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Il Sole 24 Ore Rassegna Stampa
19.03.2021 Siria anno zero
Commento di Roberto Bongiorni

Testata: Il Sole 24 Ore
Data: 19 marzo 2021
Pagina: 14
Autore: Roberto Bongiorni
Titolo: «Nella Siria mutilata la ricostruzione non è mai partita»
Riprendiamo adl SOLE24ORE di oggi, 19/03/2021, a pag.14, con il titolo "Nella Siria mutilata la ricostruzione non è mai partita" l'analisi di Roberto Bongiorni.

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Roberto Bongiorni

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Idlib, Siria

Dieci anni dopo il 15 marzo del 2011, quando anche i siriani scesero in strada per protestare contro il regime, al potere c'è sempre lui, Bashar al-Assad, nominato presidente alla morte del padre Hafez, nel 2000. La sua Siria, tuttavia, non è più integra e sovrana. Cl sono tante "Sirte". E su ognuna di esse c'è una potenza straniera decisa a mantenere la sua influenza e a difendere i suoi interessi. Dieci anni, 500mila morti, cinque milioni di rifugiati dopo, la Siria è un Paese a pezzi, ridotto in macerie. Grazie alle milizie iraniane e agli Hezbollah libanesi, ma soprattutto all'intervento della Russia, Assad ha per così dire vinto la guerra. Oggi controlla il 70% del territorio. Nel 2015, quando stava per capitolare se non fosse accorsa Mosca in suo aiuto, ne controllava a mala pena il 40 per cento. Eppure anche in questo Stato mutilato soldi non ce ne sono. «L'economia siriana versa in gravissime difficoltà - ci spiega Karam Shaar economista siriano del Middle East Institute -. Tenuto conto della svalutazione della sterlina siriana, il budget 2021 è di circa 2,3-24 miliardi di dollari. Il che non è per nulla sufficiente a coprire i bisogni primari della popolazione nelle aree controllate dal regime». Se consideriamo che prima della rivolta del 2011 superava ampiamente ito miliardi di dollari, si comprende l'entità della crisi. E le conseguenze su di una popolazione che ha vissuto un prolungato trauma collettivo. Ormai l'80% dei siriani vive in estrema povertà, ha reso noto l'Onu in un rapporto del 2019. Prima dunque che la pandemia infliggesse il colpo finale. La valuta locale oggi vale l’1% rispetto al 2010. Il giornale siriano Qassioun ha stimato che il costo della vita per le famiglie è cresciuto in media del 74% dall'inizio 2020, quando si affacciava la pandemia di Covid 19. Per vivere dignitosamente una famiglia siriana necessiterebbe di 304 dollari al mese. II salario mensile pubblico è in media di 700mila sterline, 24 dollari. Quanto al Governo, nel 2021 le entrate complessive dovrebbero essere inferiori dell'83% rispetto a dieci anni prima. «Prima della rivolta, la Siria produceva 400mila barili al giorno di greggio. Oggi ne produce in tutto 135mila - continua Karam Shaar regime però può fare affidamento solo sui pozzi nelle aree controllate, 25mila barili. II resto deve "importarlo" dai giacimenti controllati dai curdo-siriani, la cui produzione ammonta oggi a 100-110mila barili/giorno, e in piccola parte dall'Iran». Senza nemmeno il greggio, il Pil è così precipitato dagli oltre 60 miliardi di dollari del 2010 a meno di 17 nei 2018. Solo dal 2011 al 2016, ha stimato la Banca Mondiale, la perdita complessiva in Pil è stata di 226 miliardi. Certo, la ricostruzione di un Paese in macerie dopo 10 anni di guerra è un business colossale. Ma in questo momento chi dispone dei fondi? Le stime divergono: si paria di un affare da 200 a 400 miliardi di dollari Gli investitori più accreditati sarebbero Russia e Iran. «Ma sono in difficoltà economiche - racconta da Beirut Heiko Wimmen, analista esperto di Siria dell'international Crisis Group . - Non hanno i fondi per finanziare la ricostruzione. I russi hanno stretto diversi accordi preliminari ma alla fine nessuno di questi si è concretizzato». Quanto ai Paesi occidentali, l'Europa non vuole sentire ragioni: o si avvia la transizione democratica, o niente ricostruzione. Gli Stati Uniti sono ancor più intransigenti con Damasco. E potrebbero presto intensificare le sanzioni contro il regime. «In questo contesto - continua Heiko Wimmen - non c'è alcuna ricostruzione di cui parlare. Il regime non ha i fondi. In diverse aree quel poco che è stato ricostruito è stato fatto per merito della popolazione locale che ha raccolto fondi. Anche per rimettere in sesto e riavviare e le scuole». «Mentre milioni di siriani stanno in fila per ore per fare benzina e acquistare generi alimentari, quando ci sono - continua l'analista dell'Icg -il regime siriano sta mettendo le mani sul quel poco che è rimasto dell'economia». Per restare al potere il clan Assad sta approfittando della ricostruzione per marginalizzare ancor di più la consistente parte della maggioranza sunnita che si era rivoltata nel 2011. Come? Da una parte sta finanziando la costruzione di infrastrutture in aree dove vivono siriani fedeli al regime e non invece nelle aree più colpite dal bombardamenti. Dall'altra ricorrendo a una serie di decreti volti a confiscare le proprietà di chi era sospettato di far parte dell'opposizione. In molti casi anche demolendo e ricostruendo nuovi quartieri a prezzi inaccessibili per gli abitanti originari. «Nella Siria nord-occidentale, ultima roccaforte dell'opposizione la situazione è drammatica. Al di là dell'agricoltura, la gente vive quasi esclusivamente di aiuti umanitari», conclude Karaam Shaar. La rabbia e lo scontento stanno montando. Insomma, per come si stanno mettendo le cose, più che risollevarsi la Siria tra pochi anni rischia di esplodere. Quasi fosse una bomba a orologeria. Un ultimo dato. Nel 2020 la Commissione sociale ed Economica per l'Asia occidentale (Onu) ha stimato il costo minimo della ricostruzione, limitato agli asset fisici, in 117 miliardi di dollari. Nel 2020 il regime siriano ha investito nella ricostruzione 66 milioni di dollari. Cl vorrebbero 1.700 anni per ripagare quella somma.

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