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Informazione Corretta Rassegna Stampa
13.10.2014 Il commento di Fiona Diwan
Dal 5 all'11 ottobre 2014

Testata: Informazione Corretta
Data: 13 ottobre 2014
Pagina: 1
Autore: Fiona Diwan
Titolo: «Il commento di Fiona Diwan»

Il commento di Fiona Diwan
Dal 5 all'11 ottobre 2014

UNO SCANDALO CHIAMATO SORBONA E THE LANCET, ovvero dell’antisemitismo accademico e scientifico.
Un altro figlio della propaganda islamo-palestinese?


La Sorbona                   The Lancet

 

 Le due notizie corrono parallele e vale la pena riprenderle insieme per la portata dei fatti e l’ambito accademico in cui si sono svolti, che lascia increduli e senza parole. E’ accaduto alla Sorbona, nella più prestigiosa e antica università di Francia, Facoltà di Giurisprudenza; e accade, parimenti, sulle pagine web della più illustre rivista scientifica e medica del mondo, The Lancet. Ecco i fatti. Tre giorni fa uno studente ebreo si presenta davanti agli stand del “Salone Erasmus” alla Sorbona, in cerca di una partnership con delle università israeliane, nella speranza di compiere laggiù parte del percorso di studi all’estero richiesto dallo stesso ateneo francese (il Salone Erasmus viene organizzato in ottemperanza al programma di mobilità che prevede un soggiorno curricolare all’estero degli studenti). Sorpresa: si vede immediatamente proporre uno stage all’università palestinese di Birzeit e nessuna partnership con università israeliane, nemmeno quelle di eccellenza come il Technion, Bar Ilan, la Hebrew University di Gerusalemme, quelle di Tel Aviv o Ber Sheva... Il ragazzo è incredulo, chiede di guardare meglio sul video, la pagina web Medioriente-università-Sorbona… nulla, nessun accenno a Israele. Ignorate le punte di diamante della ricerca scientifica e tecnologica, nessuna partnership con atenei che sono il terreno fertile di tanti premi Nobel, ignorato il fatto che le università israeliane intrattengano rapporti con quasi tutti i grandi templi del sapere universitario…
Tutti meno la Sorbona. Partito preso? Negligenza? Boicottaggio? Certo, la spia di un ostracismo praticato ma non dichiarato, e tanto meno reso pubblico, sembra evidente. Incredibile, pensa il ragazzo, e subito lancia sui social network una mobilitazione contro l’Università parigina (la storia la trovate sul sito Europe-Israel riportato da www.DESINFOS.com). Attualmente non sappiamo ancora come andrà a finire la faccenda e che tipo di risposta incontrerà l’appello del ragazzo. Di certo, l’episodio la dice lunga su una Francia ormai ostaggio dell’ipocrisia del polically correct e sedotta dal bon ton di un multiculturalismo senza ebrei. Una Francia preda di banlieu islamizzate pronte alla guerriglia urbana, ostaggio di una società civile che ha conosciuto l’infamia del caso Halimi e dove perfino un regista come Roman Polanski ha sentito il bisogno - con un film al primo ciak sul Caso Dreyfus - di ricordare uno degli episodi criminali della sua storia recente, sollecitando così la Francia a guardarsi nello specchio del passato. Un Paese da cui gli ebrei fuggono sempre più precipitosamente e che giovani come le mie figlie, oggi, stentano a credere sia stato la culla dei diritti dell’uomo, della democrazia e dell’universalismo, di un pensiero che di illuministico sembra non avere più nulla. Un Paese dei lumi spenti. Che dire di un antisemitismo intellettuale e accademico che sfrutta un consenso facile e già rodato, quello degli eterni paladini delle cause più mediaticamente redditizie?
Qualcosa di ancora più grave è accaduto con il mensile anglosassone The Lancet, tribuna eccelsa di dibattito e scoperte medico-scientifiche. La vicenda è complicata e proverò a riassumerla. Il direttore di The Lancet, Richard Horton, pubblica il 19 agosto una lettera calunniosa in cui si criminalizza Israele, accusandolo di atrocità di guerra e misfatti contro l’umanità. I firmatari del documento (arrivati oggi a 20 mila persone) reclamavano a gran voce un boicottaggio di Israele, ivi incluse le sue Università. La lettera non faceva menzione né della pioggia di razzi, né dell’uccisione dei tre ragazzi in Cisgiordania, e ometteva di parlare dei tunnel e di dire che il quartier generale di Hamas fosse situato nell’ospedale Shifa a Gaza.
A questo punto la polemica esplode: la generale levata di scudi del mondo scientifico contro l’evidente faziosità della lettera fa vacillare Horton che tuttavia si rifiuta di rimuovere dal sito il documento (lo potrete trovare ancora postato sul sito della rivista), rifiutando persino di pubblicare la replica dei medici israeliani del Rambam Medical Center di Tel Aviv confutante le accuse. Lo scandalo monta, e Horton si decide ad accettare obtorto collo l’invito in Israele del Rambam (l’istituzione lo sollecita a toccare con mano e verificare di persona il clima e la realtà sociale-scientifica dello Stato ebraico). Una volta in Israele, Horton si decide a condannare lo stile eccessivo della lettera ma, al suo rientro, non la espunge ancora dal sito.
A nulla valgono le proteste, tra cui quella del professor Gerald Steinberg, direttore della Ong Monitor che denuncia con nomi e cognomi alcuni autori della lettera, accusandoli tra l’altro di aver diffuso un video in cui si diffondono i soliti clichè complottisti contro gli ebrei, si parla di minaccia ebraica per il pianeta e che c’è Israele dietro all’attentato della maratona di Boston. Oggi, una petizione di novemila scienziati di tutto il mondo chiede la testa di Horton e le sue dimissioni immediate dalla direzione di The Lancet. Ma, di fatto, non sappiamo come la vicenda andrà a concludersi.
Al di là dei toni, viene da chiedersi perché la comunità scientifica e medica israeliana abbia sentito così impellente il bisogno di invitare Horton, un individuo che accetta di ospitare un’apologia di antisemitismo sul giornale che dirige non è degno di venire in Israele (su Haaretz del 3 ottobre potrete leggere l’intero resoconto della sua visita in Israele). Forse perché The Lancet è stata davvero una grande rivista. Forse perché è forma di rivolta contro veleni e malafede. O perché l’offesa era troppa. Certo, l’atteggiamento, come ha sottolineato qualcuno, è sembrato somigliare a una curiosa versione accademica della sindrome di Stoccolma. Tradendo un’amara, sostanziale incapacità da parte israeliana: quella di percepire nel profondo che l’odio europeo verso gli ebrei non riesce a morire perché viene da molto più lontano. Un odio che nulla ha a che vedere con quello che Israele dice o fa. Abbiamo la Francia a ricordarcelo, con le sue cronache quotidiane.


Fiona Diwan, direttrice del "Bollettino" della comunità ebraica di Milano 


http://www.informazionecorretta.it/main.php?sez=90

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