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Informazione Corretta Rassegna Stampa
27.08.2016 Mentre il mondo arabo si sta sgretolando, si creano nuove alleanze
Analisi di Mordechai Kedar

Testata: Informazione Corretta
Data: 27 agosto 2016
Pagina: 1
Autore: Mordechai Kedar
Titolo: «Mentre il mondo arabo si sta sgretolando, si creano nuove alleanze»

Mentre il mondo arabo si sta sgretolando, si creano nuove alleanze
Analisi di Mordechai Kedar

(Traduzione dall’ebraico di Rochel Sylvetsky, versione italiana di Yehudit Weisz)

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Hamas, lo Stato islamico e l’Iran hanno portato a quello che una volta si pensava impossibile. Le numerose sfide che si profilano all’orizzonte rappresentano una minaccia chiara e tangibile per le capacità del mondo arabo di garantire un sistema politico che funzioni.
In cima alla lista ci sono l'Iran, lo Stato Islamico e il deterioramento della situazione del significato stesso di Stato nei Paesi in cui il terrorismo, diffuso dall'Islam , è in aumento. L’anno scorso, con la firma dell’accordo nucleare tra l’Iran e l’Occidente, la sfida iraniana ha ricevuto nuovo impulso e miliardi di dollari, parte dei quali sarà investita nel gettare benzina sul fuoco negli epicentri mediorientali delle stragi e della tensione - Yemen, Iraq, Siria e Libano - in modo che diventi una minaccia diretta nei confronti di alcuni Paesi chiave come l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti.
Inoltre questo accordo renderà ancor più facile all’Iran esportare la rivoluzione in altre parti del mondo, a cominciare dall’Europa e dagli Stati Uniti. La sfida dello Stato Islamico continua a minacciare direttamente la Siria e l’Iraq, ma la sua influenza è in aumento in altri punti focali come la Libia e la Penisola del Sinai.
Anche la Giordania è stata teatro di attività destinate a preparare la popolazione per il giorno dopo la monarchia, quando un regime del tipo Stato Islamico potrebbe arrivare al potere. Per quanto lo Stato Islamico abbia perso del territorio combattendo contro gli eserciti di Siria e Iraq, non è stata per nulla inficiata la sua capacità di seminare terrore e la diffusione della sua propaganda.
La sua sconfitta non è affatto garantita. Il moderno stato arabo - in quanto ideologia ed entità politica - si trova ad affrontare alcune questioni difficili. Molti dei suoi cittadini chiedono perché sono costretti a vivere in Stati creati, disegnati e progettati dall’Occidente che così ha promosso solo i propri interessi. Perché, si chiedono, devono vivere sotto dittature in cui una élite dominante gestisce un governo economicamente e moralmente corrotto?
Internet è la piattaforma principale per esprimere queste opinioni e ospitare un gran numero di persone che prendono parte a un dibattito pubblico che mettere i loro governanti sul banco degli imputati. Nel mondo arabo un numero non trascurabile di persone è giunto alla conclusione che è arrivato il momento di agire contro i propri Stati con la forza, minacce, atti terroristici.
In cima a questa tendenza ci sono la Fratellanza Musulmana e le organizzazioni islamiche politiche che ha generato. Queste organizzazioni usano i social network per organizzare, pianificare, trovare nuovi volontari, inviando in continuazione messaggi in modo anonimo, che escludono la censura dei governi.
Un chiaro esempio di deterioramento della situazione, è il terrorismo di stato istituito a Gaza nove anni fa, nel giugno del 2007, quando un’organizzazione islamica terroristica - Hamas - ha preso il potere su un’area dove vivono oltre un milione di persone e vi ha istituito un’entità che è l’attuazione politica dell’ideologia dei Fratelli musulmani.
Il mondo arabo è paralizzato e incapace di reagire, perché ogni parola contro Hamas viene immediatamente interpretata come pro-Israele e, pertanto, del tutto inaccettabile negli ambienti arabi.
Questa situazione disastrosa è ulteriormente peggiorata quando Stati ricchi e importanti come il Qatar e la Turchia, hanno dato il loro sostegno politico ed economico ad Hamas, mentre l’Iran ha fornito il supporto militare. Nel frattempo, lo stesso fenomeno si sta sviluppando in Libano, dove l’organizzazione terroristica Hezbollah sta prendendo il sopravvento su un intero Paese trasformandolo in uno Stato governato dalle decisioni prese a Teheran, gettando questo Paese in mezzo a una feroce guerra civile che infuria in Siria tra Assad e i suoi nemici.
Questo complesso insieme di eventi ha dominato la scena araba per anni, senza alcuna soluzione all’orizzonte. L’Iran non solo non sta scomparendo, ma la sua influenza si rafforza ogni giorno di più. Anche lo Stato Islamico resiste, nonostante la dichiarazione di guerra che l’Occidente gli ha mosso. Lo stato arabo moderno non appare come una risposta legittima, a causa del terrorismo interno alimentato dall’ Islam.
In passato, gli Stati Uniti avevano rappresentato un fattore di stabilità a tutela dei sistemi politici nella regione, ma poi hanno deciso di fare un passo indietro e  lasciare quest’area pronta a diventare preda dell’Iran, dei jihadisti sunniti, dei turchi e ultimamente anche dei russi, che sono accorsi ​​per garantire i propri interessi.
Purtroppo, quelli che soffrono di più, sono le popolazioni civili che un tempo hanno patito sotto le dittature e che ora si trovano sotto le spade dei jihadisti, per cui in massa cercano rifugio in Europa.

Israele
Finché il mondo arabo versa in questa tragica situazione, Israele ha più possibilità di essere visto quale interlocutore perché non costituisce una minaccia per alcun Paese, tranne per i due mini stati terroristici che sono sorti in Medio Oriente: quello di Hamas a Gaza e quello di Hezbollah in Libano.
Lo Stato Islamico diventerà però un potenziale bersaglio per Israele nell’istante in cui il suo territorio raggiungesse un qualsiasi confine con Israele. Il primo paese arabo a considerare Israele come una soluzione del problema è stato l’Egitto, che condivide le preoccupazioni di Israele nei confronti del terrorismo e dello Stato Islamico, soprattutto quando ha insediato un suo braccio operativo nel Sinai.
L’Egitto di Al Sisi, dal 2013 opera con ostinazione e costanza contro Hamas. Ha chiuso il valico di Rafiah quasi ermeticamente, e ha completamente eliminato il sistema di tunnel che lo collegavano  con Gaza. Quei tunnel non sono stati utilizzati solo per il contrabbando di armi; una volta un intero circo è arrivato a Gaza in questo modo!
Israele sta sostenendo l’Egitto nella lotta condivisa da entrambi i Paesi contro la “Provincia del Sinai” dello Stato Islamico (organizzazione che una volta si chiamava “Ansar Beit al Maqdis” ed era affiliata ad al Qaeda), responsabile delle uccisioni di centinaia di civili e soldati egiziani.
Il risultato è che il Ministro degli Esteri egiziano Sameh Shoukri ha rifiutato di accusare Israele di essere impegnato in attività terroristiche quando combatte contro gli arabi palestinesi. A suo parere, “la storia di Israele lo obbliga a garantire grande importanza alla sicurezza, perché la società israeliana si trova ad affrontare sfide che richiedono rigorosa attenzione alla sicurezza, al controllo del territorio e alla chiusura ermetica di qualsiasi breccia nel suo scudo protettivo”.
La stessa dichiarazione potrebbe essere applicata all’Egitto. Shoukri ha anche osservato che è impossibile accusare Israele di terrorismo poiché non esiste ancora una definizione accettata a livello internazionale del termine“terrorismo”.
Quest’osservazione è in realtà una protesta rivolta contro tutti i Paesi islamici che rifiutano di definire il terrorismo in termini legali, perché se così si facesse, per definizione l’Islam sarebbe il fattore motivante della maggior parte dei terroristi di oggi.
Il governo degli Stati Uniti rifiuta la connessione tra Islam e terrorismo, nemmeno verbalmente.
Questa settimana Israele ha colpito Hamas a Gaza in ritorsione al lancio di un razzo su Sderot, un’aggressione alla sovranità israeliana. La reazione è stata quella che ai suoi nemici piace chiamare “sproporzionata” (sarebbe interessante vedere cosa avrebbero fatto altri Stati se fossero stati colpiti nello stesso modo). Questa volta, però, la reazione è quasi passata inosservata, perché la maggior parte delle persone sane di mente in questo mondo, si rende perfettamente della verità contenuta nelle parole Ministro degli Esteri egiziano. I
l regime turco invece, sembra aver perso parte della sua capacità di pensare razionalmente. Ha accusato Israele di reagire in modo sproporzionato, di violenza inutile, nonostante l’accordo di riconciliazione firmato di recente, tutto questo mentre si utilizza la vecchia e ammuffita retorica del passato, che divideva il mondo in infedeli e credenti. Erdogan non ha ancora capito che oggi il mondo è diviso tra coloro che credono nella distensione politica e quelli che causano problemi, tra questi la Turchia, il Paese che ha giocato il ruolo più importante nel rendere possibile l’ascesa dello Stato Islamico in Siria e in Iraq.
Il trattato di Erdogan con Hamas lo mette dalla parte sbagliata della Storia. Lui, naturalmente, tenta di coprire e oscurare la sua politica islamista rinnovando i legami tra Turchia e Israele, la Russia e la NATO, ma non riesce a nascondere la sua avversione per l’Egitto di al Sisi e, di conseguenza, per Israele, perché entrambi questi Paesi sono un fronte unito contro il terrorismo islamico che lui, Erdogan, sostiene ostinatamente.
Nella situazione attuale, ora che Israele è passato dall’essere il problema a essere la soluzione, i rapporti con Israele hanno cessato di essere un imbarazzo e molti Paesi, sia arabi e non, non negano di avere una sorta di rapporto con l’“entità sionista”.
Altre sfide, quelle vere, minacciano l’esistenza stessa di un ordine politico in Medio Oriente, i Paesi della regione e non solo, capiscono che Israele è il paese su cui contare per la stabilità.
In base a queste considerazioni, è strano che ci sia ancora chi crede che la creazione di uno Stato arabo-palestinese sia un passo positivo e necessario, vista l’inevitabilità che diventi sicuramente una replica di Hamas.

Mordechai Kedar è lettore di arabo e islam all' Università di Bar Ilan a Tel Aviv. Nella stessa università è direttore del Centro Sudi (in formazione) su Medio Oriente e Islam. E' studioso di ideologia, politica e movimenti islamici dei paesi arabi, Siria in particolare, e analista dei media arabi.
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