giovedi` 28 marzo 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


Clicca qui






Informazione Corretta Rassegna Stampa
07.01.2019 I turchi stanno arrivando in Siria
Analisi di Mordechai Kedar

Testata: Informazione Corretta
Data: 07 gennaio 2019
Pagina: 1
Autore: Mordechai Kedar
Titolo: «I turchi stanno arrivando in Siria»

I turchi stanno arrivando in Siria
Analisi di Mordechai Kedar


(Traduzione dall’ebraico di Rochel Sylvetsky, versione italiana di Yehudit Weisz)

Immagine correlata
Vladimir Putin, Donald Trump, Recep T. Erdogan

Chiunque segua i media turchi non può fare a meno di vedere le lunghe file dei mezzi di trasporto militari - carri armati, artiglieria, convogli militari e veicoli ausiliari - che si dirigono a Sud verso il confine turco-siriano. I turchi non hanno intenzione di attaccare la Siria: il loro obiettivo è stroncare sul nascere le aspirazioni dei curdi siriani a costituire un'entità autonoma a Sud del confine, la regione in cui risiedono i curdi. Questa non è la prima volta che la Turchia ha invaso la Siria a Nord-Est di Aleppo. Due anni fa, aveva invaso la città di confine di Jarabulus per interrompere la contiguità territoriale verso Ovest, che i curdi avevano tentato di creare per avere accesso diretto al Mar Mediterraneo. Ora la Turchia minaccia di conquistare la città di Manbij, a Sud di Jarabulus e a Nord-Est di Aleppo, per consolidare il proprio controllo sulla regione curda e distruggere ogni speranza per l'autonomia curda, nata all'ombra del caotico periodo che iniziò ad coinvolgere la Siria nel marzo del 2011. I progetti della Turchia sulla Siria hanno ricevuto un’iniezione di fiducia due settimane fa dal Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, che ha consegnato a Erdogan un assegno in bianco per fare della Siria ciò che vuole. Mai sottovalutare le intenzioni di Erdogan, odia i curdi con tutto il cuore, sia quelli che vivono in Turchia che quelli dei Paesi vicini. I curdi che vivono in Turchia rappresentano tra un quinto e un quarto dell’intera popolazione turca, e questa frazione è in costante aumento perché i curdi hanno un tasso di natalità più alto rispetto ai turchi, ma anche perché i turchi hanno una maggiore tendenza a emigrare verso altri paesi.

Quasi tutte le città della Turchia hanno uno o più quartieri curdi, densamente popolati, che nonostante le lotte intestine rappresentano una sfida demografica e una minaccia alla sicurezza per i turchi. Il governo, che definisce il Partito dei Lavoratori Curdi un'organizzazione terroristica a tutti gli effetti, lo sta combattendo una guerra senza sosta. Oltre quaranta mila civili, sia turchi che curdi, sono già stati uccisi nella lotta senza fine tra il governo e i ribelli curdi, che sono per diritto cittadini turchi. La maggior parte dei curdi vive in una regione, il Kurdistan, che alla fine della Prima Guerra Mondiale fu suddivisa tra quattro Paesi: Turchia, Siria, Iraq e Iran. I curdi in Turchia, come i loro fratelli in Siria, Iraq e Iran, hanno due problemi fondamentali che si oppongono alla loro indipendenza: il primo è che vivono in un'enclave senza accesso al mare, permettendo ai Paesi che li circondano di mantenerli sotto assedio e strangolarli politicamente ed economicamente; il secondo nasce dalle controversie interne, che impediscono la creazione di una vera unità approvata dalla maggioranza. I conflitti interni sono venuti alla luce nel settembre 2017, quando Massoud Barzani, il leader dei curdi iracheni, ha tenuto un referendum tra i curdi per decidere se separarsi o meno dall'Iraq. La maggior parte dei votanti aveva optato per la separazione, ma un'altra parte della nazione curda, guidata da Jalal Talabani, non aveva partecipato al voto perché contrari al referendum. La successiva forte ostilità da parte dei quattro Stati che circondano l'enclave curda convinse Barzani a rinunciare all'idea di separarsi dall'Iraq per istituire uno Stato indipendente.

La situazione siriana è simile a quella irachena, fatta eccezione per il referendum. La guerra civile e la paralisi generale di cui la Siria ha sofferto dalla seconda parte del 2011 in poi, ha reso i curdi abbastanza sicuri da fondare un'enclave autonoma, ignorando in quel momento la rabbia turca per quell’iniziativa. Hanno combattuto contro l’ ISIS e sono diventati i beniamini dell'Occidente. Col passare del tempo, tuttavia, e soprattutto dopo che l’ ISIS ha perso gran parte del territorio che aveva invaso, le forze curde hanno perso la loro importanza agli occhi dei leader occidentali. Il fatto che abbiano versato fiumi di sangue nella guerra contro l'ISIS, oggi viene quasi trascurato. Il mondo tiene oggi in conto Erdogan molto più di quanto fa nei confronti dei curdi. La sensazione dei curdi di essere stati traditi è aumentata a seguito della decisione di Trump di rimuovere le forze americane dalla Siria e consegnare a Erdogan il Paese su un piatto d'argento, permettendogli - secondo le stesse parole di Trump- di occuparsi dei terroristi rimasti in Siria. Il problema è che quando Trump sente la parola "terrorista" intende l'ISIS, mentre Erdogan intende i "curdi". I curdi, temendo la brutalità turca, si sono rivolti ad Assad cercando protezione nei confronti dell'esercito turco. Assad, l'assassino di massa per eccellenza, agli occhi dei curdi è meno temibile di Erdogan. E Assad li ha accolti, anche se sa perfettamente che in realtà non vorrebbero stare sotto la sua ala protettiva. I curdi di Siria, tuttavia, sanno che Assad ha ottenuto una vittoria colossale contro ogni previsione. I russi, gli iraniani, Hezbollah e le altre milizie sciite hanno fatto il lavoro sporco per lui, e come risultato di questa "vittoria", gli Stati arabi e quelli europei si sono messi in fila, in attesa di rinnovare i loro rapporti con la Siria e riaprire le loro ambasciate a Damasco.

Le ragioni sono duplici; la meno importante è il desiderio di contrastare l'influenza iraniana e convincere Assad che è meglio tornare al suo precedente ruolo come parte del popolo arabo piuttosto che aderire alla coalizione iraniana. Molto più importante è la triste situazione in cui versano le economie arabe, che le porta a desiderare di investire nella ricostruzione della Siria per inviarvi i propri lavoratori disoccupati e trarre un profitto economico dai diritti di gestione dei fondi che verranno corrisposti agli Stati che investiranno nella ricostruzione delle infrastrutture della Siria. Le mere considerazioni economiche, tuttavia, non rappresentano l’intera verità dei fatti. Nella coalizione in funzione anti-Iran, Egitto, Emirati Arabi Uniti e Bahrein, alleati dell'Arabia Saudita, hanno offerto l'invio di truppe per aiutare Assad a gestire la situazione. L'odio arabo nei confronti della Turchia è talmente profondo che l'ultima cosa che gli Stati arabi desiderano vedere sarebbe il ritorno dell'Impero ottomano, centouno anni dopo la sua sconfitta per mano dell'Europa e l’umiliante espulsione dalle terre arabe. Gli arabi non hanno mai dimenticato i metodi dei turchi ottomani per mantenere il loro dominio, come la polizia turca frustava le piante dei piedi delle loro vittime, le trascinava a morire sul patibolo, come le issava su pali appuntiti che straziavano i loro corpi prima che morissero. I siriani e gli iracheni non hanno dimenticato come negli anni '80 -solo circa trent'anni fa- i turchi hanno deviato le acque del fiume Eufrate per costruire la diga Ataturk, lasciando milioni di agricoltori siriani e iracheni a guardare impotenti i loro raccolti mentre avvizzivano nei campi e tutte le loro fatiche andavano sprecate. Gli arabi non dimenticano né perdonano. Come ho avuto modo di dire in un mio precedente articolo, nel mondo arabo è applicabile ovunque il vecchio racconto beduino di quell’uomo che vendica la morte di suo padre 40 anni dopo la sua morte, mentre dice "Mi sono affrettato".

Erdogan deve tenere in considerazione non solo l'odio arabo, ma anche l'ostilità dei curdi in Turchia, che non resteranno a lungo a guardare, osservandolo mentre attacca i loro fratelli curdi in Siria. Si preoccupa, e giustamente, che le massicce operazioni contro i curdi di Siria e Iraq siano suscettibili di portare i curdi turchi in piazza non solo a manifestare, ma possibilmente anche a seminare distruzione e portare a termine attacchi terroristici nel peggiore dei casi. Se ciò accadesse, sarebbe costretto a interrompere le dimostrazioni usando la forza, trovandosi ad affrontare i funerali delle vittime dopo le proteste sanguinose e violente. L'economia turca è in pessime condizioni, con una forte svalutazione, un aumento della disoccupazione e una corruzione dilagante in ogni livello di governo. Anche questo potrebbe influenzare il popolo curdo, che soffre più del turco medio perché è tenuto ai margini delle partecipazione economiche, sociali e politiche. Erdogan continua a godere del sostegno popolare, ma c'è un limite a ciò che i curdi sono disposti a subire. Un'operazione devastante contro i loro fratelli in Siria potrebbe essere la goccia che fa traboccare il vaso. Erdogan ha anche paura degli europei, perché se i suoi attacchi contro i curdi portano a titoli negativi sui giornali europei, i turisti europei potrebbero boicottare la Turchia e per le loro vacanze, recarsi in Grecia o in altri Paesi mediorientali come Israele. Gli industriali potrebbero spostare le loro fabbriche dalla Turchia, se si rendessero conto che le etichette che recitano "made in Turkey" sono un buon modo per far sì che i loro prodotti rimangano sugli scaffali dei supermercati. In sintesi, si può dire che i curdi in Siria sono minacciati dalla Turchia, ma non al livello che gli organi di informazione stanno cercando di far credere al pubblico, perché hanno una via d'uscita: il buon senso politico e un approccio realistico per quanto riguarda l'equilibrio dei poteri nella regione, permetterebbero ai curdi di vivere come sudditi di Assad. Anche se questa soluzione è tutt'altro che ideale dal loro punto di vista, è del tutto possibile che un’altra alternativa potrebbe essere peggiore, molto peggiore, rispetto alla vita ordinata, anche se limitata e umiliante, che si ottiene alleandosi con Assad, il vincitore.


Mordechai Kedar è lettore di arabo e islam all' Università di Bar Ilan a Tel Aviv. Nella stessa università è direttore del Centro Sudi (in formazione) su Medio Oriente e Islam. E' studioso di ideologia, politica e movimenti islamici dei paesi arabi, Siria in particolare, e analista dei media arabi.
Collabora a Informazione Corretta


info@informazionecorretta.com

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT