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Informazione Corretta Rassegna Stampa
07.12.2015 IC7 - Il commento di Giorgio Berruto: Quei carnefici italiani dimenticati
Dal 29 novembre al 5 dicembre 2015

Testata: Informazione Corretta
Data: 07 dicembre 2015
Pagina: 1
Autore: Giorgio Berruto
Titolo: «IC7 - Il commento di Giorgio Berruto: Quei carnefici italiani dimenticati»
IC7 - Il commento di Giorgio Berruto
Dal 29 novembre al 5 dicembre 2015

Quei carnefici italiani dimenticati

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La copertina

“Nella stragrande maggioranza, i partecipanti [alla Shoah] non spararono sui bambini ebrei, non introdussero il gas nelle camere a gas. Certamente un buon numero dovette eseguire questi compiti ‘duri’, ma la maggior parte degli amministratori e degli impiegati non vide l’ultimo, definitivo, radicale anello della catena che collegava tutte le azioni di distruzione. La massa dei burocrati redigeva memorandum, preparava progetti, firmava lettere, comunicava telefonicamente, partecipava a conferenze. Questi burocrati erano in grado di distruggere tutto un popolo restando seduti alle loro scrivanie”.

Sono parole dello storico Raul Hilberg, autore di “La distruzione degli ebrei d’Europa”, dalle quali prende avvio “I carnefici italiani. Scene dal genocidio degli ebrei 1943-1945” di Simon Levis Sullam, recentemente pubblicato per i tipi Feltrinelli. Un contributo che vuole essere “un gesto etico-politico”, oltre che una ricostruzione storica documentata sulla parte decisiva avuta da italiani nel genocidio degli ebrei tra 1943 e 1945.

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Simon Levis Sullam

Italiani hanno partecipato al genocidio degli ebrei nel nostro Paese, talvolta insieme ai tedeschi, talvolta in autonomia, in forme molteplici: dalla fornitura ai tedeschi di liste anagrafiche (che hanno consentito, per esempio, la grande retata del 16 ottobre 1943 a Roma) agli arresti diretti (per esempio nel rastrellamento del 5 dicembre 1943 a Venezia), alla concentrazione (fino al febbraio 1944 il campo di Fossoli, da dove partivano i treni con destinazione Auschwitz, è stato diretto esclusivamente da forze italiane), alle delazioni fino alla violenza, a confische e rapine, all’uccisione persino negli ultimi giorni di aprile del 1945, a guerra ormai terminata. La persecuzione italiana degli ebrei non fu soltanto un’imposizione tedesca, ma anche un progetto genocidario che traeva ampiamente giustificazione dalle leggi razziste del 1938, dal radicato antisemitismo, dai mai sopiti pregiudizi cattolici, dalla costruzione identitaria della neonata Repubblica sociale, che dipingeva gli ebrei come nemico interno in termini di virus da estirpare, dal banale ma non meno criminale opportunismo.

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"La difesa della razza", ovvero la propaganda antisemita in Italia

Levis Sullam pone in primo piano i colpevoli ritardi nello studio dell’opera dei “carnefici italiani”. Mentre il discorso sui “giusti” che salvarono ebrei rischiando la propria vita è diffuso e continuo, anche grazie alla cassa di risonanza della Giornata della Memoria, coloro che compirono il genocidio sono avvolti nell’oblio. “Nessuno fu processato – scrive Levis Sullam – nel dopoguerra per la partecipazione alla politica antiebraica del fascismo: né quella risalente al 1938, né quella della Repubblica sociale italiana […] la persecuzione degli ebrei non venne ritenuta un reato o una colpa specifica, né un’aggravante di altri reati”. La stessa magistratura compromessa, d’altra parte, in larga misura non venne rimossa e, dopo un repentino cambio di casacca, nel dopoguerra continuò a operare indisturbata. Il caso di Gaetano Azzariti è tipico: già presidente del Tribunale della razza, divenne dopo la caduta del fascismo ministro del governo Badoglio e, nel dopoguerra, stretto collaboratore di Togliatti e addirittura presidente della Corte costituzionale. Sulla responsabilità di carnefici, già sminuita e ridotta, l’amnistia di Togliatti cadde infine come una pietra tombale. Nel cimitero della verità, al suo posto, rimase un fantasma, quello degli “italiani brava gente".

Dall’ “era del testimone” siamo passati oggi all’ “era del salvatore”, del “giusto” isolato: non sembra proprio esserci spazio, nella narrativa italiana, per un’ “era del carnefice”. Eppure sarebbe un’operazione fondamentale di maturità, una tardiva ma decisiva assunzione di responsabilità. A lungo, in Italia, ha vinto il colpevole oblio. Oggi, i “carnefici italiani” sono ancora di fronte a noi, in attesa di giudizio.

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Giorgio Berruto


http://www.informazionecorretta.it/main.php?sez=90

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