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Informazione Corretta Rassegna Stampa
10.03.2010 La manipolazione dei media quando parlano del conflitto mediorientale
L'analisi di Daniel Seaman riportata da Emanuel Segre Amar

Testata: Informazione Corretta
Data: 10 marzo 2010
Pagina: 1
Autore: Emanuel Segre Amar
Titolo: «La manipolazione dei media quando parlano del conflitto mediorientale»
"La manipolazione dei media quando parlano del conflitto mediorientale "
analisi di Daniel Seaman


Daniel Seaman, direttore dell'Ufficio Stampa del governo
israeliano, alto dirigente alle dirette dipendenze
di Netanyahu

Nei giorni scorsi Daniel Seaman, direttore dell'Ufficio Stampa del governo
israeliano, alto dirigente alle dirette dipendenze del Primo Ministro, ha
tenuto alcune conferenze a Bruxelles, Londra e Parigi sul tema: la
manipolazione dei media quando parlano del conflitto mediorientale. La
hasbarà (informazione) è stata spesso trascurata dai Governi israeliani, ma
oggi viene presa in maggior considerazione dal governo Netanyahu, conscio
della sua importanza per le sorti del conflitto mediorientale.
Seaman è un ebreo americano emigrato in Israele; ha combattuto durante la
prima guerra del Libano nel corpo dei paracadutisti. E' sposato, ha tre
figli, e dalle sue parole traspare anche la sua vita personale: il conflitto
entra cioè nella sua famiglia come succede a tutti gli israeliani.
In Israele vi sono oltre 600 corrispondenti stranieri e 350 uffici stampa,
senza considerare i giornalisti stranieri che visitano lo Stato: tra 1500 e
2500 ogni anno. Si sono tenute nei giorni scorsi a Bruxelles, Londra e
Parigi alcune conferenze di Daniel Seaman, direttore del centro stampa del
governo israeliano, alto dirigente alle dirette dipendenze del Primo
Ministro.
Il tema delle conferenze era: la manipolazione dei media quando parlano del
conflitto mediorientale. L'hasbarà (informazione) è stata spesso trascurata
dai Governi israeliani, ma oggi forse anche questa, fondamentale per la
soluzione dei problemi politici, viene presa in maggior considerazione dal
governo Netanyahu.
Seaman è un ebreo americano emigrato in Israele; ha combattuto durante la
prima guerra del Libano nel corpo dei paracadutisti. E' sposato, ha tre
figli, e dalle sue parole traspare anche la sua vita personale: il conflitto
entra cioè nella sua famiglia come succede a tutti gli israeliani.
In Israele vi sono oltre 600 corrispondenti stranieri e 350 uffici stampa,
senza considerare i giornalisti stranieri che visitano lo Stato: tra 1500 e
2500 ogni anno. Cifre, queste, che non sono neanche lontanamente
paragonabili a quelle che si riscontrano in altri paesi di ben maggiori
dimensioni come la Cina e l'India. Sarà forse anche perché, comunque, in
Israele si vive bene, ed è facile collaborare con tante organizzazioni che
diffondono quelle notizie che il mondo vuole ascoltare, senza magari sentire
il bisogno di andare sul posto per effettuare le necessarie verifiche.
In nessun altro paese è altrettanto facile per un giornalista incontrare i
leaders politici; gli argomenti che meriterebbero l¹attenzione dei media
sarebbero tantissimi e tuttavia negli ultimi anni sembra che l'unico
interesse verta sul conflitto tra palestinesi ed Israele.
E' difficile comprendere quello che sta succedendo: nessuno può considerarsi
perfetto; anche i governi israeliani commettono degli sbagli, ma certamente
nessun paese al mondo accetterebbe quello che si vive nei pressi di Gaza.
Anche in Israele vi sono molte voci critiche, ma ci si deve rendere conto
che se da un lato il popolo ed i governanti tutti sono pronti a fare grandi
concessioni, dall'altro bisogna evitare che queste siano percepite come
debolezze. Gli israeliani vogliono la pace, ma le critiche indiscriminate
non avvicinano la pace.
Vi è da domandarsi se la copertura mediatica corrisponda agli standard
universali di etica giornalistica che richiedono integrità morale,
imparzialità, onestà ed accuratezza.
Integrità morale. E' sufficiente ricordare che dopo le conclusioni cui è
giunta la stessa ONU sull'assenza di qualsiasi massacro a Jenin, le grandi
organizzazioni mediatiche continuano ad interrogarsi su quanto sia realmente
avvenuto. E lo stesso si ripete sulle armi "illegali" e "misteriose" usate a
Gaza nonostante le affermazioni in merito degli esperti militari.
Imparzialità. Non è corretto usare solo la terminologia adottata da una
delle due parti. Questo vale per il "Monte del Tempio" che viene nominato
"Haram al-Sharif", o "Spianata delle moschee", legittimando in tal modo la
pretesa proprietà araba del luogo. Questo non sarebbe un problema se la
stessa attenzione fosse estesa ad Israele: si parla tuttavia di "West Bank",
e mai di "Giudea e Samaria"; e lo stesso avviene per i luoghi secondo
Hezbollah "contesi" sul confine libanese, o sui territori detti "occupati"
anziché "disputati".
Onestà. Spesso si interroga un'unica fonte, e se si riportano le parole
degli israeliani, lo si fa scrivendo "secondo quanto dice Israele", mentre i
palestinesi "riportano". Se Israele presenta delle fotografie, queste
vengono messe in dubbio, mentre le parole dei palestinesi vengono riportate
parola per parola. E mentre persone e parole degli israeliani sono spesso
accompagnate da aggettivi aggressivi e dispregiativi, lo stesso non vale per
le parole pronunciate dai leaders palestinesi.
Accuratezza. Chiunque lavori nel settore sa quanto sia importante la forma
più che il contenuto stesso del servizio. Si ricorre spesso a tutte le
tecniche cinematografiche tese a stravolgere quanto detto dalle persone
intervistate in modo tale da insinuare e far credere cose diverse da quelle
affermate. D'altra parte certe informazioni vengono omesse in un modo che
non può non essere considerato consapevole e intenzionale.
Il fatto che Israele sia una società aperta e democratica si rivela essere
un inconveniente per la stampa. E' difficile, in un mondo competitivo,
riuscire ad essere indipendenti, trovarsi da soli le notizie. Al contrario
l'Autorità Palestinese riesce a far passare proprio i messaggi che vuole far
passare. Influenza le notizie e le loro interpretazioni, e fornisce tutto il
supporto richiesto per arrivare a quelle notizie drammatiche e violente che
sono richieste dal mondo dei media. Chi vuole ricevere una notizia viene
"paracadutato" direttamente nel luogo di cui deve raccontare, senza poter
fare nessuna ricerca autonoma. O si seguono le indicazioni ricevute, o si
rischia anche di correre dei pericoli personali. I dipendenti palestinesi
che lavorano negli uffici stampa provvedono direttamente a fornire il
materiale che serve a colpire l'immagine di Israele nel mondo. La
manipolazione mediatica si è trasformata in un'arma strategica nelle mani
arabe, e bilancia la superiorità militare israeliana. Durante la seconda
guerra del Libano si è parlato nel mondo del "massacro dell'IDF a Qfar
Qana"; la notizia ha fatto il giro del mondo, e quando si è scoperto che era
tutta una montatura di Hezbollah, ciò non ha impedito che fosse usata per
giustificare la richiesta universale ad Israele di sospendere il conflitto.
Questo modo di agire non vale solo nei momenti di emergenza, e se poi le
notizie che sono state riportate risultano essere false, purtroppo oramai il
danno è fatto; queste situazioni si spiegano solo col fatto che si prendono
sempre per buone tutte le fonti di informazione e le testimonianze dei
palestinesi. E il fatto che questo non succeda solo in alcune circostanze,
ma sia di fatto la regola generale, fa pensare che la causa sia da ricercare
non solo in simpatie personali, ma anche in interessi finanziari ed
economici. Non si parla più di "legittima critica", di "esposizione della
verità", non si richiede ad Israele una "risposta", ma lo si accusa
direttamente e gli si richiede fin dall¹inizio una "difesa legale".
In passato si giustificavano le accuse a Israele con la scusa di volerlo
innalzare ad un "livello più alto"; ma ora tutto serve per presentare
Israele come una società malata, arrogante, incurante delle leggi
internazionali, che minaccia la stabilità mondiale.
La nuova guerra contro Israele.
Bisogna rendersi conto che siamo arrivati al terzo stadio del tentativo
arabo di annientare Israele.
Prima vi furono le guerre combattute tra il 1947 e il 1973.
Poi vi fu la guerra del terrore, tra il 1964 e il 2009.
Ma quando ci si è resi conto che queste strade non bastavano, si è lanciata,
con la conferenza di Durban del 2001, la delegittimazione di Israele. Le
misure antiterroristiche sono state definite "crimini di guerra", è stato
introdotto lo slogan: "sionismo uguale razzismo", (in realtà questa
equiparazione era già stata fatta alla Assemblea Generale dell¹ONU del 1975
ndr) e si è isolato Israele secondo il modello seguito a suo tempo per
l'apartheid sudafricano.
La strategia di Durban sta dietro le politiche delle varie associazioni non
governative, con appelli a boicottaggi, disinvestimenti e sanzioni. Si
pronunciano parole di accusa contro il carattere ebraico dello Stato e i
suoi valori fondamentali vengono trasformati in armi distruttive.
Parole di delegittimazione: apartheid, nazismo, imperialismo, colonialismo.
Associando Israele a queste parole lo si pone al di fuori del consesso
internazionale. Parole ironiche, quando non anche perverse ed offensive,
sono usate in piena contraddizione con quanto succede nella realtà. E su
Facebook e youtube non si contano gli incitamenti all'odio contro Israele e
contro gli ebrei.
Il Pogrom digitale ed il Ghetto virtuale. L'eco del passato che si proietta
in un futuro nerissimo.
Nella realtà virtuale di oggi il pogrom è utilizzato per demonizzare
Israele, e l'analogia con l'apartheid serve a boicottare Israele. Il
boicottaggio serve non solo a delegittimarlo, ma anche a farlo tacere, a
non permettergli di farsi ascoltare. Il giornalismo e le università sono i
due settori dove maggiormente si fa sentire questa situazione.
La delegittimazione serve a ri-ghettizzare il popolo ebraico. Come il ghetto
isolava in passato gli ebrei, così oggi vi è una segregazione razziale che
isola Israele dai dibattiti sul Medio Oriente.
La critica contro Israele è una prerogativa dei media. Ma la quantità e la
gravità di esempi ha superato la massa critica ed è arrivata alla
demonizzazione dello Stato e alla sua delegittimazione. E questo porta ad un
notevole incremento degli atti di antisemitismo in tutto il mondo.
Legittima critica ed antisemitismo.
Il Centro Europeo per il Monitoraggio del Razzismo e della Xenofobia (EUMC)
ha fissato le modalità con le quali gli attacchi contro Israele diventano
antisemiti:
- Negare al popolo ebraico il diritto ad avere uno stato, il che comporta
considerare Israele una entità razzista.
- Utilizzare metodi e simboli classici dell'antisemitismo, come il traffico
di organi o la diffamazione del sangue.
- Paragonare la politica attuale israeliana a quella dei nazisti.
- Considerare gli ebrei, nel loro insieme, responsabili per le azioni dello
Stato di Israele. Ma le critiche non possono essere considerate atti di
antisemitismo se sono simili a quelle mosse contro altri stati.
- Fare dichiarazioni mendaci, disumane, demonizzatrici o piene di stereotipi
contro gli ebrei e le loro lobbies (che controllano i media, l'economia e
altri centri di potere).
- Accusare gli ebrei tutti per colpe imputabili a singoli ebrei o a gruppi
di ebrei, o anche a non ebrei.
- Accusare gli ebrei come popolo, o Israele come stato, di inventare o
amplificare la Shoah.
- Accusare gli ebrei di essere più leali verso Israele che verso i loro
rispettivi paesi di residenza.
- Vi è poi il paragone degli israeliani con i nazisti, e dei loro leaders
con Hitler. Non è altro che un metodo utilizzato per sminuire il significato
della Shoah.
- Ed infine la maggiore evidenza si ha quando Israele è tenuto ad osservare
standard diversi da tutti gli altri paesi. Si può citare ad esempio il
rifiuto del diritto di esistere dello Stato di Israele causato dalla mancata
accettazione della sua politica, cosa che non si fa con altri paesi come la
Francia o la Giordania.
Una delle particolarità del nuovo antisemitismo è la critica del sionismo e
della politica di Israele; questa porta pregiudizi nei confronti degli
israeliani nei quali si percepiscono i caratteri che lo stereotipo
antisemita considera tipici degli ebrei.


http://www.informazionecorretta.it/main.php?sez=90

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