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Dobbiamo prepararci alla guerra, quella vera (Traduzione dall'ebraico di Rochel Sylvetsky, versione italiana di Yehudit Weisz, Dror Peleg) In questi giorni i media ci hanno informato sulla preparazione a livello internazionale di una guerra contro lo “Stato Islamico”, mentre a Parigi si è svolta una Conferenza per aggregare più Paesi in grado di affrontare questa nuova guerra. Nel frattempo l’aeronautica militare americana ha intensificato gli attacchi contro i combattenti dell’ISIS, soprattutto in vicinanza delle dighe nel Nord dell’Iraq, per impedire che vengano fatte saltare causando migliaia di morti tra i civili. Abbiamo poi ascoltato un discorso breve e risoluto del Presidente Barack Obama, in cui si esprimeva con toni che raramente aveva usato prima, paragonabili con quelli del suo predecessore, George W.Bush. Non ho ascoltato tutti i discorsi di Obama, ma in quelli che ho seguito, l’espressione “nostri amici e alleati” era davvero molto rara. Bush invece, parlando di guerra al terrorismo, la usava sempre. Questa deriva retorica è allora il riflesso di un approccio diverso da parte del Presidente americano? Non ne sono sicuro. In questo discorso Obama ha più volte ripetuto che il governo iracheno è un alleato degli Stati Uniti. Già nell’introduzione ha detto che “gli Stati Uniti non possono fare per gli iracheni ciò che devono fare per se stessi”. Nell’Ucraina orientale c’è un’altra guerra e la Russia ne è protagonista. Non partecipa alla guerra contro lo “Stato Islamico”, per cui molti Paesi europei non aderiscono alla coalizione di Obama contro Abu Bakr Al Baghdadi e i suoi jihadisti. Vi sono poi questioni regionali connesse alla guerra contro lo “Stato Islamico”, tra le quali il ruolo che sarà assegnato all’Iran e al regime di Assad, che hanno forti interessi per voler far parte dell’alleanza. L’Iran si attende un guadagno daicontrolli più facili sul materiale nucleare e Assad si aspetta di ottenere una “polizza di assicurazione” contro le imputazioni e la destituzione, sebbene sia stato dichiarato “criminale di guerra”. L’occidente non è molto incline a garantirgli questa “polizza di assicurazione”, e lui ha già annunciato che qualsiasi attività militare di un Paese straniero sul territorio e sui cieli siriani sarà considerata un atto di ostilità contro la Siria, cui lui risponderà adeguatamente. Il problema maggiore a questo punto non è la Siria, ma la Russia, poiché qualsiasi incursione sul territorio siriano da parte delle forze della coalizione sarà una scusa per la Russia, che si comporterà nello stesso modo in Ucraina. Un altro problema che potrebbe interferire con la guerra contro lo “Stato Islamico” è una possibile reazione radicale da parte dei musulmani sparsi in tutto il mondo, contro questa guerra e coloro che la sostengono. Negli ultimi mesi in molti Paesi sventola la bandiera nera dell’ISIS, i cui successi nella guerra contro gli eretici di Iraq e Siria infondono nei cuori dei musulmani di tutto il mondo un senso di euforia, che li porta a identificarsi con lo “Stato Islamico” e i suoi obiettivi, in particolare il Califfato Universale. La guerra che oggi si sta svolgendo contro lo “Stato Islamico” è un “déjà vu” del tempo della guerra contro al-Qaeda in Afghanistan a partire dalla fine del 2011. Molti degli elementi che avevano caratterizzato la guerra di allora, sono presenti in quella di oggi, per cui possiamo supporre che questa guerra contro lo “Stato Islamico” fallirà, esattamente come fallì quella contro al-Qaeda. Milioni di musulmani sono convinti che l’islam possa e debba governare il mondo. La convinzione che la guerra del jihad sia un’arma legittima per raggiungere il controllo del mondo è ancorata nella storia dell’islam e nella biografia di Maometto. La convinzione che un musulmano debba vendicarsi in nome di Maometto contro qualunque infedele che osi soltanto alzare una mano contro un musulmano è parte integrante dell’islam. Questo potrebbe essere lo scenario in Africa per mano dell’organizzazione “Boko Haram”, nel deserto del Sahara sostenuto dagli jihadisti libici, o nel Sinai sponsorizzato dai macellai di Ansar Bait al-Maqdis. La guerra contro i difficili principi islamici non è vincolata al tempo e allo spazio. E’ come il genio che, una volta uscito, non si riesce più a far rientrare nella bottiglia. Nei Paesi occidentali l’immigrazione islamica mina dall’interno la stabilità dei governi, con il controllo islamico dello spazio pubblico, della politica, dell’economia, e dei media con il pretesto del “politicamente corretto”. Mordechai Kedar è lettore di arabo e islam all' Università di Bar Ilan a Tel Aviv. Nella stessa università è direttore del Centro Sudi (in formazione) su Medio Oriente e Islam. E' studioso di ideologia, politica e movimenti islamici dei paesi arabi, Siria in particolare, e analista dei media arabi. http://www.informazionecorretta.it/main.php?sez=90 |
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