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Informazione Corretta Rassegna Stampa
02.05.2017 Com’è riuscito un giovane arabo musulmano a diventare attivista pro Israele?
Yahya Mahamed, un arabo-israeliano che ha capito da quale parte stare per difendere i valori della democrazia

Testata: Informazione Corretta
Data: 02 maggio 2017
Pagina: 1
Autore: Shoshanna Keats-Jaskoll
Titolo: «Com’è riuscito un giovane arabo musulmano a diventare attivista pro Israele?»

Oggi in Italia non escono i quotidiani. IC esce regolarmente con questa storia raccontata da Shoshanna Keats-Jaskoll su Yahya Mahamed, un giovane arabo-israeliano che ha capito da quale parte stare per difendere i valori della democrazia.

Com’è riuscito un giovane arabo musulmano a diventare attivista pro Israele?
di Shoshanna Keats-Jaskoll

A destra: Yahya Mahamed

(Traduzione di Yehudit Weisz)

Metro, blog del Jerusalem Post, riporta la storia di Yahya Mahamed, che dice di aver aperto gli occhi sulla verità riguardo a Israele. Ora, sotto lo pseudonimo di “Zionist Muslim”, lavora con StandWithUs per aiutare gli altri a conoscere, capire.

A volte abbiamo il privilegio di incontrare persone rare e stimolanti, persone le cui esperienze di vita sono così diverse dalle nostre, che a sentirle parlare facciamo nostra una nuova comprensione dello spirito umano, un nuovo modo di vedere le cose, di pensare. Yahya Mahamed è una di queste persone. Alto, scuro e snello, la prima cosa che ci colpisce in lui è il sorriso. E’sincero e disarmante e subito abbiamo la sensazione di aver trovato un amico. Man mano che ci rivela la sua storia, dietro quelle fossette emerge un giovane coraggioso, intelligente, generoso e ricco di humour.

Noi di Metro abbiamo incontrato Mahamed nell’ufficio a Gerusalemme di StandWithUs, un’ONG che si pone l’obiettivo di educare le persone in tutto il mondo su Israele. Questa è la sua storia. “Sono cresciuto a Umm el-Fahm, che per grandezza è la terza città araba in Israele. E’ un posto molto problematico. Il comune è gestito dal Movimento Islamico, i cui membri esercitano il potere su tutto: scuole, servizi, su chi viene assunto ... e sono molto ostili a Israele. Citazioni pro ISIS e svastiche sono presenti ovunque”. “Sono arrivati al potere 30 anni fa, da allora la città è nelle loro mani. Hanno messo fuori legge l'alcool e hanno imposto una politica che impedisse ogni tipo di progresso. Non si prendono cura della città; non pavimentano le strade, non creano campi da gioco nè centri giovanili. Siamo andati avanti per anni senza una biblioteca pubblica...

“Quando la gente chiede strutture che una città dovrebbe avere, il comune incolpa Israele. Si dice che Israele carica di tasse, così tante, che non hanno fondi. “Eppure, chissà perché, pochi giorni dopo la riscossione delle tasse, i funzionari della città hanno delle auto nuove. E’un circolo vizioso che si autoalimenta con una costante corruzione, mancanza di servizi comunali, e indottrinamento anti Israele. Stanno sabotando la città e danno tutta la colpa ad Israele allo scopo di mantenere i cittadini nell’isolamento e senza alternative. “La violenza è la norma in Umm el-Fahm. Spesso i cittadini vengo colpiti da proiettili vaganti. I poliziotti non sono dove dovrebbero essere. Se fossero presenti al posto giusto, ci sarebbe un notevole miglioramento della qualità della vita e della sicurezza per la città. Contribuirebbe anche a far crollare l’idea diffusa che il lavoro della polizia consiste soltanto nell’opprimere i cittadini”. Mahamed è stato educato a percepire Israele come regime malvagio e repressivo.

“Mi ricordo che ero bambino e guardavo la televisione con mia madre. L’unico programma che davano era sulla Palestina, su Israele che opprime la Palestina, israeliani che uccidono arabi, arabi che uccidono israeliani. Nient’altro. Tutto il mio mondo era confinato nel conflitto: a scuola, in televisione, nella comunità. Io ero un arabo e quindi un palestinese. “Ricordo che ad un certo punto, durante un viaggio in Cisgiordania per visitare dei famigliari, avevo notato che noi avevamo una carta d’identità diversa dalla loro. Quella è stata la prima volta che mi sono veramente reso conto di essere israeliano”. “Da bambino, mi era stata data questa illusione: o Israele o la Palestina, ma non entrambi. Israele esisteva solo perché ha rubato la terra ai palestinesi. Non ci hanno mai insegnato la storia ebraica. Non mi hanno dato un’educazione scolastica, mi è stata data solo propaganda. A scuola mi è stato insegnato che Hitler ha fatto una buona cosa e che ha lasciato un piccolo gruppo di ebrei vivi affinché il mondo sapesse perché aveva ucciso tutti gli altri. “Il problema a Umm el-Fahm è che non c'è nessuno che possa dare un punto di vista alternativo. Negli ultimi 30 anni ha regnato solo questa narrativa. Ed è sacra ... Fino al 2011 sono stato molto anti Israele.

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“Nessuno è veramente anti-israeliano, solo non sono in grado di pensare. Semplicemente non gli è permesso. “Le moschee, sono utilizzate per diffondere la loro agenda politica, il venerdì si sente parlare di ISIS”. Alla domanda su come è diventato un musulmano sionista, dice: “Me ne sono andato. Ero in un programma preparatorio per il servizio militare, dove studiavo per diventare meccanico di automobili. Come arabi, non dobbiamo fare il servizio militare, ma lo Stato ci fornisce questi programmi al liceo. Un giorno, sono passato vicino al muro su cui c’era la carta geografica del mondo e cercai di individuare il mio Paese. Ma non c’era. Nella mia scuola israeliana su tutta l’area c’era scritto Palestina. Ho pensato, aspetta un attimo, non è corretto. Anche se mi ero identificato con l'idea ... ma non era vero. L’ho detto al mio amico il cui padre è un ispettore dello Stato e due giorni dopo la carta geografica è stata tolta”. Il suo volto lampeggia quando sorride. “Credo, senza averlo voluto, che sia stato l'inizio del mio attivismo pro Israele”.

Poco prima dell’esame di maturità, Mahamed aveva iniziato a cercarsi un posto di lavoro. Ma le sue opzioni erano limitate perché non gli erano state date basi sufficienti in inglese e in ebraico. “Loro, (il Movimento Islamico) lo fanno apposta, fan di tutto per impedirci di comunicare e, purtroppo, funziona a meraviglia”. Trovò lavoro come aiuto cameriere in un albergo di Tel Aviv, ma ammette che aveva paura di andarci, spaventato dalle cose che gli avevano detto su come lo avrebbero trattato gli ebrei. I suoi timori furono presto fugati quando il direttore lo prese sotto la sua ala protettrice, insegnandogli tutto quel che aveva bisogno di sapere e offrendogli la sua amicizia. “Durante la mia prima settimana, poco prima di Sukkot, stavo aspettando l’autobus, quando mi si avvicina un Lubavitch e con fervore mi spiega quanto sia importante scuotere il lulav (ramo di palma), io sorridendo lo lascio parlare, e quando ha finito, gli dico, sai, io non sono ebreo. Sembrava un po’ triste, ma poi disse: ‘Non importa se sei ebreo o no; ciò che conta è che tu sia una brava persona’. E questo mi ha fatto pensare per tutta la strada fino a Umm el-Fahm. “Ho trovato un amico nel direttore dell’albergo; gli ebrei nell’hotel sono tutti molto cordiali e mi sento bene accetto; e ora questo Lubavitch mi dice che non importa se io non sono ebreo, a patto che io sia una brava persona. Le mie esperienze contraddicevano proprio tutto quel che avevo imparato in tutta la mia vita. Mi era stato detto che gli ebrei pensano di essere il popolo eletto da Dio, il migliore di tutti. Ma a poco a poco, mi sono reso conto che quel che mi era stato insegnato semplicemente non era vero”. Una mattina d’estate del 2014, la notizia che avrebbe cambiato la vita di Mahamed: tre adolescenti ebrei israeliani erano stati rapiti da Hamas.

“Io andai fuori di testa”, ricorda. “Ho iniziato a pensare ai miei amici e se fosse successo a loro. In effetti, poteva succedere a me, perché non importa se arabi o ebrei, siamo tutti israeliani. Ho acceso il computer e cercato delle informazioni. Ho trovato una campagna sui social network, chiamata Bring Back Our Boys, e ho partecipato inviando una foto di me stesso con una bandiera israeliana. E in quel momento è scoppiato l’inferno”. Mahamed ha ricevuto una telefonata da un negoziante di Umm el-Fahm, che gli ha detto di andare alla polizia perché la gente lo stava calunniando con parole molto pericolose. Il suo post era diventato virale e tra i 400 commenti ricevuti su Facebook c’erano numerose minacce di morte. “Ho dovuto lasciare il mio lavoro; mi sono chiuso in casa per due mesi; non ho potuto sostenere l’esame di maturità”. C’è voluto del tempo perché la polizia venisse coinvolta, ma alla fine otto persone sono state arrestate per averlo minacciato di morte. Da quel momento usa una macchina per spostarsi, perché per lui non è sicuro andare a piedi o prendere i mezzi pubblici a Umm el-Fahm. Per Mahamed è importante affermare che molti arabi sono passati attraverso un analogo processo di incontro con gli ebrei, che si sono resi conto che tutto quel che era stato detto su di loro e Israele non è vero, e che in seguito hanno scelto di lasciare le loro comunità. “Bisogna uscire dalla mentalità araba e capire che si è israeliani. Se si riesce a uscire dalla mentalità del ‘Io sono un arabo, il che significa che io sono un palestinese’, ossia dal conflitto di mentalità di essere o / o, allora si entra in una zona di sicurezza”. “La gente odia perchè è limitata mentalmente ”.

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Spesso cercano di “aiutarmi a trovare delle risposte”, dice. Per esempio, nel giorno in cui si commemorava il massacro di Kafr Kassem avvenuto nel 1956, quando i residenti stavano lavorando nei campi inconsapevoli del coprifuoco, sono stati uccisi dai soldati dell’IDF, il suo amico Bassam gli aveva chiesto come potesse sostenere Israele. Yahya ha riconosciuto che ciò che era accaduto a Kafr Kassem era stato un grave sbaglio e poi aveva chiesto a Bassam se lui commemorava anche il massacro di Hebron. “ ‘Quale massacro ?’ ” chiese Bassam. “Gli ho mandato il link di un articolo di Wikipedia e non lo vidi per tre settimane. Quando poi lo rincontrai, era cambiato. Aveva letto l’articolo che gli avevo inviato, e poi un altro, e un altro ancora. Ha letto la storia degli ebrei, andando indietro fino alla conquista romana. Era furibondo di non aver mai studiato questa storia. Da allora, ha lasciato Umm el-Fahm e ora è pro-Israele”. Alla domanda se anche lui vuole lasciare Umm el-Fahm, Mahamed risponde che anche se non è facile rimanere, lui non vuole andarsene. “I problemi sono complessi, ma li possiamo risolvere. Se ogni individuo pensante partisse per andare a Tel Aviv, chi avrebbe portato Tel Aviv a Umm el-Fahm?. Io spazzo via l’odio, letteralmente. Rimuovo i graffiti dell’ISIS, le svastiche, perché rendono cose normali il terrore e l’odio. Abbiamo bisogno di spazzare via l'odio”, dice. “Sto aprendo nuove strade lì. La gente mi chiede dei bambini morti a Gaza. Non si aspettano che dica: 'Sì, è successo, ma lo sapevate che cinque minuti prima Hamas aveva lanciato un razzo?'. Restano sorpresi. Non accettano mai quello che dico la prima volta, ma è un seme, e quel seme crescerà”.

La prima volta che StandWithUs aveva contattato Mahamed via Facebook, lui aveva esitato ad aderire all’organizzazione, fino a quando venne a sapere che il suo sito web ha una pagina in arabo e che quindi raggiunge anche gli arabi. Poi ha deciso di unirsi a loro e dal 2016 fa parte dello staff degli educatori. Quando gli abbiamo chiesto perché lui ha scelto di sostenere Israele, Mahamed dice: “Sono israeliano. Mi piace stare qui. Qui godiamo di pieni diritti. Io credo che Israele non rappresenti la speranza solo per il popolo ebraico, ma per l’intero Medio Oriente”. Yahya ha tenuto conferenze in Finlandia per il Limmud (festival di cultura ebraica), in Texas, con l’organizzazione giovanile del B'nai Brith , e più recentemente, in Sud Africa per la settimana dell’Apartheid israeliano. “Negli Stati Uniti, si sa cosa aspettarsi dal BDS (Movimento per il Boicottaggio, il Disinvestimento e le Sanzioni). Ti vengono incontro con le immagini dei bambini morti, urlano. Il Sud Africa è tutta un’altra storia. Siamo andati con l’Unione Sud Africana degli studenti ebrei, che aveva fatto un accordo con il campus per cui quest’anno la metà della piazza sarebbe stata per quelli del BDS e l’altra metà per noi. Ma quando ci siamo presentati, il Movimento BDS aveva preso l'intera piazza. Stavano rubando i nostri materiali e strappavano i nostri manifesti. Ci siamo ritrovati in uno scontro fisico. Ci aspettavamo delle difficoltà, ma non a questo livello. “Il Sudafrica è la roccaforte del movimento BDS. Usano i termini 'apartheid' e 'razzismo' per giocare sulle emozioni della gente e ottenere una risposta immediata. Poi la sommergono con le menzogne”.

“Una follia” dice. “La gente veniva da me dopo essere stata dalla parte del BDS dicendo: ‘Perché i soldati dell’esercito israeliano stuprano le donne palestinesi?’ Io dico, ‘Aspetta un momento. Ho sentito di demolizioni di case, di arresti, posti di blocco, ma lo stupro? Lo stupro non è comune tra i soldati israeliani e le donne palestinesi, conosco bene i numeri forniti dal COGAT [Coordinatore delle attività di governo nei Territori] e seguo le fonti delle notizie palestinesi, e non ho mai sentito di un incidente del genere. Da dove viene fuori questa roba?’. Avevo un elenco: uccisione di bambini , ah già, … lo stupro …., aspetta, questa è una novità, me la scrivo”. “Poi si parla di Gaza come il luogo più densamente popolato al mondo”, continua, “e io vado sulle mappe di Google e vedo campi deserti”. “La campagna del SAUJS [Unione Sud Africana degli studenti ebrei] è stata chiamata ‘ See Israel for Yourself’ ed è stata incredibile. Noi dicevamo ‘Non ascoltate noi, forse siamo di parte. Non ascoltate loro, perché sono pericolosi. Andate a leggere per conto vostro '”, dice.

“La gente era affascinata per il fatto che io ero lì come un arabo israeliano – la mia presenza ha avuto un impatto enorme. Quelli del BDS avevano sparato raffiche di propaganda. Noi abbiamo passato 45 minuti con le persone rispondendo alle loro domande”. Mahamed tira fuori un video di studenti sudafricani che ringraziavano il suo team per essere stati in un luogo sicuro nel campus, dove avevano potuto chiedere informazioni e ricevere risposte, e dove sono stati incoraggiati a pensare in modo indipendente. Avevano espresso rabbia per tutte le menzogne ricevute e ora invece sostengono Israele. Quando gli abbiamo chiesto quale potrebbe essere la soluzione, Mahamed sorride appena.

“Noi non offriamo soluzioni, educhiamo. Non vogliamo indottrinare, questo è quel che fanno gli altri. Vogliamo soltanto che la gente pensi”. Poco prima che questa intervista andasse in stampa, Mahamed aveva aggiornato Metro su recenti difficili sviluppi. Un video che aveva fatto per StandWithUs è stato ripreso da fonti giornalistiche arabe locali; lo hanno diffuso, dopo aver aggiunto false affermazioni, secondo cui SWU aveva insegnato l’inglese a Mahamed, che lui è pagato dal governo e altre menzogne, incitando odio nei suoi confronti. Nel giro di poche ore, la polizia lo ha contattato e gli ha consigliato di presentare un rapporto alla polizia di Umm el-Fahm e di lasciare la città per la sua sicurezza. La polizia sta indagando, e Mahamed si è trasferito a Gerusalemme. Ha avuto qualche giornata stressante, dice, ma come sempre lui è ottimista.

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Shoshanna Keats-Jaskoll


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