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Informazione Corretta Rassegna Stampa
12.08.2018 Colore rosso sul confine
Commento di Anna Rolli

Testata: Informazione Corretta
Data: 12 agosto 2018
Pagina: 1
Autore: Anna Rolli
Titolo: «Colore rosso sul confine»

Colore rosso sul confine
Commento di Anna Rolli

A destra: Nahal Oz

Soltanto 800 metri di campi aperti separano il kibbutz di Nahal Oz dal territorio di Gaza. Nel mezzo una recinzione metallica provvista di sensori elettronici e di videocamere. Si tratta dell’insediamento israeliano più vicino alla striscia, fondato nel 1951 è abitato oggi da 350 chaverim (amici) più un centinaio di bambini, 13 dei quali nati nel 2018. Si dice in Israele, con affettuosa ironia, che il kibbutz sia il paradiso per gli anziani, i bambini e i cani. In effetti, a prima vista, Nahal Oz potrebbe rassomigliare ad un sorta di giardino dell’Eden. Un centinaio di casette sparse, basse e bianche, con i tetti di tegole rosse nascoste dagli alberi esotici e dal tipico profluvio di cespi fioriti di lavanda, malva e menta, di oleandri, buganvillee e gelsomini bianchi e azzurri. I ragazzini però giocano e schiamazzano dietro un alto muro circolare di cemento che li ripara da bombe e cecchini e che insegnanti e scolari indefessi hanno affrescato con un sereno paesaggio campestre. La notte tra mercoledì e giovedì il kibbutz è stato bombardato da Gaza e decine di allarmi Sevà Adom, Colore Rosso, hanno impedito agli abitanti di dormire. Le bombe cadute per lo più in campo aperto, superano il centinaio, nel frattempo l’IDF ha colpito 12 obiettivi a Gaza. Che intenzioni ha Hamas? Si parla di evacuare la popolazione, si preparano i bagagli. Qui, in ogni casa, c’è una camera bunker dove ad ogni allarme si rifugia tutta la famiglia. Lungo i sentieri ogni 30 metri è posizionato un bunker per chi passa, simpaticamente decorato all’esterno con immagini dai cartoni animati. Se all’improvviso l’altoparlante grida: Sevà Adom ci sono 10 secondi a disposizione per raggiungerlo. Ma anche quando non soffiano venti di guerra, i droni, gli aerei senza pilota, sorvolano la Striscia 24 ore al giorno e il rombo sale d’intensità, si spegne e poi riprende, senza interruzione. Da sempre bersaglio di ordigni incendiari, nell’agosto 2005, durante la fase di disimpegno israeliano da Gaza, il kibbutz fu colpito da numerosi missili, la zona fu circondata dall’esercito, e i kibbutznik si ritrovarono bloccati a volte dentro a volte fuori dal villaggio. Gli “arancioni” chiamati così perché per rendersi riconoscibili giravano con un fiocco di quel colore appuntato sul vestito, tra i capelli o sullo specchietto dell’automobile erano i sostenitori dei coloni e l’IDF impediva loro di accedere agli insediamenti da sgomberare. Nei momenti più drammatici del ritiro, i rappresentanti di Nahal Oz , con ottimismo ammirevole, potremmo dire oggi, dichiararono pubblicamente sulla stampa di essere disposti, appena terminata l’evacuazione, a stabilire rapporti e scambi commerciali con i palestinesi di Gaza. Nelle interviste su Haaretz, il quotidiano della sinistra israeliana, affermarono di sperare che sarebbe diminuita la tensione e si sarebbero concretizzate opportunità interessanti di lavoro per i palestinesi e per gli israeliani. Alcuni kibbutznik avevano a Gaza amici della giovinezza, speravano di poterli reincontrare e di poter realizzare un progetto condiviso per favorire lo sviluppo economico dell’area: costituire un gruppo congiunto e organizzare attività turistiche a Gaza.

Dal ritiro deciso da Sharon sono passati 13 anni, la tensione nella zona non è diminuita, e il piccolo kibbutz di Nahal Oz, testimone in prima linea di tutte le guerre tra Israele e la Striscia di Gaza, ha continuato a subire attacchi terroristici e lancio di missili. Le famiglie beduine della zona, da sempre in rapporti di amicizia e di consuetudine con i contadini ebrei avevano chiesto e ottenuto il permesso di pascolare le capre nelle terre lasciate a riposo. Nel marzo 2006, nel giorno delle elezioni politiche, un missile lanciato da Hamas colpì un pastore beduino e il figlio di 16 anni, uccidendoli entrambi. I kibbutznik non amano parlarne. “ È stato terribile. “ mi dicono e poi tacciono. Nel corso della guerra dell’estate 2014, un commando di terroristi percorse un tunnel sotterraneo, sorprendendo e uccidendo i soldati israeliani di guardia. Disponeva di armi sofisticate, le stesse in dotazione delle Forze di Difesa Israeliane e piccole telecamere montate sugli elmetti per documentare l’azione e in seguito metterla in rete. La scoperta di tunnel segreti e gli agguati con l’uso di nuove tecnologie spinsero molti dei residenti a partire temporaneamente per tornare a guerra finita.

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Daniel Tregerman

In quella stessa estate un bambino di quattro anni, Daniel Tregerman, stava giocando a nascondino con la sorellina di due. Quando risuonò il Sevà Adom, non volle abbandonarla, si mise a cercarla e fu ucciso da una scheggia di mortaio che sfondò la finestra e lo colpì al capo. Un video ci mostra un bambino molto bello che danza e una foto lo ritrae vicino a una torre di mattoncini Lego più alta di lui. Strazianti le parole della madre al funerale ”L'amore della mia vita, un bambino perfetto, il sogno di ogni madre e padre, intelligente e sensibile. Noi sognavamo che da grande sarebbe diventato un leader in grado di portare la pace in Israele”. Fino al 2014 il confine era piantonato dai soldati che giorno e notte si davano il cambio. Erano un bersaglio ovvio e facile per i terroristi. Oggi un pallone aerostatico provvisto di una cinepresa domina il kibbutz e la costa dall’alto e riprende tutti i movimenti del nemico, i soldati non sono più di guardia nelle postazioni, camminano lungo il reticolato e il pallone li protegge. La scorsa primavera Hamas ha organizzato le “Marce del ritorno” portando alla frontiera migliaia di persone. I mesi più sanguinosi dopo la guerra del 2014. Dal 30 marzo a oggi, secondo fonti arabe, sono 157 i palestinesi uccisi sul confine dal fuoco israeliano e circa 10.000 i feriti. "Quando sentiamo parlare dei morti, siamo molto addolorati.” mi dice Dany Rahamim, ebreo di origine irachena, che da ragazzo scelse di vivere nel kibbutz ed è ora responsabile del sistema d’irrigazione e membro della Commissione per l’emergenza. “Penso che la maggioranza della gente di Gaza vorrebbe vivere una vita normale ma che, sotto il fascismo di Hamas, non abbia alcuna possibilità di scelta”

La seconda settimana d’ aprile sono entrate in azione le nuove armi: gli aquiloni. Erano un gioco per bambini, leggero e colorato, da allora vengono usati per il trasporto di bottiglie incendiarie verso gli aridi villaggi meridionali. Con una media di 30 focolai al giorno, i fuochi hanno impegnato decine e decine di pompieri, coadiuvati dagli abitanti e dai volontari venuti dal Nord. Migliaia di ettari di raccolti, di foreste e di riserve naturali sono stati divorati dalle fiamme nell'indifferenza del mondo che non accusa Hamas ma invita Israele alla moderazione, quando non lo condanna apertamente. “Il nostro dolore è indescrivibile.” continua Dany “Negli ultimi mesi il kibbutz ha subito tanti incendi. Abbiamo avuto una grande quantità di danni, mesi di lavoro sono andati in fumo e siamo tristi. Nessuno può capire. Per un contadino, guardare le coltivazioni bruciare è una pugnalata al cuore. Hamas sta cercando di spezzare le nostre vite, ma noi continueremo a lavorare i campi fino all'ultimo solco vicino al confine. Nessun paese potrebbe accettare di essere messo a fuoco e che vengano bruciati i raccolti, le foreste e i parchi nazionali. In Italia e in Europa fate sapere che Israele lotta contro un’organizzazione terroristica crudele mentre il nostro è un esercito che segue una legge morale. Singoli soldati ovviamente possono violare le regole ma l’IDF ha regole morali molto severe e cerca sempre di non colpire bambini e civili innocenti. Noi siamo convinti che vinceremo soltanto se seguiremo le leggi dell’umanità e non diventeremo mai e in nulla simili ai nostri nemici. Noi non ce ne andremo! Questa è casa nostra. Dovremmo lasciare la nostra casa, la nostra terra e la nostra comunità? È quanto vorrebbe Hamas. All’inizio non sapevamo chi avrebbe vinto, ma ora, guardando la situazione in prospettiva possiamo dire con certezza che stiamo vincendo, che sta vincendo Israele, perché Hamas non è riuscito a raggiungere il suo obiettivo: cacciarci! Da Nahal Oz in questi ultimi quattro anni di bombardamenti sono andate via alcune famiglie ma ne sono arrivate 25 nuove. 25 famiglie di giovani, con bambini piccoli. Vogliono che i loro figli crescano in kibbutz, perché la loro vita abbia un senso. La guerra non si vince o si perde per il numero dei soldati uccisi da una parte o dall’altra. In guerra si vince per la forza d’animo e noi non ce ne andremo perché siamo forti.”

A Gaza elettricità e acqua sono gravemente insufficienti, per non parlare di medicinali e materiale sanitario. Il degrado umano sembra inarrestabile così come l’incitamento ad odiare Israele. Tre giorni fa durante un’esercitazione militare, due cecchini gazani sono stati colpiti ed è iniziata la rappresaglia di Hamas. Gli abitanti del kibbutz mi hanno assegnato l’unico bunker ancora libero, 2.50 X2, con un letto ed un comodino. Io ho dormito nonostante gli allarmi. Loro molto poco. Poi ieri mattina in tutta fretta Eitan, un kibbutznik che conosco da anni, mi ha portato in automobile fino alla stazione di Ashkelon, oltre Sderot e fuori dalla zona di pericolo. “ Non possiamo più ospitarti, perché tutto può accadere da un momento all’altro.” Mi sono vergognata e gliel’ho detto. “ No, perché? Tu hai la tua vita a Roma, e questa è la nostra vita!” “Ebraismo vuol dire democrazia” mi ha detto ancora Dany “Non si può concepire l’ebraismo senza libertà ed uguaglianza dei diritti. Per questo chiediamo che nelle Leggi fondamentali del nostro Stato sia scritto a chiare lettere che tutti i cittadini hanno gli stessi diritti, ebrei ed arabi e di qualsiasi religione professata. Hamas è in grande difficoltà politica ed economica, i Paesi Arabi moderati non la sostengono più e sono gli unici che possano forzarla ad accettare una trattativa. Per loro la stabilità della regione è molto importante perché temono la penetrazione degli estremisti e della potenza iraniana che approfittando degli scontri tra Israele e palestinesi fomentano la pubblica opinione. Si tratta dunque di una buona occasione. Nel 2014, nel corso dell’ultima guerra di Gaza, abbiamo costituito il “Movimento per il futuro del Negev Occidentale”: Ci incontriamo di continuo per tentare di costringere i politici a trovare una soluzione non violenta. Il nostro obiettivo è di evitare una nuova guerra. Se anche ci sarà una conferenza internazionale, come noi chiediamo, non credo che riusciremo a discutere di pace con Hamas. Hamas non accetterà mai la pace per ragioni sia ideologiche che religiose. Forse però un armistizio di dieci o vent’anni si potrebbe ottenere. Dobbiamo provarci per i nostri figli, per i nostri nipoti, per poter dire a noi stessi che abbiamo fatto tutto il possibile per porre fine alla guerra.”

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Anna Rolli
 


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