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Informazione Corretta Rassegna Stampa
14.07.2013 Hezbollah e le stragi in Siria: gli intrecci con il Libano
Analisi di Mordechai Kedar

Testata: Informazione Corretta
Data: 14 luglio 2013
Pagina: 1
Autore: Mordechai Kedar
Titolo: «Hezbollah e le stragi in Siria: gli intrecci col Libano»

Hezbollah e le stragi in Siria: gli intrecci col Libano
Analisi di Mordechai Kedar

(Traduzione dall’ebraico di Sally Zahav, versione italiana di Giovanni Quer) 

Martedì 9 luglio alle 10:15 è scoppiata un'autobomba nel quartiere sciita "Dahieh", a sud di Beirut, quartier generale di Hezbollah. L'obiettivo era probabilmente il "Centro di Cooperazione Islamica" nel quartiere di Bir el-Abed, dove hanno sede varie organizzazioni affiliate a Hezbollah. L'attentato doveva forse colpire un alto grado di Hezbollah, ma il fatto che l'attentato sia avvenuto il primo giorno di Ramadan può far pensare che l'obiettivo forse colpire gli sciiti proprio all'inizio delle festività.

Benché nessuno ci creda veramente, i primi ad esser stati incolpati dell'attentato sono stati gli israeliani: un deputato libanese di Hezbollah ha fatto il solito discorso in parlamento accusando Israele "di aver le mani macchiate del sangue delle vittime". Sanno tutti che i responsabili dell'attentato possono essere alcuni gruppi attivi che combattono in Siria: Jabhat al-Nusra (Il Fronte di Difesa del Popolo della Grande Siria), organizzazione sunnita salafita che combatte in Siria contro Assad; il libero esercito siriano, in opposizione a Jabhat al-Nusra che opera in linea con al-Qaeda; gli uomini di Shekh Ahmed al-Asir, salafita di Sidone; oppure sunniti di Tripoli che sono scoppiati di gioia alla notizia dell'attentato a Beirut. Ciononostante, l'attentato è stato condannato da tutte le forze politiche libanesi, compresi gli oppositori di Hezbollah, che non vogliono attirare su di sé il sospetto per timore di possibili vendette che potrebbero innescare un'altra guerra civile come quella che ha lacerato il Libano tra il 1975 e il 1989. Anche Saad al-Hariri, il primo oppositore di Hezbollah, ha condannato l'attentato, definendolo un atto contro tutti i libanesi senza distinzione religiosa e invitando le varie fazioni a non farsi coinvolgere dagli scontri regionali, in cui Hezbollah gioca un ruolo centrale—tra Iran e il mondo sunnita e tra Assad e i ribelli siriani.

Ci sono altre analisi che vedono nei sauditi wahhabiti i responsabili dell'attentato, diretto contro gli sciiti considerati eretici da combattere con la jihad. Altri sostengono che è il Qatar responsabile dell'attentato, parte della lotta contro la crescente egemonia iraniana nella regione. Infine c'è anche chi si chiede "chi voleva colpire l'autobomba piazzata da Hezbollah proprio nel suo quartiere?". Inoltre, anche all'interno del mondo sciita c'è chi si oppone ad Hezbollah, in particolare la figura di Muhammad Ali al-Husseini, capo dell'organizzazione "Consiglio arabo-islamico", dall'orientamento arabo e pan-islamico. In contrapposizione con le visioni di Hezbollah, secondo al-Husseini solo la stabilità politica di uno Stato moderno può garantire prosperità e convivenza di diversi gruppi religiosi; inoltre, proprio in funzione anti-iraniana, al-Husseini ritiene che ogni buon musulmano dovrebbe accettare e rispettare le leggi del Paese in cui vive per impedire alle potenze straniere di influenzare le politiche arabe—una versione islamica del principio ebraico "la legge dello Stato è legge" (dina demalkhuta dina, in aramaico) e del cristiano "a Cesare quel che è di Cesare, a D-o quel che è di D-o". Al-Husseini ritiene infine che la politica tribale e l'esistenza di milizie armate secondo le affiliazioni etno-religiose siano la fonte dei problemi che lacerano il mondo arabo. Per le sue posizioni al-Husseini è una figura stimata in tutto mondo arabo, finanche dall'Arabia Saudita sunnita wahhabita e dallo stesso Nasrallah, leader di Hezbollah, che non lo vede come una minaccia proprio perché non ha una milizia armata.

La più feroce opposizione a Nasrallah viene comunque dall'interno di Hezbollah, per il coinvolgimento dell'organizzazione nella guerra civile siriana. Le madri dei soldati di Hezbollah in Siria hanno chiesto a Nasrallah di far ritornare a casa i loro figli, che si sono arruolati per combattere Israele e i sionisti, non per distruggere la Siria. La posizione delle madri di Hezbollah rappresenta un principio di cambiamento che sta attraversando l'organizzazione, per via delle centinaia di vittime di Hezbollah in Libano, sacrificatesi per mantenere Assad e gli eretici alawiti al potere senza vedere un fine a questa guerra, e per via del timore che Assad perda la guerra contro i jihadisti e i salafiti, nel qual caso Nasrallah sarebbe il primo obiettivo dei vincitori.

Il padre di Assad, Hafez, era solito dire che siriani e libanesi sono un unico popolo diviso in due Stati che non hanno bisogno di ambasciate o riconoscimenti ufficiali; sotteso a queste parole c'era un messaggio chiaro, per cui Hafez Assad non riconosceva il Libano come entità statuale indipendente e legittima, istituita dai francesi per creare un'enclave cristiana nel Medio Oriente. Hafez considerava il Libano, La Giordania e anche la Palestina, come entità artificiali che facevano parte della Grande Siria, e si sentiva legittimato a fare del suo popolo e dei libanesi quel che voleva.

Il figlio di Hafez, Bashar, dopo l'assassinio del Primo Ministro libanese Rafiq Hariri nel febbraio 2005, si è affrettato a riconoscere il Libano, aprendo un'ambasciata siriana a Beirut, pur agendo nella convinzione che il Libano appartenga alla Siria in tutto e per tutto. I rapporti tra i due Paesi si sono talmente rafforzati che Hezbollah manda il suo esercito ad appoggiare le forze siriane di Assad ormai stremate in conseguenza della guerra, che ha generato un numero di rifugiati pari a un quinto della popolazione libanese. L'intreccio politico e sociale di Siria e Libano avrà conseguenze anche sulla stabilità interna, poiché la guerra civile siriana si estenderà anche al Libano.

Il regime di Assad è sempre più precario, nonostante qualche vittoria tattica come ad al-Qusayr due mesi fa. A Homs la guerra è senza quartiere, e molte parti della città, la terza in grandezza della Siria, sono ridotte a cumuli di macerie. Nella città portuale di Laodicea (Ladhaqiya in arabo) è stato fatto un enorme attentato alla base militare, che ha danneggiato il deposito di armi, compresi missili antiaerei e missili aria-terra. Quale ne sia il responsabile, l'attentato—si pensa che i responsabili potrebbero essere il Libero Esercito Siriano, l'organizzazione Jahbat al-Nusra, Stati confinati come Turchia o Israele, oppure un attacco proveniente da una nave americana o un attacco missilistico originato da molto lontano—dimostra che la Siria è nel mirino di chi vuole impedire che Assad si rafforzi o che le armi finiscano in mano ai terroristi.

Nessuno è felice di appoggiare i ribelli, che ricordano troppo al-Qaeda, armata dagli occidentali in funzione antisovietica e trasformatasi poi in un'organizzazione anti-occidentale, e anti-americana in particolare. Tuttavia se si deve scegliere chi colpire tra il regime di Assad, tentacolo degli iraniani, e i jihadisti, è preferibile colpire l'asse Iran-Siria-Hezbollah, perché è l'Iran che ha il nucleare. I jihadisti possono essere attivi nel terrorismo internazionale, ma non avranno mai la capacità distruttiva degli iraniani. L'Iran nucleare farebbe vacillare la stabilità della regione, rappresentando una minaccia senza precedenti per l'Arabia Saudita e per i Paesi del Golfo, dopo aver già soggiogato l'Iraq e intendendo ora dominare anche l'Afghanistan una volta che gli occidentali si saranno ritirati. La caduta di Assad rappresenterebbe un duro colpo per gli iraniani nella loro corsa verso l'egemonia regionale, quindi l'interesse occidentale a far cadere Assad è superiore al timore dei possibili attentati che i terroristi potranno fare.

Da quanto sta accadendo in Libano si arriva ad un'unica conclusione: il mondo civilizzato deve liberarsi dell'asse Assad-Hezbollah-Iran anche pagando il prezzo del sostegno ai jihadisti, di cui ci si dovrà occupare più avanti. E in questo scenario auguriamo "Ramadan karim" all'intera umma islamica, e in particolare a quanti di essa vogliono la pace.

Mordechai Kedar è lettore di arabo e islam all' Università di Bar Ilan a Tel Aviv. Nella stessa università è direttore del Centro Sudi (in formazione) su Medio Oriente e Islam. E' studioso di ideologia, politica e movimenti islamici dei paesi arabi, Siria in particolare, e analista dei media arabi.
Link:
http://eightstatesolution.com/
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