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Informazione Corretta Rassegna Stampa
28.07.2014 IC 7 - Il commento di Stefano Magni
dal 20/07/2014 al 26/07/2014

Testata: Informazione Corretta
Data: 28 luglio 2014
Pagina: 1
Autore: Stefano Magni
Titolo: «Il commento di...»
Il commento di Stefano Magni
Dal 20/07/2014 al 26/07/2014

“Riaprire i campi … subito!” “No, non è una provocazione”. E’ l’ex consigliere di Rifondazione Comunista di Teramo, Lanfranco Lancione, che parla. Sulla sua pagina Facebook, con l’avatar di Che Guevara quale immagine del suo profilo, giusto per essere chiaro, posta una foto in bianco e nero dei cancelli di Auschwitz. Il partito di Rifondazione Comunista prende le distanze, afferma che Lancione, nel 1998, sia passato col PdCI di Cossutta, dopo la scissione in casa comunista. Interessa meno a quale partito appartenga. Lancione è solo uno dei tantissimi esempi di odio gratuito nei confronti del popolo ebraico, moltiplicatisi da quando è scoppiato il nuovo conflitto a Gaza. Come già ampiamente detto e documentato su queste colonne, l’Europa sta rapidamente tornando ad essere un luogo molto pericoloso per gli ebrei. Gli anti-sionisti, come il comunista che vuol riaprire i lager nazisti, continuano a nascondersi dietro al solito distinguo: siamo anti-sionisti, non antisemiti. Eppure proprio quel post, così chiaro nei suoi intenti, svela quanto antisemitismo puro (e non solo anti-sionismo) si celi dietro a queste “proteste” filo-palestinesi. Leggiamo infatti che: “Forse una visione meno faziosa della storia (quella vera, non quella che vi hanno raccontato) potrebbe aiutare tutti. I nazisti furono solo il ‘terminale’ di una vicenda che coinvolse tutta l’Europa. Gli ebrei erano invisi a tutti i governi europei. I russi li cacciarono, i francesi ne fecero quel che ne fecero, gli italiani cominciarono a trattarli come meritavano dal 1933, gli inglesi non li vollero accogliere sul loro territorio. Poi la Germania perse la guerra e fu fin troppo facile trovare il colpevole. Per il resto la propaganda ha fatto il suo mestiere e il ‘popolo eletto’ ora domina il mondo!”. È bene riportare e imparare per intero questo ragionamento contorto, ricco di date e dati sbagliati, dove non si capisce nemmeno se Lancione scherza o fa sul serio, se dà ragione ai nazisti o torto a tutti gli altri. È bene impararlo, perché vale meglio di mille discorsi ipocriti. In Europa occidentale sono in 79 milioni che la pensano come Lancione (dati della Anti Defamation League), smaccatamente antisemiti. C’è dunque una popolazione pari all’intero numero di abitanti di una nazione grande quanto la Germania, un quarto dell’Europa occidentale, che pensa che gli ebrei “se tutti li perseguitavano, una ragione ci doveva pur essere”. Oppure che “Gli ebrei hanno avuto Israele come risarcimento dell’Olocausto, ma solo se si comportano bene. Altrimenti, come glielo abbiamo dato, così glielo possiamo togliere di nuovo”. La guerra è solo un pretesto, lo si può facilmente dedurre da alcuni numeri. I media anti-israeliani parlano di “genocidio” quando a Gaza si è raggiunta la soglia di 1000 morti (statisticamente, un conflitto diventa “guerra” quando i morti sono almeno 2000). Mille morti, in 20 giorni di conflitto, in un’area densamente popolata, abitata da 2 milioni di persone, sono la dimostrazione che Israele sta combattendo con le mani legate. Con le armi di cui dispone, un bombardamento indiscriminato su 2 milioni di civili avrebbe infatti potuto provocare vittime nell’ordine delle centinaia di migliaia. Per rendere l’idea, il bombardamento britannico di Dresda del 1945, un attacco indiscriminato su civili, provocò 25mila vittime (secondo le stime più attendibili del 2010) in una sola notte, su una popolazione che era circa 642mila abitanti, poco più di un quarto di quella di Gaza. Fra questi 1000 morti a Gaza, secondo le prime stime, l’82% delle vittime è di sesso maschile, il 50% dei quali ha un’età compresa fra i 18 e i 28 anni, l’età giusta per portare armi. Il 16,2% (sempre dei maschi uccisi) è costituito da persone fra i 28 e i 38 anni di età, sempre il periodo giusto per portare armi. La percentuale dei bambini (fra gli zero e i 10 anni di età) è relativamente bassa, meno del 10% del totale dei maschi uccisi. Dato che Hamas non ha un esercito regolare, né un’uniforme ben identificabile, è ancora impossibile distinguere fra vittime civili e vittime militari. Considerando la composizione di sesso ed età dei caduti, è comunque ampiamente prevedibile che le vittime militari siano circa il 60-70% del totale. Di conflitto si tratta, non di un “genocidio”: non è un omicidio sistematico di appartenenti ad un’etnia, dove la percentuale delle vittime civili sfiorerebbe il 100% del totale e la proporzione di donne e bambini sarebbe superiore al 50%. Per creare l’immagine di un genocidio, che non esiste, si deve ricorrere a salti mortali informativi. Oltre a ignorare tutte le azioni militari di Hamas, si deve cancellare, ad esempio, lo sforzo compiuto quotidianamente dall’Idf per evitare vittime collaterali. Le forze armate israeliane fanno a Gaza quel che dovrebbe fare una protezione civile locale: mandano avvisi (prima un sms, poi un colpo d’avvertimento) perché la popolazione civile scappi dall’edificio che sta per essere colpito. È un fatto risaputo e documentato, riportato anche dai telegiornali italiani. Perché ignorarlo? Perché ci si ostina a vedere il conflitto di Gaza come un massacro indiscriminato di civili? La guerra è solo un pretesto, lo si deduce anche da come vengono impostati i timoni di Tg e quotidiani. A Gaza si sono appena raggiunte le 1000 vittime. Nella stessa regione del mondo, in Siria sono stati uccisi 160mila cittadini, quelli sì in gran parte civili. E non siamo affatto in una fase di stanca: le truppe governative, dopo aver ripreso il controllo delle province occidentali, sono ora alle prese con i ribelli nel Nord-Est del paese, rafforzatisi dopo la vittoria dell’Isis in Iraq. Ed è appunto incredibile come si ignori la guerra civile irachena, il vero macro-fenomeno mediorientale. In Iraq c’è un intero esercito jihadista, l’Isis, che ha conquistato il potere su gran parte del Paese e ha proclamato (per la prima volta dal 1923) un Califfato islamico. Da questo evento, più unico che raro, potremmo attenderci sviluppi di qualunque genere. E, in fatto di numeri, il conflitto civile iracheno ha già comportato la morte di circa 3000 persone in appena un mese e mezzo. In quel caso si può iniziare a temere un genocidio, senza virgolette, nel vero senso del termine: i cristiani, le cui case sono contrassegnate con una “N” (Nazareno) rischiano la morte se non si convertono (o non fuggono in tempo). Eppure si parla di Gaza, solo di Gaza. Il musicista Peter Gabriel, il regista Ken Loach e altri 21mila Vip e cittadini comuni britannici non chiedono al premier Cameron di intervenire in Iraq. Gli chiedono, semmai, di imporre l’embargo su Israele. Le compagnie aeree europee e americane, l’embargo lo hanno già deciso: per alcuni giorni, voli sospesi per Tel Aviv. Ma anche qui: i boicottaggi ci sono da mesi, da tempi non sospetti. L’Italia aveva annunciato a giugno di mettere nella lista nera le imprese israeliane nei “territori occupati” (uniche produttrici di posti di lavoro e salari fra i palestinesi locali) d’accordo con Gran Bretagna, Spagna, Francia e Germania. La guerra è solo un pretesto, lo si deduce anche da come, bruscamente, la memoria si sia bruscamente resettata e fatta ripartire all’8 luglio. Prima di quella data, l’inizio dell’operazione militare israeliana Protective Edge su Gaza, tutti gli eventi sono stati cancellati, rimossi dalla coscienza, hanno smesso di far discutere. Dimenticato il rapimento e il barbaro assassinio di tre ragazzi ebrei, studenti di una scuola rabbinica, che nulla c’entravano col governo Netanyahu, né con l’esercito. Dimenticata la pioggia crescente di razzi che da Gaza andavano a colpire le città israeliane, giorno dopo giorno, senza tregua. Dimenticata la guerra del 2012. Dimenticata la guerra del 2008 e le sue cause. Dimenticato il massacro di Al Fatah a Gaza ad opera di Hamas, nel 2007. Dimenticato il rapimento di Gilad Shalit, da parte di Hamas, avvenuto nel giugno 2006 e terminato con il suo rilascio solo tre anni dopo. Dimenticato, soprattutto, il ritiro israeliano nel 2005, premessa alla vittoria di Hamas alle elezioni dell’anno successivo: un’occasione di autogoverno dei palestinesi, finita subito in guerra. Questo “dettaglio” non lo ricorda nessuno di quelli che predicano: “non si deve fare la guerra, serve una soluzione politica, si deve rispettare il principio dei due popoli in due Stati”. Ebbene: eccoli lì i due popoli in due Stati, Gaza era proprio una prova generale di come avrebbe funzionato questa soluzione. E i risultati sono sotto gli occhi di tutti. In questi giorni si narra la guerra solo come un bombardamento unilaterale israeliano su civili e si giustificano persino i tunnel, scavati da Hamas per raggiungere il territorio israeliano, costati milioni di euro (forniti dai contribuenti europei?), la prova del nove della loro volontà di compiere incursioni in profondità nello Stato ebraico. Sì, vengono giustificati pure questi, con argomenti sensazionalisti come: “Se gli israeliani chiudono i palestinesi in un grande lager, è normale che questi scavino tunnel per fuggire”. Fuggire armati, in territorio nemico? E intanto a Lille, nel Nord della Francia, una squadra di calcio israeliana è stata aggredita dal pubblico islamico, a calci e pugni. Da due settimane i sobborghi di Parigi sono diventati teatro di sommossa degli immigrati musulmani. Nel sobborgo di Sarcelles, chiamato la “piccola Gerusalemme” per la sua numerosa comunità ebraica, decine di vandali, infiltrati in una manifestazione filo-palestinese, hanno iniziato a dar fuoco ai cestini della spazzatura, a distruggere auto parcheggiate e poi a lanciare razzi e bombe molotov, contro la polizia e le proprietà dei locali. Negozi di cibo kosher, ristoranti e una casa funeraria sono stati danneggiati e saccheggiati da scalmanati che insultavano Israele. “Non avevamo mai visto una violenza simile a Sarcelles – assicurava il sindaco François Pupponi – questa mattina (dopo l’aggressione, ndr) la gente è stordita, la popolazione ebraica è intimorita”. Non si tratta del primo caso. Sabato scorso, a Parigi, un’altra manifestazione per Gaza è andata fuori controllo ed è finita in scontri con la polizia. È sempre lo stesso copione dopo l’assalto dato alla sinagoga del quartiere Marais, il distretto ebraico di Parigi, lo scorso 13 luglio. In quella occasione, gli estremisti avevano attaccato di sabato, quando la sinagoga era piena di fedeli. Nello scontro che ne era seguito, tre ebrei erano rimasti feriti. Non si attaccano sedi diplomatiche israeliane, o obiettivi israeliani, da notare: vengono attaccate le sinagoghe, le comunità ebraiche e le loro proprietà. Si invita al boicottaggio di aziende direttamente o indirettamente controllate da ebrei, ovunque essi risiedano. E si svela l’arcano: si parla solo di conflitto a Gaza (e non dell’apocalisse che c’è attorno) perché sono coinvolti gli ebrei. Si parla del conflitto in termini di “genocidio”, perché a combattere sono gli ebrei. La questione che infiamma i musulmani d’Europa e i loro simpatizzanti occidentali, è sempre la questione ebraica. E allora, a costo di risultare noiosi e di ripeterlo un’altra volta, l’Anti Defamation League ha misurato l’antisemitismo con un sondaggio effettuato in tempi non sospetti, ben prima del conflitto a Gaza. A rispondere in modo decisamente antisemita sono il 69% dei greci, il 45% dei polacchi, il 44% dei bulgari, il 41% degli ungheresi, il 37% dei francesi, il 36% dei lituani, il 35% dei rumeni, il 33% dei croati, il 29% degli spagnoli, il 28% degli austriaci, il 27% dei tedeschi. E il 20% degli italiani. Fra cui anche l’ex consigliere comunale che vorrebbe riaprire i campi di sterminio. I motivi dell’odio, stando alla domande e alle risposte del questionario dell’Anti Defamation League, sono sempre gli stessi: si dà per scontato che gli ebrei abbiano uno smisurato potere economico e culturale, siano capaci di condizionare finanza e governi, controllare i media e la cultura, distorcere la storia e guidare gli Usa stando nell’ombra. All’aumentare della crisi economica, aumenta anche l’antisemitismo, come era avvenuto negli anni ’30. Non a caso, il paese più in crisi, la Grecia, è anche quello che registra il tasso di antisemitismo più impressionante. È questo il vero problema. La guerra è solo un pretesto: per scatenare un odio che c’è già e cova sempre sotto le ceneri.


Stefano Magni

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