Stampa
11.07.2019 La Repubblica degli sbruffoncelli
Commento di Diego Gabutti

Testata: Informazione Corretta
Data: 11 luglio 2019
Pagina: 1
Autore: Diego Gabutti
Titolo: «La Repubblica degli sbruffoncelli»

La Repubblica degli sbruffoncelli
Commento di Diego Gabutti

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Come mai, se «sbruffoncella» è un insulto sessista, «sbruffoncello» è un insulto e basta? Non sarà perché non c’entra un pero con l’identità sessuale di chi viene insultato? Babbeo, stupido, bifolco, villanzone… come «sbruffoncella», o «sbruffoncello», sono insulti per così dire neutri, equanimi, super partes. Vero che, necessariamente declinato com’è al maschile o al femminile, ogni insulto può essere definito (volendo, e non avendo di meglio da fare) un insulto sessista, o per lo meno sessuato. Tuttavia, nella stragrande maggioranza dei casi, gl’insulti sessisti sono insulti e basta. Matteo Salvini, quando ha dato della «sbruffoncella» a Carola Rackete, capitana della Sea Watch, è stato senz’altro un gran maleducato, ma di sessista in quell’insulto non c’era niente, e anche come insulto, diciamolo, era all’acqua di rose, tipo «piratessa», «birbacciona» o «discolaccia». Già «criminale» è più grave: roba da guadagnarsi, come s’è visto, una querela per diffamazione. Ma anche qui non c’è niente di sessista. Ciascuno di noi, indipendentemente dal sesso, può approdare nottetempo a Lampedusa con una nave carica di «negher», o anche solo mettere in guardia Matteo Salvini da un consumo eccessivo di Nutella, e prendersi del criminale in diretta Facebook.

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Non voglio dire, intendiamoci, che non esistano le ingiurie sessiste. Esistono eccome. «Puttana», per esempio, è senz’ombra di dubbio un insulto sessista («puttano» suona infatti molto meno efficace, benché lo usi Gadda da qualche parte). Anche «impotente», nel senso di sessualmente inadeguato, è un insulto decisamente sessista, che però offende esclusivamente gli uomini, e che non è possibile declinare al femminile rispettandone il (terrificante) significato. Ma prendiamo «femminuccia». Epiteto che può oltraggiare indifferentemente maschi e femmine, è di gran lunga più efficace con gli uomini che con le donne, eppure non si tratta esattamente d’un insulto sessista: sta per «codardo» e non allude, se non vagamente, a problemi di genere. Del resto, anche «femminuccia» – un insulto di cui raccomandiamo vivamente l’uso al Capitano postleghista – è un’ingiuria all’acqua di rose, senza ricadute penali. «Femminuccia» (come «sbruffoncella» o «cocco di mamma», un epiteto che sembra cucito su misura per Luigi Di Maio o per Giuseppe Conte) sta al catalogo degl’insulti come «accindempoli» e «perdincibacco» a quello delle imprecazioni. Giusto Concita De Gregorio, Gad Lerner e gli altri professionisti della «pia frode» ideologica (per citare Marx) possono esagerarne la portata. (Sono gli stessi maestri di bon ton, fateci caso, che hanno sempre minimizzato il «vaffanculo» leghista). Matteo Salvini non piace a nessuno (sbaglia a credere di piacere ai suoi elettori) e non gli sarebbe perdonato nemmeno un insulto pavido e titubante. Mi hai dato del cocco di mamma? A processo! In galera! Gli Alleati 5 Stelle e il loro organo di stampa (sempre meno il Fatto quotidiano, e sempre più la Repubblica) ne farebbero lì per lì un caso politico (o meglio ancora, filosofico). Direbbero che dare del «cocco di mamma», o della «sbruffoncella», a un avversario politico e alle icone ONG significa incoraggiare la deriva del paese verso un nuovo fascismo (Mussolini dava del «canguro gigante» ai suoi nemici, e in effetti, quanto a fiacchezza degl’insulti, siamo lì). È il sottosegretario pentastellare Vincenzo Spadafora da Afragola a spiegarci, dalle pagine di Repubblica, che ci vuol poco a passare da «sbruffoncella» e «ricca e viziata comunista tedesca» a «demogiudoplutocrata» di facili costumi. Garante per l’infanzia e per l’adolescenza, qualunque cosa ciò significhi, e temo non significhi granché, Vincenzo Spadafora ha caricato sul gobbone dell’espressione «sbruffoncella» il peso storico del sessismo, della violenza sulle donne e magari pure del «femminicidio» (che non è un qualunque assassinio, come se ne contano tanti da Caino in avanti, ma un delitto di tipo nuovo, politicamente scorretto, un po’ new wave e un po’ aquarium age).

Spadafora straparla, il PD applaude e la Repubblica neosessantottesca di Carlo Verdelli, un giornale che a darlo per morto non si sbaglia mai, dà fiato alle trombe e (soprattutto) ai tromboni. Morale: uomo pieno di difetti, politico da quattro soldi assunto imperscrutabilmente in cielo, uno «sbruffoncello» se mai ce n’è stato uno, Matteo Salvini è per una volta innocente. Qualunque cosa ne pensi la Repubblica, non è colpa di Salvini se le donne sono disprezzate, e tanto meno se sono vittime di violenza e uccise. Al pari di Salvini, naturalmente, sono innocenti anche i suoi avversari, a cominciare da quelli che trattano il Capitano come il Capitano tratta la Capitana. Prendete me. Querelato da Salvini per un vecchio articolo in cui gli davo, a buon titolo, del supertifoso dei tiranni, da Putin e Kim Jong-un all’Imperatore Ming di Mongo, sono stato recentemente assolto per inesistenza del reato e inconsistenza della diffamazione. (Faremo meglio un’altra volta).

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Diego Gabutti
Già collaboratore del Giornale (di Indro Montanelli), diSette (Corriere della Sera), e di numerose testate giornalistiche, corsivista e commentatore diItalia Oggi, direttore responsabile della rivista n+1 e, tra i suoi libri: Un’avventura di Amadeo Bordiga (Longanesi,1982), C’era una volta in America, un saggio-intervista-romanzo sul cinema di Sergio Leone (Rizzoli, 1984, e Milieu, 2015); Millennium. Da Erik il Rosso al cyberspazio. Avventure filosofiche e letterarie degli ultimi dieci secoli (Rubbettino, 2003). Cospiratori e poeti, dalla Comune di Parigi al Maggio'68" (2018 Neri Pozza ed.)


takinut@gmail.com

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