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Informazione Corretta Rassegna Stampa
24.07.2017 IC7 - Il commento di Riccardo Ghezzi: Uccidere in nome dei metal detector
Dal 16 al 22 luglio 2017

Testata: Informazione Corretta
Data: 24 luglio 2017
Pagina: 1
Autore: Riccardo Ghezzi
Titolo: «IC7 - Il commento di Riccardo Ghezzi: Uccidere in nome dei metal detector»
IC7 - Il commento di Riccardo Ghezzi
Dal 16 al 22 luglio 2017

Uccidere in nome dei metal detector


Metal detector installati all'ingresso della Spianata delle moschee/Monte del Tempio

Sarà difficile, questa volta, solidarizzare con la causa palestinese. Impossibile, per chiunque, accettare le prese di posizione di Abu Mazen e di Erdogan, che si sono schierati contro la decisione di installare dei metal detector all’ingresso della Spianata delle Moschee di Gerusalemme, dopo due attentati in meno di un mese, entrambi di venerdì (il “venerdì santo” islamico) costati la vita a tre poliziotti israeliani. I metal detector non rappresentano in alcun modo una privazione della libertà individuale o una limitazione della libertà di culto. Si tratta di una misura di sicurezza preventiva, utile a evitare attentati e circolazione di armi all’interno dei luoghi sacri.

Si passa attraverso i metal detector per accedere al Kotel, il Muro del Pianto. Gli israeliani sono abituati ai check point, sono costretti ad accettarli di buon grado per la loro stessa sicurezza. A quanto pare, la leadership araba invece non ne vuole sapere, trovando sponda anche in fedeli disposti a morire o uccidere per i metal detector. La guerra civile che si è scatenata ieri a Gerusalemme nasconde certo ragioni storiche e rancori mai sopiti, ma bisogna attenersi ai fatti: è dovuta all’installazione dei metal detector. E non si parli del “divieto di ingresso agli under 50 imposto da Israele”, misura di sicurezza che non è in alcun modo la causa delle violenze e delle proteste, ma semmai l’effetto.

I metal detector, dunque. Installati non solo all’ingresso del Kotel, ma anche in Vaticano. E, soprattutto, a La Mecca. Resta un mistero il fatto che gli stessi musulmani che accettano una simile “restrizione” nel luogo sacro per eccellenza in Arabia Saudita non ne vogliano invece sapere a Gerusalemme, davanti a quello che è considerato il terzo luogo sacro dell’Islam. Nessuno, neppure tra i più ferventi antisionisti, è riuscito a spiegare perché mai i musulmani che si recano a pregare ad Al Aqsa non dovrebbero accettare una misura di sicurezza utile anche e soprattutto per la loro stessa tutela, a meno che non considerino diritto inalienabile la libertà di far circolare armi e commettere attentati.


L'area del Monte del Tempio in cui sorgono le moschee, a Gerusalemme

Ci ha provato coraggiosamente, per la verità, l’ineffabile Paola Caridi, che in un articolo per il blog “Invisible Arabs” ha scritto che “i palestinesi da anni vedono messa a rischio la loro stessa presenza” e “a gestire i metal detector che immettono sulla Spianata delle Moschee è la potenza occupante, cioè la polizia israeliana”. Siamo alla retorica della peggiore leadership araba, quella cui si è accodato anche un Abu Mazen che nell’occasione è riuscito sorprendentemente a far rimpiangere Arafat: la propaganda che vuole far credere che l’esistenza stessa della moschea di Al-Aqsa sia messa in pericolo dai cattivi sionisti. Dagli ebrei. Occupanti.

Certo, non è facile collegare questa immotivata suggestione alla semplice installazione di metal detector, peraltro ben motivata da due attentati in meno di un mese e dalla dimostrazione che all’interno della Spianata delle Moschee circolano armi. Eppure ci sono riusciti. I fedeli che si sono rifiutati di attraversare i metal detector, preferendo pregare al di fuori, ne sono una preziosa dimostrazione. Esattamente come chi ha scatenato le violenze aderendo all’istituita “Giornata della collera”, un bel modo per onorare il venerdì santo islamico, quasi meglio dei due attentati precedenti. Uccidere in nome dell’Islam, in nome dei metal detector, nonostante persino a La Mecca siano installati anche per prevenire la circolazione di esplosivi. Chi potrà, oggi, solidarizzare con la causa palestinese, giustificando pure l’orribile strage di una famiglia israeliana residente in un insediamento ebraico, sempre in nome dei metal detector?

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Riccardo Ghezzi, direttore dell'Informale


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