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Informazione Corretta Rassegna Stampa
03.01.2009 Hanno gettato la maschera
L'analisi di Federico Steinhaus

Testata: Informazione Corretta
Data: 03 gennaio 2009
Pagina: 1
Autore: Federico Steinhaus
Titolo: «Hanno gettato la maschera»

La distruzione, rapida sistematica e precisa, di tutte le strutture militari e politiche di Hamas a Gaza ha un risvolto che probabilmente peserà su molte delle considerazioni che quotidianamente facciamo in relazione alle notizie che ci provengono da quella tormentata regione.

 

Questo risvolto ha una valenza politica ed una etica. In termini molto semplificati, esso traccia una linea di demarcazione fra chi vuole la pace e tutela l’esistenza di Israele e  chi invece ne vuole l’annientamento.

 

Da un punto di vista politico, l’azione militare israeliana ha costretto i governi a gettare la maschera.

 

 

Da parte dei governi arabi cosiddetti moderati, dall’Egitto che si trova in prima linea all’Arabia Saudita che ha un suo progetto di pace globale da portare a buon fine, fino a quelli più defilati quali gli stati del Maghreb, si percepisce il levarsi di un profondo sospiro di sollievo. Israele sta togliendo per loro le castagne dal fuoco, perché i legami di Hamas con la Fratellanza Musulmana e con l’Iran sono talmente forti da minacciare gli equilibri interni di potere e la stessa sopravvivenza dei regimi o delle case regnanti. L’Autorità Palestinese, formalmente incarnata da Abu Mazen e dal Fatah, si rafforza in vista dell’imminente ma non certa tornata elettorale e potrà (se ne avrà la capacità) ora apparire ai palestinesi di Gaza come l’unica forza politica in grado di tutelare le loro vite ed il loro benessere.

 

 

In occidente assistiamo ad una netta divisione su due fronti più esplicita di quanto lo sia quella interna al mondo arabo. Negli ultimi 40 anni, dalla guerra detta dei “sei giorni” del 1967, Israele era sempre rimasto sul banco degli accusati, colpevole di aver vinto la guerra e conquistato i territori che vent’anni prima l’ONU aveva destinati invano alla creazione di uno stato palestinese. Non era solo un problema di aspettative – lo stato ebraico si deve comportare in maniera etica, non sulla base dei propri interessi strategici o politici come fanno tutti gli stati “normali”– ma di stravolgimento della realtà per finalità del tutto estranee al contesto. Dopo il 1967 l’URSS si era alleata con il mondo arabo e sosteneva i movimenti terroristi facenti capo all’OLP; pertanto aveva bisogno di creare in Europa un clima anti-israeliano e, perché no, anche antisemita: cosa che puntualmente accadde. Israele era un aggressore, e tale rimase anche dopo la caduta dei regimi comunisti, per chi era cresciuto a quella scuola: i partiti ex comunisti, i giornalisti, gli intellettuali.

 

Per la prima volta da allora la quasi totalità dei governi europei riconosce formalmente che le cose non stavano così prima e non stanno così ora.

 

Essi si schierano con Israele e definiscono la sua impresa militare come “autodifesa”. Chi si limita a biasimare Hamas come responsabile primo di quanto sta avvenendo, senza per questo schierarsi esplicitamente al fianco di Israele,  lo fa non per aver lanciato negli ultimi  anni migliaia di missili contro la popolazione inerme di città israeliane quanto, invece, per aver rotto unilateralmente la tregua che per 6 mesi aveva fatto dormire a quei civili sonni meno ossessionati dagli incubi e dal terrore: questa cautela è un segnale chiaro dell’imbarazzo in cui si trovano governi (come ad esempio l’Arabia Saudita) che non possono appoggiare Israele ma neppure vogliono apparire come difensori dell’estremismo islamico incarnato brutalmente da Hamas. E sebbene in occidente si vedano sparute dimostrazioni di piazza a favore di Hamas e solitari scatti d’ira viscerale contro Israele si tratta di fenomeni molto circoscritti. Del resto Israele, se da un lato procede con determinazione sul fronte militare, dall’altro non presta il fianco a critiche per gli aspetti umanitari dell’intervento: colonne di aiuti continuano ad entrare a Gaza, civili feriti gravemente dai bombardamenti vengono curati in ospedali israeliani, e perfino i bombardamenti vengono annunciati avvertendo i civili di abbandonare le case prese di mira. Il comandante di Hamas ucciso insieme alle sue 4 mogli ed a 10 dei 12 figli aveva ricevuto una telefonata di preavviso da Israele ed aveva scelto, invece di far fuggire la sua famiglia, di morire insieme ad essa.

 

 

In buona sostanza l’effetto più devastante che ricade sui testimoni di quanto avviene a Gaza è la netta, eclatante spaccatura (qualitativa e quantitativa) fra chi giustifica Israele e chi, al contrario, appoggiando Hamas si schiera contro la pace e contro il diritto di Israele ad esistere. E’ vero che la ragion di stato impone ad alcuni governi di mostrarsi cauti ed equidistanti, ma che ciò avvenga anche nel mondo arabo solitamente compatto su posizioni di netto ed acritico sostegno alla causa palestinese è significativo.

 

Questa spaccatura era rimasta fino ad ora nell’ombra delle ambigue dichiarazioni politiche, del “dico e non dico”, del sostegno alla causa palestinese (o di quella israeliana) con molti “se” e molti “ma”. Oggi ciò non è più possibile. I nostrani Rizzo e Giulietto Chiesa sanno, oggi, chi è con loro e chi no.

 

La spaccatura è trasversale ed ha valenze etiche molto evidenti. Da un lato c’è il diritto di Israele ad esistere come stato ebraico sovrano, con confini certi e sicuri; dall’altro c’è la volontà di annientare Israele per creare in tutta la Palestina uno stato islamico, cioè di rifiutare pregiudizialmente ogni forma possibile di pacifica convivenza. E’ diventato difficile, in Europa, dare come finora era avvenuto un colpo al cerchio ed uno alla botte. Forse, lo speriamo fortemente, al Durban II potremo vedere i primi effetti di quanto avviene oggi, attraverso un corale isolamento di chi vorrà utilizzare quella platea per scagliarsi forsennatamente contro Israele, come avvenne al Durban I.

 

 


http://www.informazionecorretta.it/main.php?sez=90

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